Per i migranti LGBT in Sudafrica la religione può essere una benedizione o una maledizione
Articolo di John Marnell* pubblicato sul sito The Conversation (Australia) il 4 novembre 2021, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Il credo religioso spesso crea molti scrupoli morali riguardo ai diritti sessuali e di genere. In molti Paesi le autorità politiche, culturali e religiose usano la retorica religiosa per giustificare l’esclusione e ridurre lo spazio disponibile per gli attivisti LGBT.
La politicizzazione delle religione in Africa è ben documentata. È una strategia usata per avallare l’idea che l’eterosessualità sia l’unica espressione naturale e normale del desiderio umano.
Quello di cui si parla di meno è il ruolo positivo che la religione gioca nella mentalità africana, anche tra i rifugiati. Si presta anche poca attenzione alle comunità religiose che accolgono con gioia le persone LGBT.
Nel mio nuovo libro Seeking Sanctuary: Stories of Sexuality, Faith and Migration (In cerca di un rifugio: storie di sessualità, fede e migrazioni) esploro entrambe le dinamiche.
Il libro è una sorta di cronaca del pluridecennale progetto di racconto orale svolto assieme alla pastorale LGBT della parrocchia cattolica della Santissima Trinità di Johannesburg, che dal 2009 è aperta alle persone LGBT di tutte le fedi e le nazionalità, ed è molto conosciuta tra i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo. Oltre a provvedere al nutrimento spirituale, la parrocchia offre uno spazio protetto in cui le persone LGBT possono ricevere sostegno, costruire una comunità e combattere per i propri diritti.
Documentando le vite di chi frequenta la parrocchia, ho voluto capire come la loro fede si sia sviluppata nel tempo, e come abbia caratterizzato la loro esperienza di migrazione. Ho anche discusso con le autorità ecclesiastiche sul ruolo che le istituzioni religiose possono giocare nel combattere l’omofobia, la transfobia e la xenofobia.
I migranti LGBT in Sudafrica
Il Sudafrica ospita da tempo molte persone LGBT in fuga dalle persecuzioni. Molti cercano protezione da violenze, soprusi e dure sanzioni penali, altri arrivano da Paesi dove gli atteggiamenti omofobi e transfobici sono pervasivi, e dove non ci sono leggi specifiche riguardanti le minoranze sessuali e/o di genere.
Chi raggiunge il Sudafrica spera che le sue leggi progressiste lo protegga dalle esperienze che si è lasciato alle spalle: pestaggi, estorsioni, abusi familiari, matrimoni forzati o anche il semplice dover nascondere la propria identità, i propri desideri e le proprie relazioni.
Per molti, questo sogno di libertà rimane tale. Alcune ricerche mostrano che i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo LGBT faticano a trovare una sistemazione e un lavoro, e sono regolarmente sottoposti ad abusi fisici, sessuali ed emotivi, oltre che a discriminazioni da parte dei funzionari pubblici, della polizia, del personale sanitario e di altre figure preposte a fornire assistenza e supporto.
Come mostrano le storie del mio libro, la religione è il motivo preponderante per cui gli Africani LGBT lasciano il loro Paese d’origine: essa contribuisce alle discriminazioni che tentano di fuggire, e a quelle presenti nella stessa Repubblica Sudafricana.
Gli scrupoli religiosi verso le diversità sessuali e di genere possono ridurre la possibilità di richiedere asilo. Recentemente, un uomo dello Zambia se l’è vista negare in quanto gay e cristiano, qualcosa che l’impiegato addetto alla determinazione dello status di rifugiato ha ritenuto impossibile.
Tuttavia, la religione può anche essere fonte di conforto e forza, offrendo ai migranti, ai rifugiati e ai richiedenti asilo LGBT un fondamento teologico da cui partire per rivendicare la propria identità e i propri diritti.
La religione come motivo per migrare
Per questo progetto sono state intervistate trenta persone provenienti da un nutrito gruppo di Paesi (Camerun, Etiopia, Lesotho, Nigeria, Sudafrica, Uganda, Zambia e Zimbabwe), che si identificano con una molteplicità di tradizioni religiose, e tutte hanno riportato di aver provato, nella loro giovinezza, vergogna e colpevolezza.
