Pasolini e “il vangelo secondo Matteo”
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Riflessioni di Luciano Ragusa
Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità! (1 Corinzi 13, 13).
PASOLINI E PAPA GIOVANNI XXIII: LE AFFINITÀ ELETTIVE:
La carità –questa “cosa” misteriosa e trascurata– al contrario della fede e della speranza, tanto chiare e d’uso tanto comune, è indispensabile alla fede e alla speranza stesse. Infatti la carità è pensabile anche di per sé: la fede e la speranza sono impensabili senza la carità: e non sono impensabili ma “mostruose”. Quelle del Nazismo (e quindi di un intero popolo) erano fede e speranza senza carità. Lo stesso dicasi per la Chiesa clericale. Insomma il potere –qualunque potere- ha bisogno dell’alibi della fede e della speranza. Non ha affatto bisogno dell’alibi della carità.
(P.P Pasolini, Il caos, Ed. Riuniti, Roma, 1995, pag. 54).
Agosto 1968. Il settimanale “Tempo” chiede a Pasolini di collaborare ad una rubrica intitolata Il caos (1968-1970) – i cui articoli sono oggi raccolti nell’omonimo testo – nella quale il poeta friulano, si esprime su temi d’attualità culturale, politica, sociale, ecc. In alcuni interventi è sottoposta a setaccio anche la posizione della Chiesa cattolica, a cui, come si evince dalla citazione poco sopra, Pasolini rimprovera il tempo trascorso a strutturarsi come organizzazione e il poco impegno alla prassi della carità.
La raccolta di poesie Trasumanar e organizzar (1971) ha tra gli oggetti questo tema, ovvero la distanza che intercorre tra l’istituzione ecclesiastica e la virtù teologale così cara anche a san Paolo. La materia non è una novità, infatti, la meditazione sulla pratica caritativa, che l’intellettuale ha osservato e interiorizzato nel Friuli materno, dunque contadino, è uno dei fili conduttori della sua intera opera, sebbene assuma, di decennio in decennio, sfumature teoretiche differenti.
Uno degli esempi più “icastici” di questo procedere è la poesia A un papa, inserita nella raccolta La religione del mio tempo, pubblicata nel 1961:
[…] Tu non ne sapevi niente: come non sapevi niente
di altri mille e mille cristi come lui.
Forse io sono feroce a chiedermi per che ragione
la gente come Zucchetto fosse indegna del tuo amore.
Ci sono posti infami, dove madri e bambini
vivono in una polvere antica, in un fango d’altre epoche.
Proprio non lontano da dove tu sei vissuto,
in vista della bella cupola di San Pietro,
c’è uno di questi posti, il Gelsomino…
Un monte tagliato a metà da una cava, e sotto,
tra una marana e una fila di nuovi palazzi,
un mucchio di misere costruzioni, non case ma porcili.
Bastava soltanto un tuo gesto, una tua parola,
perché quei tuoi figli avessero una casa:
tu non hai fatto un gesto, non hai detto una parola.
[…] Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato,
davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili.
Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te.(A un papa, in “La religione del mio tempo”, Garzanti, Milano, prima ediz. 1961).
Il papa in questione è Pio XII (1856-1958), additato dal poeta di scarso spirito caritatevole e di essere l’emblema di un Chiesa arroccata sulla propria ieraticità. Non poteva passare inosservata, dunque, l’elezione di papa Giovanni XXIII (1881-1963), figura che agli occhi di Pasolini, incarnava l’uscita del cattolicesimo dal suo stato di minorità compassionevole e misericordiosa:
[…] Pensavo a quel dolcissimo Papa contadino che aveva aperti i cuori a una speranza che sembrava allora sempre più difficile, e al quale si erano aperte anche le porte di Regina Coeli, dove era andato a “guardare negli occhi” ladri e assassini, armato solo di un’immensa e arguta pietà. […] L’unico dunque al quale potevo dedicare quel film non poteva essere che lui, Papa Giovanni. E a quella cara “ombra” l’ho dedicato. L’ombra che è la regale povertà della fede, non il suo contrario.
