Parliamo di coming out. Quando l’omosessualità irrompe in famiglia
Riflessioni di Ivano, Maurizio e Cinzia sulla discussione tenutasi nel gruppo 5 dell’incontro-Laboratorio online su “Coming… che??? L’omosessualità in famiglia” (28 febbraio 2021)
Dopo un breve giro di presentazioni, i partecipanti nel gruppo di discussione dell’incontro-laboratorio online “L’ospite inatteso. L’omosessualità in famiglia” sono intervenuti a turno, esprimendo le riflessioni o raccontando le esperienze personali che sono emerse dalla presentazione di Alessandra Bialetti e dalle domande proposte.
Il primo tema ha trovato il gruppo concorde nell’importanza attribuita al coming out per il singolo, per la famiglia e per la società, sebbene alcune esperienze personali abbiano evidenziato le criticità e le cautele che debbono essere prese in considerazione e valutate ad personam.
Alla domanda “Coming out: perché dirlo?” si sono trovate più motivazioni condivise:
- permette un’integrazione della persona, comprendendo pienamente anche la propria sessulità;
- perché è testimonianza di una vita semplice che permette alle persone vicine di conoscere un mondo conosciuto, in alcuni casi, solo attraverso stereotipi e pregiudizi;
- è un modo per accogliere, ed amare, pienamente sé stessi che diviene substrato per amare, ed accogliere, gli altri;
- porta a diventare adulti, responsabili delle proprie scelte
insegna ad aprirsi all’ignoto, a rischiare per ciò in cui si crede e per chi si ama
importante anche a livello di Fede, perché si esprime la volontà di vivere nella Verità e abbandare il pericolo delle “maschere”; - è un momento di liberazione che porta equlibrio al singolo e nei rapporti in famiglia, sebbene non si possano escludere periodi transitori in cui emergano dei conflitti dovuti alla caduta delle aspettative;
- è una presa di coscienza familiare, una crescita collettiva;
- è una grande lezione di “ascolto” dell’altro e, al tempo stesso, di umiltà in cui si deve mettere da parte sé stessi per comprendere l’altro e le sue reazioni emotive oppure accettare la propria inadeguatezza a gestire una situazione e a mettersi in gioco per imparare a farlo.
La domanda “Coming out: perché (e quando) non dirlo?” ha fatto emergere i seguenti elementi:
- considerare le limitazioni culturali e sociali di genitori, amici o colleghi;
- rispettare il “silenzio” cercato da alcuni genitori (o da alcuni figli) quando si è certi che “sanno ma preferiscono non parlarne”.
Inoltre sono emerse le seguenti riflessioni sul tema del coming out:
è frutto di un cammino, consapevole e/o inconsapevole
è un’esperienza che si fa in più contesti e nel corso dell’intera vita (potenzialmente ogni volta che si incontrano persone nuove)
può essere dichiarato verbalmente, ma è importante anche manifestarlo attraverso i propri comportamenti, soprattutto nel caso di chi vive una relazione di coppia
quando si decide di farlo, occorre dosare le parole, valutare i tempi e i modi, osservare e avere pazienza
se si vive serenamente la propria omosessualità (o l’omosessualità dei propri figli), si trasmette serenità e le persone coinvolte nel coming out sono facilitate nella comprensione
occorre prima volersi bene come persone per crescere assieme
un elemento condiviso da più di un componente del gruppo è stata l’assenza di effusioni, di gesti o frasi amorevoli in famiglia: in questo senso si è detto che dovrebbero fare coming out (delle proprie emozioni) anche le persone eterosessuali, in particolare i genitori
Sul secondo gruppo di domande, il gruppo è stato ancora più omogeneo nelle risposte. Alla domanda “Come figlio, cosa serve per crescere, uscire allo scoperto e vivere alla luce?” si sono trovate le seguenti risposte:
- serve la volontà e capacità di mettersi in gioco;
- dialogo;
- amore;
- comprensione;
- attenzione;
- genitori capaci di esprimere affettuosità e rispetto;
- capacità di accompagnare i genitori nel percorso che l*i ha già fatto e che i genitori devono, spesso, iniziare.
Alla domanda “Come genitore, cosa serve per crescere, uscire allo scoperto e vivere alla luce?”
- serve la volontà e capacità di mettersi in gioco;
- abbandonare le aspettative coltivate e imparare ad amare il figlio come Altro
percepire che il/la figli* è felice e complet*; - essere curiosi in senso buono della vita e delle sfaccettature dei rapporti interpersonali;
- studiare, rispettare, accettare e comprendere;
- pazienza, educazione, istruzione;
- capacità di essere al fianco dei figli nel loro percorso/cammino, arduo sia a livello personale che sociale;
- serve conoscere altri genitori per fare pressione, come eterosessuali, nella società e nella Chiesa perché non ci siano stigmi, ignoranza, discriminazioni.
Infine, in merito alla domanda “Quale strategia comune, quale alleanza genitore-figlio per una nuova cultura e sensibilità nella società e nella chiesa?“, le condivisioni sono state le seguenti:
- innanzitutto è stato precisato che l’”alleanza” è un patto che va “dichiarato”: le parti in gioco devono essere consapevoli e assumersi l’impegno reciproco di voler essere “diffusori” di una nuova cultura e sensibilità;
- le alleanze sono da costruire quotidianamente perché ogni attimo di vita, ogni gesto è una sfida, un tassello di un puzzle (la vita) di cui non conosciamo ancora il disegno (gli stessi incontri online che facciamo con serenità, emozione, apertura mentale e accoglienza costituiscono una sorta di alleanza);
- i patti educativi, sia a scuola che nella società, se non sostengono pienamente i valori dell’inclusione e dell’accoglienza andrebbero modificati;
- è necessaria la testimonianza, anche piccola, di tutti noi (per esempio diffondendo l’esperienza di questo incontro in modo che le nostre parole siano come le onde prodotte da un sasso in uno stagno che si allargano con cerchi concentrici e possano arrivare ad essere una voce ascoltata anche dalla Chiesa).
Infine, abbiamo raccolto in chiusura le parole che sintetizzavano l’esperienza comune dell’incontro di oggi: autenticità, condivisione, dialogo, crescita affettiva, accoglienza.
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