Questo tumulto interiore è da attribuirsi alla loro educazione religiosa e ai comportamenti negativi che hanno dovuto subire. Alcuni ricordano dei leader religiosi che hanno espressamente denunciato persone LGBT, mentre altri parlano di una generale cultura omofoba e transfobica, avallata dalla cultura religiosa locale.
In casi estremi, i partecipanti sono stati oggetto di violenza da parte dei capi religiosi:
“[Alla madrasa] gli insegnanti mi punivano perché ero effeminato. All’inizio, per farmi sentire a disagio, usavano le parole, ma col passare del tempo iniziarono a battermi. Dicevano che l’islam non tollera ragazzi come me.” Eeyban, gay etiope
L’omofobia e la transfobia dei capi religiosi può avere un impatto profondo, può far credere alle persone LGBT di essere malate e peccatrici, e incoraggiare la discriminazione in famiglia e nella comunità, e anche a livello governativo. In molti casi crea una cultura di impunità per gli autori delle violenze.
La religione come fonte di conforto
Nonostante raccontino molte esperienze traumatiche, raramente i partecipanti parlano della religione in termini totalmente negativi.
Molti conservano ricordi positivi delle cerimonie religiose a cui partecipavano, e descrivono la fede come parte integrante della propria percezione di sé. Pochissimi vedono una contraddizione tra le loro convinzioni spirituali e religiose e il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere, al contrario, offrono argomentazioni teologiche per la diversità:
“La Bibbia ci dice che l’amore è la cosa più importante, che non possiamo conoscere Dio se non amando, quindi per me è importante onorare i desideri con cui Dio mi ha benedetto.” Nkady, lesbica del Lesotho
Il comandamento dell’amore senza giudicare è usato come critica all’inazione dei leader religiosi:
“[I leader religiosi] dovrebbero prendersi la responsabilità di promuovere la diversità. […] Dovrebbero predicare l’amore, non l’odio.” Mr D, uomo bisessuale camerunense
Lo slittamento dalla percezione della religione come forza oppressiva a forza che promuove l’inclusione è stata attribuita al coinvolgimento dei partecipanti nella pastorale LGBT. Incontrare figure religiose progressiste li ha aiutati a far pace con la propria identità e a trovare forza in ciò in cui credono.
Andare oltre ciò che è ovvio
In molta letteratura sulla migrazione delle persone LGBT, la religione è presentata negativamente. Si ritiene che sia un fattore molto importante per la fuga delle persone LGBT. Il mio libro propone una lettura più sfumata di fede, sessualità, genere e migrazione. Le storie che ho raccolto dimostrano che gli Africani LGBT interpretano le Scritture in modo da riflettere le proprie aspirazioni, i propri valori, i propri bisogni e le proprie esperienze, e anche per dare forza alle loro richieste di giustizia ed uguaglianza.
È cruciale che ricercatori, attivisti, funzionari statali e figure religiose amplino la loro conoscenza della relazione tra religione e migrazione, perché questo li aiuterà a pensare diversamente alle esperienze dei migranti, dei rifugiati e dei chiedenti asilo LGBT. Tutto ciò serve anche a ribadire il contributo positivo che le istituzioni religiose possono dare nella lotta contro i pregiudizi.
* Sto frequentando l’ultimo anno del dottorato in migrazioni e società dell’Africa all’Università del Witwatersrand a Johannesburg (Sudafrica). Compio ricerche sulla vita quotidiana dei rifugiati, richiedenti asilo e migranti forzati appartenenti alla comunità LGBTQI+ in Kenya e Sudafrica. Il mio interesse si rivolge in particolare all’etica e alla produzione di conoscenza, e il mio lavoro di ricerca spesso include metodi di produzione artistica collettiva. Ho contribuito a fondare e a dirigere la Rete di Ricerca Africana sui Migranti LGBTQI+ ( www.almn.org.za ).
Testo originale: LGBT migrants in South Africa: religion can be a blessing, and a curse