Per cosa preghiamo oggi nelle veglie per il superamento dell’omotransfobia?
Riflessioni di Pietro de La Tenda di Gionata
Quando mi è stato chiesto di scrivere una testimonianza sul tema delle veglie contro l’omofobia, mi sono stupito. Io non ho quasi mai partecipato a una veglia contro l’omofobia, forse a un paio da quando esistono, quindi la richiesta mi ha preso in contropiede e mi ha costretto a ragionare su cosa significano per me le veglie contro l’omofobia.
Personalmente le ritengo ormai armi spuntate, che non servono davvero a ridurre l’omofobia nella chiesa. Infatti, credo che la legge Zan sia molto più utile che qualunque veglia, per combattere l’omofobia dentro e fuori la chiesa.
Mi rendo però altrettanto conto che è ingiusto liquidare così un fenomeno, che almeno nei suoi primi anni, ha avuto una certa utilità nel costringere alcune diocesi a prendere atto dell’esistenza dei cristiani LGBT.
Per quanto io creda che occorra un sano distacco interiore dalla chiesa istituzionale (parrocchie comprese), quel distacco che serve per vedere le cose con lucidità, come guardandole dall’alto, senza farsi ogni volta trascinare in un braccio di ferro snervante e senza fine come spesso mi capita di vedere nei nostri gruppi o chat, capisco comunque chi vuole rimanere “dentro” anziché “sopra”.
La veglia, in effetti, nasce anche per far capire che siamo “dentro” nonostante il sistema ci voglia “fuori”. La veglia è stata storicamente “un forzare la mano” per cercare spazi istituzionali e comunitari riconosciuti. Pregare contro l’omofobia stando all’interno delle radici dell’omofobia è un paradosso affascinante e tipicamente cristiano. Ma oggi? Hanno ancora uno scopo per ampliare i nostri spazi d’azione all’interno della chiesa?
Forse bisognerebbe chiedersi per cosa preghiamo oggi nelle veglie? Perché la chiesa si apra? Perché Dio ci protegga dagli omofobi? Perché passi una legge contro l’omotransfobia? Perché il Papa cambi il catechismo? Perché il vescovo di quella o di questa provincia sia, più o meno farisaicamente, coinvolto?
Insomma il generico “veglia contro l’omofobia” vuol dire tutto e nulla. Forse occorrerebbe definire meglio per cosa preghiamo. Potendo le chiamerei veglie per le persone omotransfobiche (per e non contro). Sì perché, se ancora un senso riesco a trovare a queste veglie, è quello di pensare che si preghi per i nostri nemici come paradossale e divino atto di amore.
Ecco allora, durante le veglie per le persone omotransfobiche, preghiamo per loro con amore. Credo siano le sole preghiere che Dio possa apprezzare (e forse le uniche che ascolta).
Per farla breve, l’unico senso che riesco a dare oggi a queste veglie, è quello di spingerci “al centro della divina compassione”, il luogo della sintesi e della ricomposizione dell’unità, come riesce a dimostrare questa toccante preghiera anonima per i persecutori scritta in un lager nazista:
Signore,
quando ritornerai nella tua gloria,
non ricordarti solo
degli uomini di buona volontà.
Ricordati anche
degli uomini di cattiva volontà.
Ma, allora, non ricordarti
delle loro sevizie e violenze.
Ricordati piuttosto dei frutti
che noi abbiamo prodotto a causa
di quello che essi ci hanno fatto.
Ricordati della pazienza degli uni,
del coraggio degli altri, dell’umiltà,
ricordati della grandezza d’animo,
della fedeltà
che essi hanno risvegliato in noi.
E fa’ Signore, che questi frutti
da noi prodotti siano, un giorno,
la loro redenzione.
Solo così possiamo cercare di ricomporre il puzzle di questo penoso e, per molti, lacerante scontro fra chi vuole vivere in coerenza con se stesso e chi non accetta questo, usando il dio della tradizione come un martello sulle nostre teste.