(P.P. Pasolini, «dal nastro di una lontana intervista» pubblicata in N. Fabbretti, Quello che mi è rimasto di Pasolini fra incontri, paure, dolorosa poesia, «Stampa Sera», 19 novembre 1984).
ALLA CARA, LIETA E FAMILIARE MEMORIA DI GIOVANNI XXIII
Il Vangelo secondo Matteo viene presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia il 4 settembre del 1964, dunque, papa Giovanni XXIII, al quale la pellicola è dedicata, non riuscì a vederlo. Malgrado ciò, senza la benedizione del pastore tanto caro al regista, probabilmente il film non avrebbe avuto epifania:
Don Giovanni Rossi andò a parlare con papa Giovanni XXIII, di cui era amico sin dalla giovinezza. Nel suo studio privato gli parlò a lungo di questo progetto, su cui già si polemizzava sulla stampa. Papa Giovanni alla fine gli disse: “Io sono contento. E ho visto che anche i più restii al dialogo, in Curia, non ne parlano male. Quindi avanti, con coraggio e con prudenza”.
(L. Caruso in S.M. Paci (a cura di), E Pier Paolo incontrò Matteo, “30Giorni”, a. XII, n. 11, novembre 1994, pag. 56; citazione da T. Subini, La necessità di morire. Il cinema di Pier Paolo Pasolini e il sacro, Eds, “Frames”, Roma, 2007, pag. 53).
Qualche giorno dopo, il 26 novembre 1994, a pagina 17 di Avvenire, in risposta a Caruso, monsignor Loris Capovilla, segretario di papa Giovanni XXIII, ridimensiona la vicenda ammettendo solo che tra le tante cose di cui hanno discusso don Giovanni Rossi della Pro Civitate Christiana, e il papa, c’è anche l’accenno al film di Pasolini (cfr. A. Fagioli, Un sì del Papa a Pasolini?, “Avvenire”, 26 novembre 1994, pag. 17).
Il mese successivo, sempre su “30Giorni”, rivista di geopolitica ecclesiastica sorta nel 1981, si chiede l’opinione di don Virgilio Fantuzzi, critico cinematografico della Civiltà Cattolica, scomparso nel 2019, nonché profondo intenditore del cinema pasoliniano (si conobbero alla PCC):
Pasolini ha sempre mostrato un’estrema simpatia per Giovanni XXIII, un affetto tale che ha spesso stupito i critici. L’aver saputo che il Papa aveva incoraggiato il suo desiderio di girare un film sul Vangelo motiva in maniera più precisa questo singolare entusiasmo.
(V. Fantuzzi in S.M. Paci (a cura di), Un ciak benedetto, “30Giorni”, a. XII, n. 12, dicembre 1994, pag. 72; citazione da T. Subini, La necessità di morire. Il cinema di Pier Paolo Pasolini e il sacro, Eds, “Frames”, Roma, 2007, pag. 53).
La voce dell’incoraggiamento vaticano si espande, e trova sostenitori nel cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, e del Centro Cattolico Cinematografico, nella figura del consulente ecclesiastico monsignor Francesco Angelicchio, interessato, inoltre, al’intenzione di un film su san Paolo che frulla nella mente del regista e del quale si vocifera.
L’8 febbraio 1963 esce un’Ansa dove si presenta il progetto del Vangelo, e, a partire dal giorno successivo, si susseguono gli incitamenti e le perplessità sui reali motivi che hanno portato la Cittadella e l’intellettuale friulano a collaborare al lungometraggio. In una lettera datata 30 gennaio 1963, scritta dal cineasta a Lucio Settimio Caruso (allora direttore della Sezione Cinema della PCC), emergono le urgenze spirituali ed estetiche del disegno pasoliniano:
[…] Ora, ho bisogno dell’aiuto vostro: di Don Giovanni, Suo, dei suoi colleghi. Un appoggio tecnico, filologico, ma anche un appoggio ideale. Le chiederei insomma […] di aiutarmi nel lavoro di preparazione del film, prima, e poi di assistermi durante la regia. La mia idea è questa: seguire punto per punto il “Vangelo secondo San Matteo”, senza farne una sceneggiatura o una riduzione.
