Papa Francesco ai vescovi italiani «Troppi gay nei seminari, vigilate»
Articolo di Franca Giansoldati pubblicato su Il Messaggero del 24 maggio 2018
Lunedì scorso, all’Assemblea della Cei, il Papa ha riversato sui vescovi italiani alcune preoccupazioni. La crisi delle vocazioni, il bisogno di accorpare le diocesi piccole e l’uso trasparente dell’8 per mille da parte dei vescovi. Poi si sono chiuse le porte, le telecamere sono state fatte uscire, i giornalisti pure, e si è svolto un franco dibattito tra il Pontefice e l’episcopato italiano.
E’ stato allora che Francesco ha esplicitato la sua quarta preoccupazione. «Il problema dell’omosessualità». A suo parere la presenza di un discreto numero di preti o seminaristi gay è un
fattore destabilizzante che dovrà essere affrontato con decisione nelle diocesi e risolto attraverso un
percorso specifico, un pò come è stato fatto per la piaga della pedofilia. «Abbiamo affrontato la pedofilia e presto dovremo confrontarci anche con quest’altro problema» ha sintetizzato, chiedendo di «vigilare» su seminari e aspiranti seminaristi.
GIUDIZI
In passato Bergoglio aveva toccato il delicato argomento – su come affrontare la condizione
dell’omosessualità nella Chiesa – pronunciando la famosa frase, «chi sono io per giudicare un gay?».
La domanda che gli era stata posta, due anni fa, durante un volo aereo riguardava l’esistenza o meno
di una lobby gay in Vaticano, con riferimento ad un caso specifico.
Francesco rispose con grande semplicità: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema semmai è fare lobby».
Qualche mese dopo, nel 2016, durante un incontro dei religiosi latinoamericani, a porte chiuse,
ammise effettivamente l’esistenza della famosa lobby gay. «Nella curia ci sono persone sante, ma c’è
anche una corrente di corruzione. Si parla di una lobby gay, ed è vero, esiste». Interpellato dalla
France Presse, l’allora direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, dichiarava
laconico: «E’ stato un incontro privato, non ho commenti da fare».
Come affrontare la condizione degli omosessuali tra il clero, a partire dal loro ingresso in seminario, tenta di spiegarlo padre James Martin, un gesuita americano, in questi giorni impegnato a presentare in Italia un libro sull’omosessualità (Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt, Marcianum Press, 2018).
A suo parere è possibile, da un punto di vista dottrinale e teologico, essere gay e bravi preti. «Conosco decine di ottimi religiosi gay che vivono una vita di castità. Alcuni sono stati mie guide spirituali o miei superiori. Ma voglio essere chiaro in modo da non essere frainteso: intendo che sono gay ma non sessualmente attivi».
Il dibattito è destinato ad andare avanti. Secondo altri teologi questa posizione non tiene conto dei documenti ancora in vigore che sono stati licenziati dai dicasteri vaticani sotto i pontificati precedenti. Per esempio l’«Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della ammissione al seminario», un testo del 2005 contenente un rimando esplicito al Catechismo.