Perché il 5 maggio veglieremo in una parrocchia abruzzese per il superamento dell’omotransfobia?
Dialogo di Katya Parente con una Maria Assunta, una madre cattolica con un figlio LGBT+ del gruppo “Siamo tutti pezzi unici”
Tra non molto inizierà il mese del Pride e, com’è ormai tradizione in occasione della giornata mondiale contro l’omotransbifobia (17 maggio), i gruppi di cristiani LGBT si raccoglieranno in preghiera nelle diverse veglie per il superamento dell’omotransbifobia che si terranno in tante comunità cattoliche e evangeliche su tutto il territorio nazionale.
Proprio per parlare di una di queste abbiamo invitato Maria Assunta di Montesilvano (Pescara) impegnata in parrocchia, madre di un figlio FtM e animatrice del gruppo “Siamo tutti pezzi unici” di genitori cristiani con figli LGBTQ di Abruzzo-Marche.
Perché nasce “Siamo tutti pezzi unici”?
Il gruppo “Siamo tutti pezzi unici” nasce dall’esigenza di noi genitori cattolici con figli LGBTQ di condividere tutti quei vissuti fatti di incertezze, paure, ansie che si producono quando il proprio figlio fa coming out con altri genitori che vivono la stessa condizione.
Ascoltare le storie degli altri rafforza la propria convinzione che la strada più giusta è quella che si sta perseguendo, cioè accompagnare il proprio figlio e farlo sentire “amato”. Sentire che un altro genitore ce l’ha fatta ci rende più sicuri che anche noi possiamo farcela.
Cosa vuol dire, in concreto, essere un genitore credente di un figlio/a LGBT? Che prospettive nuove dà alla fede?
Essere genitori di un figlio LGBTQ per una persona che ha fede significa sperimentare altri sentieri in cui l’amore di Dio si manifesta, significa scoprire che l’amore di Dio non ha limiti così prevedibili ma è talmente sconfinato da raggiungere delle condizioni umane che con tanta banalità spesso si lasciano ai margini perché troppo scomodi da raggiungere.
Noi genitori ci riteniamo fortunati perché Dio ci ha scelti per fare questo salto nel buio e fidandoci di Lui ci ha resi partecipi di un amore così grande in cui non ci sono differenze che tengano, c’è la persona nella totalità e nella sua bellezza.
La pastorale LGBT parrocchiale sta diventando una realtà sempre più presente in Italia. Come questo tipo di attività può creare ponti tra i credenti queer e la Chiesa gerarchica?
La parola pastorale già di per sé include l’accoglienza, accoglienza non significa permettere alle persone LGBTQ l’accesso in Chiesa (ammesso che qualcuno debba fare questa concessione). Accoglienza significa far sentire quella persona vista, ascoltata con interesse, significa cogliere nella sua storia la sofferenza, le ferite che si porta e provare compassione per quelle ferite, desiderare di accompagnare quella persona nella cura di quelle ferite facendola sentire amata, compresa, non giudicata e non sbagliata per la sua diversità ma semplicemente figlia di un Dio che ama e basta. La gerarchia ecclesiastica può cambiare la propria posizione solo se in queste storie e in queste persone vede la misericordia di Dio che ha deciso di crearle così. La gerarchia non può anteporre le regole alle persone perché il primo a non fare questo è stato Gesù.
“Chi accoglie voi accoglie me“, questo il versetto evangelico che accompagnerà le veglie di quest’anno. Per la sua esperienza cosa significa “accoglienza“?
Penso che il termine accoglienza lo abbia già abbondantemente chiarito. “Chi accoglie me accoglie voi” non da scampo a nessuno… Le persone vanno accolte e basta e chi non fa questo non è un uomo di Chiesa ma è un “infiltrato” (parole di Papa Francesco).
Che significato hanno oggi le veglie per il superamento dell’omotransbifobia, specialmente in una piccola realtà parrocchiale come la sua?
La mia non è proprio una piccola realtà parrocchiale, l’anno scorso abbiamo avuto una partecipazione che ha sfiorato le 300 persone in quanto il nostro parroco, don Valentino Iezzi, che si è messo in gioco per realizzare questa pastorale molto difficile è un sacerdote molto amato e stimato dalla nostra comunità.
La veglia suscita sempre un momento di riflessione rispetto a questa condizione e ai rischi di gravi ripercussioni di odio e violenza che parole fuori posto possono indurre. La chiesa ha una grande responsabilità rispetto agli episodi di omotransbifobia perché ancora troppo spesso si assiste a giudizi affrettati e parole offensive verso le diversità frutto di posizioni miopi e prive di conoscenze scientifiche.
Molte persone che ascoltano queste sentenze si sentono legittimate ad assumere atteggiamenti aggressivi e a nutrire sentimenti di odio verso le persone LGBTQ.
Le veglie sono un evento trasversale a tutte le Chiese cristiane. Pensa che questa condivisione possa portare qualcosa di nuovo all’ecumenismo?
Penso proprio di sì perché accogliere le persone in tutte le loro diversità non è dovere solo cristiano ma di tutte le religioni. Quindi la veglia potrebbe rappresentare un momento in cui tutte le religioni si possono ritrovare e condividere insieme.
Non ci resta che ricordare gli estremi della VEGLIA DI PREGHIERA 2023 per il superamento dell’omotransfobia e di OGNI DISCRIMINAZIONE, che nello specifico a Montesilvano (Pescara) si terrà venerdì 5 maggio 2023 alle ore 21,00 nella parrocchia della Beata Vergine del Monte Carmelo, presso la chiesa grande.
Ringraziamo la signora Maria Assunta per le sue parole di fede e di coraggio e ci auguriamo che le veglie servano davvero a combattere lo stigma che, senza colpa, la comunità LGBT+ si trova ad affrontare.