Tradurlo fedelmente in immagini, seguendone senza una omissione o un’aggiunta al racconto. […] È questa altezza poetica che così ansiosamente mi ispira. Ed è un’opera di poesia che io voglio fare. Non un’opera religiosa nel senso corrente del termine, né un’opera in qualche modo ideologica. In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia il figlio di Dio, perché non sono un credente – almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità.
Per questo dico “poesia”: strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo. Vorrei che il mio film potesse essere proiettato nel giorno di Pasqua in tutti i cinema parrocchiali d’Italia e del mondo. Vorrei che le mie esigenze espressive, la mia ispirazione poetica, non contraddicessero mai la vostra sensibilità di credenti. Perché altrimenti non raggiungerei il mio scopo di riproporre a tutti una vita che è modello – sia pure irraggiungibile – per tutti. Spero tanto che abbiate fiducia in me. Le stringo la mano, affettuosamente, suo.Pier Paolo Pasolini
(A. Giordano N. Naldini (a cura di), Pasolini. Le Lettere, Garzanti, Milano, 2021, pp. 1239-40).
Ora, ricostruire per intero il fragore, le battute, le chiacchiere, che i detrattori di destra e sinistra hanno inscenato nei rispettivi quotidiani, è impresa estranea all’intento dell’articolo. Forse è utile, giusto per avere un’idea del clima, riportare un intervento di Marco Marchini, già presidente della Pro Civitate Christiana, in occasione di un “Omaggio a Pasolini” con proiezione de Il vangelo secondo Matteo, svoltosi al Premio Letterario Castelfiorentino il 2 aprile 2006:
La produzione del “Vangelo” parte tra grandi difficoltà economiche e resistenze ideologiche. Don Giovanni e la Pro Civitate Christiana – consci del rischio dell’impresa in cui si sentono coinvolti per aiutare Pasolini – supportano l’impegno di verifica del testo e della sceneggiatura, avvalendosi di prestigiosi nomi del campo biblico e teologico. L’opposizione al progetto da parte dell’ambiente cinematografico e creditizio è palese; le polemiche anche in seno alle istituzioni ecclesiastiche non sono trascurabili, le resistenze furono fortissime (del resto non si può dimenticare il clima culturale e sociale di quegli anni, e nella Chiesa non era ancora arrivato il soffio dello Spirito conciliare). E poi il marchio che portava inesorabilmente il regista era di essere marxista, ateo e omosessuale. Anche per la nostra comunità furono tempi duri, contrastati, perigliosi: va bene essere aperti agli atei e ai comunisti, ma un omosessuale era troppo! Molti amici ci contestarono o ci abbandonarono; la nostra rivista “Rocca” fu boicottata. Ma nonostante tutto il film arriva in porto. […] Ottiene vari riconoscimenti, tra cui il prestigioso premio OCIC […] con questa motivazione:”… per aver espresso in immagini di un’autentica bellezza e dignità estetica le parti essenziali del sacro testo. L’autore senza rinunciare alla propria ideologia – ha tradotto fedelmente, con una semplicità ed una densità umana talvolta assai commoventi, il messaggio sociale del Vangelo – in particolare l’amore per i poveri e gli oppressi – rispettando sufficientemente la dimensione divina di Cristo”. […] Recentemente, in una classifica cattolica in cui si segnalano i 10 films più religiosi del XX secolo, il “Vangelo secondo Matteo” occupa il primo posto. Per noi della Pro Civitate Christiana, che avevamo dovuto reggere momenti, forse i più difficili della nostra vita, fu una grande gioia e soddisfazione.
(citazione da G. Pozzetto, Lo cerco dappertutto. Cristo nei film di Pasolini, Àncora, Milano, 2007, pp. 34-35).
