Paragraph 175. Il racconto dei sopravvissuti all’olocausto omosessuale
Articolo di Don Aucoin e Globe Staff tratto dal Boston Globe (Stati Uniti), 9 Luglio 2001, liberamente tradotto da Laura C.
Verso la fine del documentario Paragraph 175, un uomo novantenne piange al ricordo di quello che gli è stato fatto in un campo di concentramento, e del silenzio che è stato costretto a mantenere durante gli anni successivi alla sua liberazione. Non è difficile piangere con lui. È un momento di eccezionale intimità, uno dei tanti in questo film potente sulla persecuzione degli omosessuali da parte della Germania nazista.
I sette sopravvissuti, diversi dei quali all’inizio sono restii a parlare, raccontano le loro storie in modo esitante o in fiumi di commozione. Ognuno costituisce una importante testimonianza di un periodo mostruoso e un aspetto dell’Olocausto troppo poco ricordato.
Uno di loro, che da prigioniero adolescente ha visto il suo migliore amico sbranato dai cani e che è stato in prima persona torturato, dice, “provo vergogna per l’umanità. Vergogna”.
Secondo una legge tedesca del 19° secolo conosciuta come Paragrafo 175, che proibiva l’omosessualità, più di 100.000 gay furono arrestati tra la fine degli anni ’30 ed i primi anni ’40.
15.000 di loro furono mandati nei campi di concentramento dove all’inizio vennero identificati dai termini “homo” o “Paragrafo 175” sulle loro uniformi, in seguito da triangoli rosa. Ai gay, molti dei quali erano cristiani tedeschi, erano risparmiate le camere a gas che uccisero milioni di ebrei. Ma due terzi dei prigionieri omosessuali morirono vittime del lavoro in stato di schiavitù, delle castrazioni e degli esperimenti chirurgici.
Ciò faceva parte della campagna nazista per sradicare l’omosessualità, che vedevano come una minaccia alla “purezza ariana” considerata essenziale per l’uscita della Germania dall’umiliazione della prima guerra mondiale. Heinrich Himmler si spinse fino ad affermare che la nazione tedesca sarebbe potuta “cadere a pezzi a causa di quella piaga”.
Il punto di vista ufficiale non fu sempre questo. Il narratore Rupert Everett nota, infatti, come negli anni ’20 del ‘900 Berlino fosse “conosciuta in tutto il mondo come un Eden per gli omosessuali”. La cultura gay fioriva nei bar, nei club e nei gruppi giovanili. Nonostante gli sforzi per rimuoverlo, però, il Paragrafo 175 rimaneva sulla carta. Divenne un’arma nelle mani di Hitler. A cominciare dal 1935, i nazisti estesero la definizione di comportamento omosessuale ed intensificarono la campagna contro i gay.
“Un tocco, uno sguardo, un gesto” era sufficiente per far arrestare un uomo, dice Everett. Le lesbiche, invece, non venivano arrestate, ma spinte alla clandestinità, e i loro posti di ritrovo erano coperti dalle autorità tedesche. Quando la bufera nazista ha cominciato ad addensarsi, gli omosessuali tedeschi furono lenti a rendersi conto di quello che stava accadendo.
Un sopravvissuto racconta come alcuni omosessuali all’inizio credessero che i nazisti non costituissero alcuna minaccia nei loro confronti perché Ernst Rohm, un aiutante di Hitler di alto grado, era omosessuale. Infatti, fatto emblematico di come l’omosessualità stesse diventando una questione sfruttata a proprio vantaggio dai diversi partiti, i comunisti usarono l’idetità di Rohm come arma propagandistica contro i nazisti. Alla fine Rohm fu assassinato su ordine di Hitler, insieme con altri 300, durante la “notte dei lunghi coltelli”.
Uno dei punti di forza di “Paragraph 175” è Rupert Everett: è efficace in larga parte perché evita la voce fuori campo stentorea di solito usata per i documentari del periodo bellico. Il suo stile pacato si accordacon quello dei suoi collaboratori, i registi Rob Epstein e Jeffrey Friedman, che hanno vinto un Academy Award per “Common Threads: stories from the Quilt” (Epstein ha vinto anche un Oscar per “The Life and Times of Harvey Milk”).
Con “Paragraph 175”, la coppia ha sceltobene e sapientemente riprese e musica d’archivio ed ha lasciato con arguzia ed eleganza delle sacche di silenzio che risuonano all’interno del film. Quando quel silenzio viene rotto, quello che sentiamo sono le voci dei sopravvissuti, spesso affiancate in modo toccante con foto dei loro anni giovanili. Meno di 10 prigionieri omosessuali dei campi di concentramento sono ancora vivi, secondo il film, e questo rende la loro testimonianza ancora più vitale. A volte questi sopravvissuti, negli anni ’80 e ’90, sembrano parlare a se stessi, cercando di trovare un senso a tanto orrore.
Un uomo ricorda una sera passata con un amante ebreo, che sarebbe stato arrestato dalla Gestapo il giorno successivo, insieme con sua madre, e trasportato ad Auschwitz. “Una notte d’amore aveva un altro valore, allora”, dice con tristezza.
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Testo originale: Gay Holocaust Survivors Speak