Parole che feriscono. Perché la chiesa cattolica italiana parla di “Transgenderismo e transessualità” senza incontrare chi lo vive?
Riflessioni di Beatrice de La Tenda di Gionata e del gruppo genitori “Famiglie in cammino” di Bologna
Sono Beatrice, madre di un ragazzo gay, faccio parte del direttivo de La
Tenda di Gionata e del gruppo genitori di Bologna “Famiglie in cammino“. Ho letto il documento che il Gruppo di studio in bioetica della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha ritenuto di pubblicare sul tema “Transgenderismo e transessualità” [1], per chiarire la posizione della Chiesa sul tema, immagino per essere d’aiuto ai pastori che incontrano persone transgender nel loro cammino pastorale.
Premetto che io non sono nessuno, non un medico, non uno psicologo, non una persona transgender, ma molto banalmente da quando mio figlio ha fatto coming out cinque anni fa ho iniziato a cercare di conoscere quante più informazioni possibili sul mondo LGBT+, in primis ascoltando le persone che ne facevano parte, ma anche leggendo testi scientifici aggiornati.
La prima impressione è che il documento sia orientato fin dall’inizio alle conclusioni a cui poi vuole arrivare e arriva, mostrando di tenere in nessun conto le testimonianze e le storie delle persone transgender, semmai qualcuna sia stata ascoltata prima della redazione di questo testo.
Ad una seconda lettura più attenta, la mia prima impressione si è focalizzata su elementi concreti che vi condivido.
Già nell’introduzione si vuole citare il termine “gender fluid”, come cornice al tema della transessualità, quando, nella maggioranza dei casi le persone transgender non sono affatto fluide (cosa peraltro rispettabilissima) ma anzi, straconvinte fin dall’infanzia di appartenere ad un genere che non è quello biologico.
Si dichiara poi, con un giro di parole, che il transgenderismo è inserito nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’Associazione psichiatrica americana, salvo poi scrivere piccolo piccolo nella nota relativa che l’OMS (organizzazione mondiale della sanità) ha derubricato nel 2019 la disforia di genere dalle patologie mentali.
Si chiama in causa il protocollo di transizione sessuale olandese, citando un articolo del 2012 (quindi in questi 10 anni non sappiamo se è stato modificato). Senza citare una bibliografia si elencano una serie di conseguenze negative derivanti dai farmaci bloccanti della pubertà, dal trattamento ormonale per la transizione, dal trattamento chirurgico. E’ un argomento molto complesso, tema di discussione recente fra varie associazioni di medici, pediatri, psicologi e psicoterapeuti, ci sono tantissimi studi in merito, ma in questo testo, pure ricchissimo di note di bibliografia, non ne viene citato nessuno.
Si afferma poi che nella popolazione transgender persiste un più alto tasso di disturbi mentali anche nei contesti favorevoli e con questa affermazione si fa il primo passo verso la conclusione a cui si arriverà più avanti, cioè che sarebbe più opportuno riallineare la componente psicologica della persona transgender al suo sesso biologico, piuttosto che fare il contrario.
In pratica le persone transgender sono malati psichici che, con le opportune cure, possono reidentificarsi felicemente nel loro sesso biologico. Anche in questo caso un solo articolo citato a sostegno, del 2011.
Si sceglie l’approccio psicoanalitico per affrontare l’argomento, basandosi su studi pubblicati rispettivamente nel 1968, 1970 e 1997. Va bene che alcuni concetti di psicoanalisi saranno immutati, ma forse c’è qualcosa di più recente a cui riferirsi?
In soldoni le conclusioni di questi studi così recenti (?!?) è che la persona transgender è in questa condizione di disagio a causa di distorti rapporti famigliari e che la transizione di genere alla fin fine non porta alla felicità di chi la “subisce”.
Probabilmente tutte le persone transgender che conosco e che mi hanno raccontato la loro storia di sofferenza, a volte drammatica, dichiarando di essere diventate serene e felici solo dopo aver completato la transizione al loro genere percepito (a qualunque livello abbiano scelto di farlo) mi hanno raccontato un sacco di bugie…
Passando poi alla Valutazione morale, vengono spiegati i due possibili approcci alla questione: il “Gender affirmative model” e il “Gender reparative model”. La parola “reparative” ci suona subito all’orecchio come qualcosa di pericoloso e lo è (non sono io a dirlo)
Ma non si era detto che le famose pratiche “riparative” erano proibite perché gravemente dannose sia da illustri medici e psicologi, sia anche dalla Chiesa stessa?
Ma in questo testo si spiega che la persona trangender non ha malattie corporee (solo mentali, si intende) quindi qualsiasi intervento chirurgico atto a modificare o asportare organi sani è immorale e quindi eticamente riprovevole. Ma il benessere mentale dove lo mettiamo? Quello non conta?
No, non conta perché, come vi ho fatto notare, la premessa del documento è che tanto le persone transgender non stanno bene mentalmente nemmeno dopo la transizione ormonale o chirurgica…
Non mi soffermo sul trattamento bloccante della pubertà, che è oggetto di molte discussioni, perché non ho gli strumenti per parlarne, so che viene utilizzato solo in casi selezionati, su bambini che manifestano precocemente (ma pervicacemente) disforia di genere, a fronte di una sofferenza già manifestata all’idea che nella pubertà diventeranno evidenti i caratteri sessuali secondari del genere in cui non si riconoscono.
A me risulta che gli effetti siano reversibili, ma non sono un medico quindi non vado oltre.
La conclusione è che “con un intervento psicologico precoce ci sono alte possibilità di risolvere la disforia di genere, quindi la scelta di favorire la transizione dell’infans che esprime di appartenere all’altro sesso è da ritenersi ideologica. In effetti l’identità di genere nell’infanzia e adolescenza è assai fluttuante” .
Considerazioni pastorali: la soluzione è sempre e solo la continenza, qualora l’ausilio psicologico (vedi terapia riparativa) non risolvesse la sfasatura tra sex e gender identity. Cito “La persona transgender conserva la possibilità di restare fedele al suo essere maschio/femmina e rispettare la sua integrità psico-fisica, seppur con il carico di fatica e disagio che questa condizione comporta.“
Alla fine le due righe che riportano le parole di Papa Francesco: «Attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione, Dio è Padre e non rinnega nessuno dei suoi figli. E lo stile di Dio è vicinanza, misericordia e tenerezza».
E con questo abbiamo risolto e assolto tutta la sofferenza che quanto scritto prima causa e causerà alle persone di cui si parla, senza aver mai ascoltato la loro voce.
Scusatemi se sono stata imprecisa, se ho parlato con la logica e non con la preparazione professionale che non ho, ma questo documento non credo sia d’aiuto proprio a nessuno, credo che molte delle cose scritte siano perlomeno imprecise, certamente discutibili e non aggiornate agli studi scientifici più recenti.
[1] Transgenderismo e transessualità, nota n.2 a cura del Gruppo di studio in bioetica dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Conferenza Episcopale Italiana, 8 settembre 2022