Per noi gay marocchini la primavera non è finita. Taia: “La società sta cambiando, il potere no”
Articolo di Roberto Persia pubblicato su Il Vernerdi di Repubblica del 4 settembre 2020, pag.30-31
In Marocco essere omosessuali è un reato; e così le storie che raccontano le vite della comunità Lgbtq spesso rievocano un’educazione sentimentale violenta. Abdellah Taia è il primo scrittore e regista marocchino ad aver dichiarato apertamente di essere omosessuale, nel 2007, dalle colonne della rivista Telquel.
È stato denunciato, ma con i suoi romanzi e i suoi film è diventato un punto di riferimento per i giovani omosessuali marocchini. Funambolo edizioni ha da poche settimane pubblicato in Italia il suo Melanconia araba (editore Funambolo, 2020, pp. 132, traduzione di Stefano Valenti), un romanzo che mette a nudo aspetti della società «che ancora oggi vengono ignorati dall’élite politica marocchina».
È ancora così difficile parlare di amore omosessuale e di violenza nel dibattito pubblico marocchino?
«In realtà in Marocco il tema è di grande attualità. I media appoggiano la causa Lgbtq, così come le organizzazioni umanitarie e una parte della società civile. Solo il potere resta in silenzio sulla modifica della legge coloniale (inserita nella costituzione marocchina dalla Francia negli anni 40) che criminalizza la comunità Lgbtq.
Anche se siamo un paese musulmano e tradizionalista, nella società il cambiamento è già iniziato. Ma a causa del silenzio del governo molti giovani gay sono vittime di violenze e di emarginazione ogni giorno.
Dobbiamo continuare a combattere, non c’è altra scelta. L’eredità e il ricordo delle primavere arabe del 2010-2011 possono aiutarci nel continuare la nostra lotta. I dittatori arabi erano spaventati dalle persone scese in strada a manifestare. Non le dimentico le primavere arabe. Non sono finite».
Quando scrive si concentra anche sull’impatto politico che può scaturire dal racconto delle sue esperienze personali?
«Sfortunatamente ci rendiamo conto troppo tardi che la nostra identità viene costruita dal potere. Il potere politico ci impone quello che dobbiamo pensare di noi stessi e chiede ai nostri genitori di essere i nostri guardiani. Quando sei giovane non puoi capirlo.
Nei miei libri parlo sempre di questa ambiguità, della necessità di diventare dei fuorilegge solo per capire realmente chi siamo. Io l’ho capito in Marocco a 18 anni, e ora che vivo in Francia mi rendo conto che anche l’Occidente chiede agli individui le stesse cose, le stesse maschere.
Dov’è realmente la libertà? Dove possiamo trovarla? A Parigi, a Roma, al Cairo, a New York? È chiaro che oggi non dobbiamo dare per scontati né fatti né valori. I contorni incerti sono qualcosa che mi interessa moltissimo».
Come vive il rapporto con il suo Paese? È possibile esprimere liberamente le proprie idee? In quanto autore marocchino è libero di tornare in Marocco?
«Tutti i miei romanzi sono venduti nelle librerie marocchine. Partecipo ogni anno a eventi letterari. Diciamo che il potere mi tollera, forse perché scrivo in francese o per via delle mie origini. Vengo da una famiglia molto modesta, penseranno: “Oh, è solo un povero scrittore, non può darci problemi”.
Ma la vera libertà non esiste in nessun luogo. In Marocco sono dovuto scappare dalla povertà e dagli stupri. Nessuno mi ha difeso quando ero un adolescente gay. Sono dovuto scappare e trovare un posto dove poter riflettere su chi sono. Ho pensato che imparare il francese all’Università di Rabat mi avrebbe reso possibile fuggire.
In qualche modo ci sono riuscito, al prezzo di dover scrivere nella lingua dei colonialisti. Poi, a Parigi, divento l’Altro: l’arabo, il musulmano, lo straniero, il potenziale terrorista…e cosi, dove posso scappare adesso? Dove si trova la libertà»?
Quale sarebbe la lingua che le permetterebbe di esprimersi più liberamente?
«Nessuna lingua è sinonimo di libertà totale. Il linguaggio è una trappola e sono sempre molto attento alle parole che uso. Come posso scrivere qualcosa di originale, nuovo, potente con le mie parole? È una cosa molto difficile da fare e questo è il motivo per cui ho iniziato a scrivere e ancora lo faccio.
Ho imparato il francese e l’inglese per migliorare la mia condizione sociale, ma sono consapevole che queste sono le lingue di paesi conquistatori che provano a dominare il mondo. La mia idea di lingua non è né ingenua né romantica».
Di recente la comunità Lgbtq marocchina ha subito un’ondata repressiva. Cosa è successo?
«È partito tutto dalla famosa transgender marocchina Sofia Taloni, che oggi vive a Istanbul. Ha mostrato ai marocchini come trovare persone omosessuali tra i propri conoscenti usando siti e app di incontri. Un gioco lanciato sui suoi account social in un momento di noia. Ma è stato orribile, e criminale: in tanti sono andati sulle app e hanno condiviso su internet gli screenshot delle persone che hanno trovato.
Qualche ragazzo si e suicidato, altri sono stati costretti a scappare di casa. E tutto questo durante il lockdown per il coronavirus. I luoghi del potere marocchino sono rimasti in silenzio, un silenzio altrettanto criminale. Per fortuna a condannare i comportamenti omofobi ci hanno pensato i media e le organizzazioni umanitarie che supportano la comunità Lgbtq».
Sono passati 50 anni da II pane nudo, il romanzo autobiografico di Mohamed Choukri considerato un capolavoro della letteratura marocchina moderna. Quanto sono vicini quel Marocco e quello descritto dal suo Melanconia araba?
«Considero Mohamed Choukri il mio vero padre, un padre libero. Il mio eroe. Il suo romanzo, scritto in arabo nel 1970 ma da noi censurato fino al 2003, ancora oggi è assolutamente rivoluzionario. Choukri ha raccontato il vero Marocco, con parole dure e con una poetica oscena. Ha affrontato il colonialismo, le disuguaglianze, l’abbandono in cui erano lasciate le regioni settentrionali del Paese, di cui era originario.
Lo scandalo che questo libro ha destato è ancora vivo in Marocco. È in me, naturalmente, soprattutto dal punto di vista umano e, in modo inconscio nel mio modo di scrivere. Io sono un marocchino gay e ho sempre voluto che nei miei lavori letterari si avvertisse la trasgressione che è stata necessaria per sopravvivere alla mia infanzia e adolescenza.
Ritrovare nelle parole il mio modo di essere trasgressivo. Choukri ci ha indicato la strada: come essere critici e consapevoli del gioco politico che ci circonda e che non ci lascia essere liberi. Melanconia araba è frutto di tutte queste lezioni».