LA SCENEGGIATURA
Il copione del Vangelo è lo spazio nel quale avviene l’incontro tra Pasolini e i cattolici progressisti. Il regista è consapevole, e lo è anche il produttore Bini, che senza il visto della censura, il progetto avrebbe avuto scarse possibilità di successo; a maggior ragione dopo l’esperienza de La ricotta, ritirato dalle sale con l’accusa di “vilipendio alla religione di Stato”. Ma chi aiutò il cineasta a trovare quei compromessi, realizzati i quali, fu possibile concludere il film?
All’Archivio Pasolini, presso l’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto di Vieusseux di Firenze, è depositato l’esemplare, datato 8 maggio 1963, nel quale don Andrea Carraro, biblista della PCC, chiosa le correzioni che il regista deve apportare al copione. Sulla base di ciò, Walter Siti e Franco Zabagli, curatori de “I Meridiani” (2001) Pier Paolo Pasolini, Per il cinema, hanno concluso che don Andrea Carraro fosse l’unico soggetto intervenuto sulla sceneggiatura. La scoperta di un nuovo esemplare all’interno del Fondo Caruso, anch’esso al Vieusseux di Firenze, dimostra invece che le consulenze sulla correttezza filologica dei dialoghi del Vangelo sono un lavoro d’equipe, e che probabilmente, altri biblisti esterni alla Cittadella, come i gesuiti del Centro San Fedele di Milano, e i docenti della Gregoriana, hanno contribuito alla riuscita dell’opera. In estrema sintesi, il copione all’Archivio Pasolini è l’esemplare nel quale sono confluite tutte le correzioni, di tutti gli interventi, glossate per intero dalla mano di don Andrea Carraro.
Anche in questa circostanza, non è possibile ricostruire integralmente il procedimento che ha portato al compromesso definitivo, visibile e udibile in forma di dialoghi, nella pellicola. Il maggiore sforzo è probabilmente rappresentato dall’estremo realismo con cui il poeta friulano ha immaginato il Vangelo: nella sceneggiatura originale Pasolini inserisce, per esempio, scene in cui il bambino Gesù si nutre al seno della giovane Maria; eventualità che i consulenti religiosi smorzano per evitare la suscettibilità dello spettatore di fronte ad un gesto certamente “vero”, ma che si svolge in privato. Un altro esempio, potrebbe essere rappresentato dalla visione della povertà con cui il cineasta immagina la sacra famiglia: nel frangente, l’intervento dei biblisti, verte a spegnere il suggestivo paragone tra il sottoproletariato del Sud Italia e la ricostruzione storica degli avvenimenti; dunque, nessuna valenza ideologica, e decoro negli allestimenti. Del resto, nella formulazione ideata da Pasolini, ci sono parecchi riferimenti all’attualità, come riprese di profughi di altri paesi, oppure la faccia di Nasser, ex presidente dell’Egitto, in luogo di quella Erode, ma, dalla Cittadella di Assisi, giungono suggerimenti che temperano lo slancio modernista del cineasta.
LA MUSICA
Per quanto concerne l’allestimento musicale non si conoscono interventi esterni, perciò, Pasolini, è libero di seguire delle intuizioni poetiche di grande impatto sonoro. La dialettica per opposti, cifra stilistica che connota da sempre l’autore, lo guida nelle scelte dei temi da inserire nel film, con un risultato finale sorprendente. Il Vangelo si apre con Gloria della “Missa Luba Congolese” (messa latina cantata negli stili tradizionali della Repubblica Democratica del Congo), e il coro finale della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach. Il procedimento dialettico è spiazzante, perché la vitalità della musica popolare africana, espressione di una liturgia ludica, terrena, libera da strutture tradizionali, si alterna alle note del compositore tedesco, la cui morfologia punta al divino, al sublime. L’accostamento ha il proposito di ricordarci la natura umana di Cristo (Missa Luba Congolese), e quella celeste e trascendentale (Bach), in quanto figlio di Dio.
