Per noi gay cristiani è tempo di uscire dall’armadio, ancora e ancora
Riflessioni di Darren Main* tratte dal suo libro Hearts and Minds: Talking to Christians About (Cuore e mente. Colloquio con i Cristiani sull’omosessualità), Findhorn Press Ltd., 2008, liberamente tradotte da Alberto
I tempo sicuramente sono cambiati. Quando ero un ragazzino non c’era nulla di peggio che essere gay. Apostrofare qualcuno con il termine “gay” sul campo di gioco o sullo scuolabus ero il modo più efficace per insultare o sbeffeggiare, e ciò accadeva ben prima che qualcuno di noi sapesse che cosa significasse la parola “gay”. Oggi, fa tendenza conoscere qualcuno che sia gay o lesbica. Quando mia madre iniziò a dire alle sue amiche che aveva un figlio gay, quest’ultime non indugiarono a raccontarle tutto dei loro amici gay.
Questo processo non è avvenuto dall’oggi al domani e non è accaduto quale conseguenza di un solo avvenimento. È avvenuto quando le persone omosessuali, una alla volta, decisero di “uscire dall’armadio”, di fare coming out. È difficile per le giovani generazioni di uomini e donne gay comprendere quale grosso problema fosse stato fare coming out. Molti hanno perso la loro famiglia, il loro lavoro e il rispetto della società quale risultato del loro gesto. Hanno fatto coming out perché credevano in qualcosa di più grande di loro stessi – cioè, che essere gay era naturale per essi quanto essere eterosessuali lo era per molti altri.
Qualche tempo fa stavo parlando con un ragazzo gay di 23 anni che aveva fatto coming out all’età di 15. I suoi genitori lo sostennero in tutto e portò perfino il suo ragazzo alla festa del diploma. Naturalmente il preside della sua scuola chiese loro di andarsene, ma fu pur sempre un inizio.
Con tutte queste buone notizie sarebbe facile per noi adagiarci e pensare che sia tutto risolto. Nei primi anni ’90 il cantante principale del gruppo rock Skid Row, Sebastian Bach, apparve in TV con indosso una maglietta con su la scritta “AIDS kills fags dead”[1] (l’AIDS ammazza i froci). Una scritta cosi disgustosamente offensiva è talmente inaccettabile al giorno d’oggi che è perfino difficile pensare sia mai esistita. Tuttavia, qualcosa di grande successe quando quella maglietta apparve in pubblico.
Fino a quel momento, tali odiose ingiurie contro le persone gay erano generalmente accettate. Un anno prima di quel fatto, pochi avrebbero perfino fatto caso che Sebastian Bach indossasse quella maglietta. Comunque, l’indignazione generale nei confronti di Sebastian Bach fu talmente forte e violenta che fu costretto a scusarsi pubblicamente per averla indossata.
Cosa era successo? Perché quel cambiamento nell’opinione pubblica? Credo che un buon numero di persone gay aveva fatto coming out a quel tempo e tale da costringere il pubblico a considerare in modo molto più umano il problema. Per la prima volta la gente non vide scritto sulla maglietta “l’AIDS ammazza i froci”, ma vide scritto “l’AIDS ammazza mio figlio, il mio compagno di stanza, il mio migliore amico, mio fratello, mio nipote”.
Il nostro compito col coming out non è finito, e mentre non è più accettabile indossare magliette con scritte offensive nei confronti delle persone gay, esiste ancora un luogo in cui discorsi di odio nei confronti degli omosessuali e dei transsessuali è largamente accettato. Questo luogo è il pulpito. Dobbiamo fare in modo che questo cambi prendendo il nostro posto a tavola e facendo in modo che i buoni Cristiani che ci sono dappertutto sappiano che siamo persone buone che meritano gli stessi diritti di chiunque altro. Sono cresciuto in un ambiente cattolico.
Durante gli anni della crescita, mia madre era molto assidua nel frequentare la chiesa[2] e mai avrebbe messo in discussione ciò che la chiesa insegnava. Naturalmente, gli insegnamenti ufficiali della chiesa non sono propriamente positivi nei confronti dei gay. Mia madre mai avrebbe dubitato di questa dottrina – cioè, finché non sono stato io a fare coming out.
D’un tratto, la dottrina della chiesa non riguardava più alcune persone pervertite, depravate, tristi e solitarie che vivevano a “Frisco”.[3] Ora il prete se ne stava dritto sul pulpito a inveire contro qualcuno che lei sapeva era una persona buona e alla quale era molto affezionata.
Mi rivolgeva un sacco di domande riguardanti il mio benessere spirituale; per amore, voleva assicurarsi che suo figlio non andasse all’inferno. Dopo aver discusso con lei della causa che mi prefiggevo di raggiungere con questo libro, si è messa il cuore in pace. L’ultima volta che ho parlato con lei di questo problema si sentì costretta a dirmi queste parole: “Fammi capire, la chiesa vuole giudicare te per essere gay ma coprono i pedofili. Ipocriti, ecco cosa sono. Non metterò più un centesimo nella cassetta delle elemosine”. Non è più andata in chiesa da quando è scoppiato lo scandalo della pedofilia nel clero (ndr negli Stati Uniti).
Non dobbiamo accontentarci solamente di fare coming out come lo fanno i personaggi della moda e dello spettacolo, i quali frequentano i migliori ristoranti e vestono elegantemente. Anche quelle cose sono certamente importanti, ma il nostro compito vero sta davanti a noi. Dobbiamo cambiare i cuori e le menti dei Cristiani e nel farlo aiuteremo a porre fine a tutti i sermoni di odio che ancora vengono largamente accettati. Fare coming out – ancora e ancora – è l’unico modo per raggiungere tale scopo.
Come si può fare coming out ancora e ancora? Vivendo una vita morale e spirituale che abbia considerazione per le persone e le rispetti – tutte le persone. Essere allo stesso tempo gay o persone che accettano i gay ed essere persone che curano il proprio spirito. Ed essere intrepidi nella nostra apertura verso entrambe le cose. Esprimere con rispetto e premura il nostro disaccordo con i capi religiosi che continuano ancora a fare sermoni di odio e fare in modo che si possa essere persone religiose e gay allo stesso tempo.
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[1] http://en.wikipedia.org/wiki/Anti-gay_slogans
[2] Nella Parte Terza di questo libro viene riportato un breve saggio di mia madre, Kathy Ascare, in cui racconta la sua storia. Il saggio s’intitola “Leaving the Church and Finding Love”, “Perdere la chiesa e trovare l’amore”.
[3] Oltre ad aiutare mia madre a mettere in discussione gli atteggiamenti della chiesa nei confronti dell’omosessualità, le ho anche insegnato a non riferirsi a San Francisco come a “Frisco” – prova ulteriore che ogni madre dovrebbe avere almeno un figlio gay.