“Paragrafo 175” di Rob Epstein e Jeffrey Friedmann (2000)
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Scheda di Luciano Ragusa proposta durante il cineforum del Guado di Milano il 12 Maggio 2019
La storia del famigerato “Paragrafo 175”. «Sappiamo tutti che la nostra decisione di oggi è in ritardo di più di cinquant’anni, tuttavia è necessaria. La dobbiamo alle vittime della falsa giustizia nazista» (Hertha Gmelin, Ministro della Giustizia della Repubblica Federale Tedesca, 17 Maggio 2002).
Il 17 maggio 2002 (da notare la data del 17/5 in cui si prende il numero dell’articolo nel vecchio codice penale tedesco) con il discorso di cui ho riportato un passaggio, si è concluso il processo di riabilitazione delle persone omosessuali perseguitate durante il Terzo Reich. Più di cinquant’anni, dopo la fine della guerra, sono serviti per chiudere in via definitiva la questione degli internati con il “triangolo rosa”, i cui numeri reali, sono tutt’oggi sconosciuti.
All’inizio del nuovo millennio, grazie all’agenzia di soccorso IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) con sede a Ginevra, i sopravvissuti vennero incoraggiati a fare coming out, così da poter accedere al risarcimento posto in essere dal governo tedesco (le richieste, infatti, dovevano pervenire non oltre il 31 dicembre 2001).
La questione non è di poco conto, perché sebbene solo poche decine di individui (secondo di dati forniti dal Swisse Humanitarian Found) abbiano avuto accesso ai fondi, per mezzo secolo si è negato che ci fosse una strategia per eliminare dalla società tedesca gli omosessuali, tanto da coniare, da parte delle associazioni LGBT di tutto il mondo, l’epiteto di “vittime dimenticate”.
Il famigerato “Paragrafo 175”, rubricato nel 1871, quando Bismark, annettendosi mezza Europa, proclama la nascita del Secondo Reich, è rimasto in vigore fino 1994, cioè otto anni prima del discorso di Hertha Gmelin. In Germania, la prima cerimonia pubblica in cui tra le vittime della “Shoah” sono state incluse le persone gay, risale al 1999, durante una commemorazione al campo di concentramento di Sachsenhausen.
Ad ogni modo, il mea culpa ufficiale è arrivato solo nel 2000, quando il governo tedesco ha rilasciato una dichiarazione di scuse sia per le vittime della follia nazista, sia per coloro che subirono processi tra la fine della guerra e il 10 marzo 1994, quando l’articolo che condannava l’omosessualità fu definitivamente abolito.
Naturalmente, la clausola in oggetto, non ha sempre avuto la stessa forma: la formulazione del 1871 recita infatti che i rapporti tra uomini, o tra uomini e animali, sono punibili con la reclusione e la perdita dei diritti civili (come per esempio il ritiro del dottorato, la possibilità di essere eletti o quella di votare); nel 1909 è stato poi avviato un iter legislativo con lo scopo di estendere la legge anche alle relazioni tra donne, percorso che, per via delle continue crisi di governo, non fu più preso in considerazione; il 28 giugno 1935, l’articolo ha subito una robusta integrazione, diventando il “175/A”, in si arrivano a sanzionare le fantasie omosessuali, i sogni, i desideri, i pensieri, gli abbracci, i baci, e quant’altro facesse presagire un comportamento gay.
Le condanne, nei casi peggiori, potevano arrivare anche a dieci anni di reclusione: una beffa se si considerano le condizioni che c’erano nei campi di lavoro e di sterminio tedeschi, in cui la vita media non si misurava certo in anni.
Nel 1948 è stata la Germania dell’Est a derubricare il “Paragrafo 175”, inserendo nel codice penale una sezione, la “151”, in cui si proibivano gli atti omosessuali con minori di 18 anni (per gli etero il limite d’età era di 14 anni) con pene che comportavano fino a tre anni di carcere. Nella Germania comunista la penalizzazione legale delle persone omosessuali finì nel 1988, quando l’età del consenso venne portata per tutti a 16 anni.
Nella Germania Occidentale, invece, solo nel 1969 i socialdemocratici sono riusciti a depenalizzare l’omosessualità, fissando l’età del consenso a 21 anni (limite poi abbassato a 18 anni nel 1973 contro i 16 anni imposti per i rapporti eterosessuali). In ogni caso veniva ribadita la discriminazione, perché le pene per i trasgressori omosessuali erano più che raddoppiate rispetto a chi trasgrediva la legge con dei rapporti eterosessuali. Dopo la riunificazione tedesca, avvenuta nel 1991, la situazione restò in sospeso fino al 1994, quando, come si è detto sopra, il “paragrafo 175” venne definitivamente abolito.
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Per saperne di più
Consoli M., Homocaust, Kaos, Milano, 1991.
Giannini G., Vittime dimenticate. Lo sterminio dei disabili, dei rom, degli omosessuali e dei testimoni di Geova, Stampa Alternativa, Viterbo, 2011.
Dalle testimonianze, emerge come la vita di queste persone sia stata indelebilmente segnata dal “Paragrafo 175”, non solo nel periodo hitleriano, ma anche a conflitto terminato, perché a non essere concluso, era l’odio nei confronti di lesbiche e gay.
Sempre insieme, Friedman e Epstein hanno diretto Lo schermo velato (1995), ispirato al libro di Vito Russo sulla rappresentazione LGBT nel cinema americano; e Urlo (2010) film biografico sulla vita del poeta beat Allen Ginsberg.
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Scheda
Jeffrey Friedmann.
Soggetto: Sharon Wood.
Meiners.
Montaggio: Dawn Logsdon.
Musiche: Tibor Szemzo.
Stati Uniti d’America.
J. Friedman, M. Ehrenzweig, J. Cole.
Genere: documentario.
Durata : 70 minuti.