Il motivo “profetico” tratto dalla Passione secondo Matteo è utilizzato come contraltare sonoro nella sequenza in cui un sacerdote espone ad Erode la profezia di Michea, che annuncia la nascita “sacra” in Betlemme. L’amministratore della Galilea viene rappresentato con un volto privo di spiritualità, fattezze gaudenti figlie di privilegi acquisiti; Pasolini gli accosta il motivo “profetico”, contrappone il sublime allo sfregio di chi è infastidito dall’eventualità di perdere poteri terreni.
All’opposto, l’incontro dei Magi con Gesù, è strutturato secondo dettami tipici del cinema pasoliniano: la sequenza mette in scena l’umiltà dei volti e dei luoghi, e, l’assenza di dialoghi, concede a Sometimes I Feel like a Motherless Child, interpretata da Odetta (nota anche per l’impegno in favore dei diritti civili dei “fratelli e sorelle neri”) insieme ad un coro Gospel /Spiritual, di entrare in contatto con il sacro, tema fondamentale dell’intera poetica dell’autore.
La comparsa di Mozart, Prokof’ev, e i già citati, si assumono dunque l’onere di rendere plausibile l’ineffabile, l’irruzione del sacro nel mondo degli uomini, e, nello stesso tempo, di solcare la scia del messaggio rivoluzionario di Cristo, portatore della spada e del comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
IL CRISTO
Ho un’idea di Cristo pressoché inesprimibile. Potrebbe essere tutti, e infatti lo cerco dappertutto. L’ho cercato in Israele, in Sicilia, a Roma, a Milano… Ho pensato a poeti russi, a poeti americani. È forse tra i poeti che lo cerco.
(Cerco il Cristo tra i poeti, intervista rilasciata a “Italia notizie”, Agenzia giornalistica di informazione e documentazione, n. 18, 20 novembre 1963; citazione da A. Giordano N. Naldini (a cura di) Pasolini. Le lettere, Garzanti, Milano, 2021, pag. 195).
Pasolini, dopo aver girato la Palestina insieme a don Andrea Carraro, e l’Italia meridionale alla ricerca di sfondi, e visi, da impiegare nel suo Vangelo, si trova di fronte alla difficoltà di assegnare la parte principale del lungometraggio, quella di Cristo. La matrice che orienta le scelte del cineasta consiste nel rappresentare il protagonista alla stregua di un intellettuale, pronto al sacrificio nei confronti di quei sottoproletari disposti a seguire il suo messaggio. Pensa al poeta russo Evtuscenko, al quale scrive una lettera nell’ottobre del 1963:
Caro Evtuscenko, non lo sai: ma è da un anno che penso a te. Per una ragione a dir poco sorprendente. Te lo dico con tutta semplicità, perché ormai mi sembra di conoscerti di persona, anzi mi pare di avere in te un vecchio amico. Vorrei che tu facessi la parte del Cristo nel mio film sul “Vangelo secondo Matteo”. […] Tu forse sai che io, non essendo un regista… serio, non cerco i miei interpreti fra gli attori: finora per i miei films sottoproletari, li ho trovati, come si dice in Italia, “nella strada”. Per Cristo, un “uomo della strada” non poteva bastare: alla innocente espressività della natura, bisognava aggiungere la luce della ragione. E allora ho pensato ai poeti. E pensando ai poeti ho pensato per primo a te.
(A. Giordano N. Naldini (a cura di) Pasolini. Le lettere, Garzanti, Milano, 2021, pag. 1246).
