Pasolini e “La terra vista dalla luna”
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Riflessioni di Luciano Ragusa
Dopo l’esperienza di Uccellacci e uccellini (1966), Pasolini decide di realizzare un film a episodi con protagonisti gli stessi Totò e Ninetto Davoli, con l’intento di approfondire la sua vena comica e proporre un punto di vista disincantato sul mondo. Il progetto, che avrebbe dovuto chiamarsi Che cos’è il cinema?, oppure Smandolinate, viene ridimensionato quando il produttore Dino De Laurentis gli propone di partecipare ad un film collettivo dal titolo Le streghe, accanto ai registi Bolognini, Rosi, Visconti e De Sica.
L’idea del film è quella di far ruotare le storie attorno al tema della donna strega, argomento distante dalle tematiche del regista friulano, che però, risponde alla proposta ripescando una sorta di fumetto da lui stesso disegnato che avrebbe dovuto intitolarsi Il buro e la bura.
Nasce così La terra vista dalla luna, che narra le gesta di Ciancicato Miao (Totò) e del figlio Baciù (Ninetto Davoli), alla ricerca della moglie e madre ideale per la propria surrealista famiglia: protagonista femminile assoluta, non solo di questo episodio, ma dell’intero film, è Silvana Mangano, a cui spetta il compito di rappresentare in diverse sfumature il concetto di strega.
Sebbene il mediometraggio sia stato visto da molti critici come una parentesi nella filmografia pasoliniana, in realtà, vi appare una certa continuità con Uccellacci e uccellini.
Certamente, ne La terra vista dalla luna, manca la componente sfacciatamente ideologica del film precedente, ma rimane presente nella trama vaporizzata dal copione fiabesco della vicenda.
Inoltre, rimane il clima generale: in primo luogo l’allegra tristezza di Totò e Davoli; in seconda istanza, un dialogo importante padre e figlio, sottolinea come gli ideali, ormai, “stanno sotto le scarpe”, che sa tanto di corvo – personaggio che in Uccellacci uccellini rappresenta l’intellettuale di sinistra degli anni 60’ – mangiato e digerito.
Da un punto di vista formale il modello dichiarato dall’autore è quello delle comiche di Chaplin, che, essendo mute, contenevano già nell’immagine tutta la loro forza espressiva, motivo il quale, Pasolini, ha disegnato l’episodio prima di giungere ad una sceneggiatura.
Ma cosa bisogna leggere dietro questa scelta stilistica? Appartiene ad una ricerca linguistica nuova?
La risposta è probabilmente affermativa, perché rappresenta il primo passo del regista verso l’elaborazione completa di un linguaggio filmico che deve fare a meno della concettualizzazione borghese del discorso, e che non può essere compreso se affrontato con i soli parametri del senso comune (ecco perché la terra deve essere vista dal satellite lunare).
Ciò che, in maniera esplicita, parla nel film è il colore, volutamente sovraccarico (prima esperienza interamente a colori del regista), il quale, conferisce al girato, un’immagine grottesca e surreale, come se al colore avesse affidato il compito di costruire un senso, visto che il parlato non esprime più nulla se non il vuoto della società di massa. Da leggere in questi termini l’ultima frase del film: “essere vivi o morti è esattamente la stessa cosa”.
Scrive Serafino Murri nel suo bellissimo libro dedicato al cinema di Pier Paolo Pasolini a proposito del mediometraggio:
La morale del film, che l’autore dice di essere tratta dalla filosofia indiana, non è, come parte della critica militante fu portata a scrivere, rinunciataria e nichilista, poiché non c’è nessun accenno di pessimistico consenso con quella affermazione: semmai, con fin troppa ironia, vi si ritrova un malcelato invito a non accettare la logica imperante, ad essere lunari quel tanto che basta per prendere le distanze dai tentacoli mostruosi del nonsenso sociale e dei suoi schematismi da marionette. La forma fiabesca stigmatizza dunque la falsità della vita, una vita perduta, sepolta in un mare di grotteschi comportamenti e necessità secondarie. (S. Murri, Pier Paolo Pasolini, Il Castoro, Milano, 1994, pag. 77).
SCHEDA DEL FILM:
Terzo episodio del film Le streghe. Gli altri sono: La siciliana, F. Rosi; Senso civico, M. Bolognini; La strega bruciata viva, L. visconti; Una serata come le altre, V. De Sica.
Soggetto, sceneggiatura, regia: Pier Paolo Pasolini.
Aiuto alla regia: Sergio Citti.
Fotografia: Giuseppe Rotunno.
Scenografia: Mario Garbuglia, Piero Poletto.
Costumi: Piero Tosi.
Musiche originali: Ennio Morricone.
Montaggio: Nino Baragli.
Interpreti: Totò (Ciancicato Miao), Ninetto Davoli (Baciù), Silvana Mangano (Assurdina Caì), Mario Cipriani (un prete), Laura Betti (turista), Luigi Leoni (moglie del turista).
Produzione: Dino De Laurentis Cinematografica; Les Productions Artistes Associés.
Produttore: Dino De Laurentis.
Riprese: novembre, 1966; esterni: Roma, Ostia, Fiumicino; durata: 31 minuti.
Bibliografia:
- Murri, Pier Paolo Pasolini, Il Castoro, Milano, 1994.
- P. Pasolini, Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday, Guanda, “Biblioteca della Fenice” Parma, 1992.
- P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 2012.
- Siti, F. Zabagli, Pasolini. Per il cinema, Mondadori, “I Meridiani”, Milano, 2001.