Saltato il poeta russo, Pasolini pensa agli americani, nella fattispecie i campioni della “beat generation” Jack Kerouac e Allen Ginsberg. Anche in questa circostanza non è possibile. Si convince ad attribuire la parte ad un attore teatrale tedesco, dopodiché a Luis Goytisolo, fino a quando, davanti ai suoi occhi, si materializza ciò che cercava. Il 30 settembre 2008, “la Repubblica”, manda in stampa una lettera che Pasolini spedisce a Pietro Nenni (ministro e vice presidente del Consiglio nel primo, secondo, terzo governo Moro, nonché segretario, per quindici anni, del PSI) datata marzo 1964:
Egregio e caro Nenni, […] Non resisto ora alla tentazione di dirLe una cosa che forse La commuoverà. Sa come ho trovato l’interprete di Cristo? Ero ridotto alla disperazione, solo pochi giorni fa, perché l’attore tedesco (ebreo) che avevo scelto, non mi convinceva più: non era il viso assoluto che cercavo. Mi ero rivolto allora a Luis Goytisolo (di cui finalmente avevo visto una fotografia), con una faccia, come si dice, straordinaria), e Goytisolo era, ed è, propenso ad accettare. Ma ecco che ricevo la più innocente delle telefonate, la più remota al caso: Giorgio Manacorda (il figlio di Gastone) che da tempo è mio amico, perché scrive dei versi molto belli, mi chiede di presentarmi un suo amico, un giovane universitario spagnolo, impegnato nella lotta clandestina, che voleva parlarmi e conoscermi. Cristo era lui: tutto preso dal suo unico ossessivo sentimento, la lotta per la libertà, […] Sa perché infine si è deciso ad accettare? Perché i soldi che avrebbe guadagnato, li avrebbe dati alla sua Causa. […] Riceva i più rispettosi e affettuosi saluti.
Pier Paolo Pasolini
(Originale presso la Fondazione Pietro Nenni; pubblicata da “la Repubblica”, 30 settembre 2008; citazione da A. Giordano N. Naldini (a cura di) Pasolini. Le lettere, Garzanti, Milano, 2021, pag. 1264).
Dunque, dopo aver proposto la parte allo scrittore catalano Luis Goytisolo, il regista, fortuitamente, conosce il giovane diciannovenne Enrique Irazoqui, militante comunista antifranchista, in Italia per cercare fondi da devolvere alla causa. E siccome Pasolini non cerca attori, ma personaggi che si rappresentano, scorge nella rabbia di Enrique quanto necessario alla sfumatura gramsciana del suo Gesù adulto, proteso contro gli oppressori, rivoluzionario nel messaggio.
SCHEDA DEL FILM
Soggetto e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini.
Aiuto alla regia: Maurizio Lucidi.
Assistenti alla regia: Paul Schneider, Elsa Morante.
Montaggio: Nino Baragli.
Fotografia: Tonino Delli Colli.
Costumi: Danilo Donati.
Scenografia: Luigi Scaccianoce.
Musiche: a cura di Pier Paolo Pasolini.
Musiche originali: Luis Bacalov.
Interpreti e personaggi: Enrique Irazoqui (Gesù Cristo, doppiato da Enrico Maria Salerno), Margherita Caruso (Maria giovane); Susanna Pasolini (Maria anziana); Marcello Morante (Giuseppe); Mario Socrate (Giovanni Battista); Rodolfo Wilcock (Caifa); Alessandro Clerici (Ponzio Pilato); Paola Tedesco (Salomè); Rossana Di Rocco (angelo del Signore); Renato Terra (un fariseo); Eliseo Boschi (Giuseppe D’Arimatea); Natalia Ginzburg (Maria di Betania); Ninetto Davoli (pastore); Amerigo Bevilacqua (Erode I); Francesco Leonetti (Erode II); Franca Cupane (Erodiade); Apostoli: Settimio Di Porto (Pietro); Otello Sestili (Giuda); Enzo Siciliano (Simone); Giorgio Agamben (Filippo); Ferruccio Nuzzo (Matteo); Giacomo Morante (Giovanni); Alfonso Gatto (Andrea); Guido Gerretani (Bartolomeo); Rosario Migale (Tommaso); Luigi Barbini (Giacomo di Zebedeo); Marcello Galdini (Giacomo di Anfeo); Elio Spaziani (Taddeo).
Produzione: Arco Film (Roma)/Lux Compagnie Cinématographique de France (Parigi).
Produttore: Alfredo Bini.
Riprese: aprile-luglio 1964.
Teatri di posa: Roma, Incir De Paolis.
Esterni: Orte, Montecavo, Tivoli, Potenza, Matera, Barile, Bari, Gioia Del Colle, Massafra, Catanzaro, Crotone, Valle dell’Etna.
Durata: 130 minuti.
IL VALORE TEOLOGICO
Il Vangelo di Pasolini risulta ancora oggi uno dei film a tematica religiosa più apprezzati del 900’. La domanda che sorge spontanea è stabilire se, il film, tagliato di un terzo rispetto al montaggio originale, abbia o meno un valore estetico e teologico intrinseco, qualcosa di oggettivamente visibile, da non lasciare perplessità. Naturalmente, come si evince dai lavori dietro la macchina da presa, il gusto figurativo del regista spazia da Masaccio ai manieristi, come Pontormo e Rosso Fiorentino, da Giotto a Caravaggio, autore, quest’ultimo, riscoperto da Roberto Longhi del quale Pasolini è stato allievo. Sono innumerevoli le scene di film che richiamano al linguaggio della storia dell’arte, compreso il Vangelo: la “Madonna del Parto” di Piero della Francesca è riprodotta in uno dei primi frammenti della pellicola, trasposta ovviamente in un immaginario povero. Ma al di là della straordinaria cultura figurativa, ciò che rende Il Vangelo secondo Matteo degno della sua fama, è l’intuizione teologica che lo sottintende, che solo un poeta come Pasolini poteva rendere visibile. Il Cristo del Vangelo è un uomo che cammina, seguito da una folla che nella maggior parte del tempo lo osserva di spalle. Il regista pone in essere il concetto di “sequela”, atteggiamento teologico di chi si mette sulla strada per seguire la parola: Matteo 10,38, recita, “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”. L’intellettuale friulano è l’unico che sia riuscito a veicolare questo concetto, e a non cadere nel tranello di figurare Gesù adulto come un divo di Hollywood, biondo e con gli occhi azzurri, così caro all’iconografia barocca.
CONTESTUALIZZARE IL VANGELO
Sottolineato che il Vangelo di Pasolini possiede un suo valore estetico e teologico, “metastorico”, dunque, c’è un’ultima questione sul tavolo su cui porre una serie di riflessioni. Come mai, un poeta che si dichiara marxista, non cattolico, la cui religiosità è un affare di arcaicità antropologica, e omosessuale, riesce a portare a termine il percorso artistico sopra descritto?
L’intensità della sua ricerca non è in discussione, così come la profondità del suo pensiero poetico, che trasportano l’autore in quel luogo dell’anima dove sorgono le domande sull’uomo, da cui traggono origine le letterature di ogni tempo. Dopo l’uscita del film, il regista, è costretto a difendersi sia da coloro che negano l’autenticità introspettiva che lo conduce al Vangelo, sia da chi lo vorrebbe squalificare nello stile del Partito Comunista di Casarsa della Delizia nel 1949. Nell’ottobre del 1964, Pasolini riprende i dialoghi con i lettori di “Vie Nuove” per chiarire la sua posizione:
Non sono affatto cattolico. […] Ho amato la religione rustica dei contadini friulani, le loro campane, i loro vesperi. Ma cosa c’entrava lì il cattolicesimo? […] Forse è appunto perché sono così poco cattolico, che ho potuto amare il Vangelo e farne un film: non ho dentro di me le resistenze interne contro la religione che inibiscono un marxista che sia stato veramente un borghese cattolico. […] posso stare meravigliosamente bene tra i cattolici intelligenti, provare un profondo affetto verso la loro mitezza: non riesco a sentire il mondo manicheisticamente. […] Ho potuto farlo così come l’ho fatto perché mi sento libero, e non ho paura di scandalizzare nessuno; e infine perché sento che la parola d’amore […] di cui è stato campione Giovanni XXIII, va considerata come un impegno della nostra lotta.
(Dialoghi con Pasolini, “Vie Nuove”, 22 ottobre 1964; citazione da A. Giordano N. Naldini (a cura di) Pasolini. Le lettere, Garzanti, Milano, 2021, pag. 203).
Chi sono i cattolici intelligenti? Che altrettanto si sentono liberi di lavorare con il regista?
È qui, secondo il mio punto di vista, che va contestualizzata la vicenda: la realizzazione è stata possibile in luogo dei tentativi, storicamente determinati, di dialogo tra cattolici progressisti e marxisti meno intransigenti. Lo spirito del Concilio Vaticano II aleggia sull’opera più di quanto le parti in causa vogliano ammettere: agli ottocento padri conciliari verrà proposta una visione privata del Vangelo secondo Matteo, a dimostrazione che il dialogo, se non completamente possibile, è auspicabile; il 3 ottobre 1964 giungono a Pasolini le congratulazioni del sindaco di Firenze Giorgio La Pira, il cui nome, nei mesi precedenti, è spesso accostato a Pasolini. Cattolico fervente, tanto da essere soprannominato “sindaco santo”, La Pira è tra i massimi rappresentanti del cristianesimo sociale, il quale, tra i suoi obiettivi, emerge un confronto politico e teorico con il marxismo.
In conclusione, il Vangelo secondo Matteo, è un’opera che ha validità estemporanea in virtù della sensibilità artistica di un intellettuale complesso come Pasolini, resa possibile dall’impegno eterodiretto della Pro Civitate Christiana, che ha fornito il “campo da gioco” entro il quale sperimentare una forma di dialogo tra cattolici e marxisti.
I preti non sono mica il diavolo: altrimenti dovremmo adottare, rovesciata, la posizione manichea di quasi tutti i cattolici nei nostri confronti. […] Ora, da parte dei comunisti verso i preti, e da parte dei preti verso i comunisti, c’è una specie di atteggiamento “razzistico”: essi, volendolo o no, cedono a una specie di tentazione discriminatoria […]. Papa Giovanni era psicologicamente, direi, incapace di discriminare […]. Ve lo immaginate Papa Giovanni scandalizzato o indignato contro gli otto milioni di votanti comunisti in Italia? Io no. […] Comunque tutto questo proceda, due cose permangono certe: 1) Una filosofia atea non preclude il rispetto per la religione; 2) Una filosofia atea non è la sola filosofia possibile del marxismo – tanto è vero che la base marxista e operaia è sempre stata nella sua maggioranza credente, ed anche ad alto livello si sono avuti molti marxisti cattolici. Ed è comunque un fatto corrente e tipico del marxismo contemporaneo quello di contenere molti elementi della cultura borghese e irrazionalistica, elaborandoli in forma complessa e originale.
(P.P. Pasolini, Il “Vangelo” e il colloquio, “Vie Nuove”, n. 44, 29 ottobre 1964; ora in P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano, 1999, pp.1029-30).
BIBLIOGRAFIA
- Fabbretti, Quello che mi è rimasto di Pasolini fra incontri, paure, dolorosa poesia, «Stampa Sera», 19 novembre 1984.
- Ferrero, Il cinema di Pier Paolo Pasolini, Marsilio, Venezia, 1994.
- Giordano, Naldini (a cura di), Pasolini. Le lettere, Garzanti, Milano, 2021.
- Murri, Pier Paolo Pasolini, Il Castoro, Milano, 1994.
- Pozzetto, Lo cerco dappertutto. Cristo nei film di Pasolini, Àncora, Milano, 2007.
- Siti, Zabagli, Pasolini. Per il cinema, Mondadori, “Meridiani”, Milano, 2001.
- Spila, Pier Paolo Pasolini, Gremese, Roma, 1999.
- Subini, La necessità di morire. Il cinema di P. P. Pasolini e il sacro, Eds, “Frames”, Roma, 2008.
- Subini (a cura di), Pasolini e la Pro Civitate Christiana. Un carteggio inedito, «Bianco & Nero», n. 1-3, inverno 2003.