Perché la chiesa cattolica dovrebbe partecipare al Pride?
Articolo di Antonio Aradillas pubblicato sul sito Religión Digital (Spagna) il 3 luglio 2017, liberamente tradotto da Claudia Iuzzolino
La Chiesa “ufficiale” avrebbe dovuto essere presente alla manifestazione di massa, nota come “Gay Pride”, recentemente tenutasi a Madrid? Avrebbe dovuto esprimere in qualche modo, ma sempre in forma “ufficiale”, il suo pensiero e le sue teorie su quest’ultima e su quelle previste per gli anni futuri?
È possibile che le seguenti riflessioni personali contribuiscano a un migliore e corretto approccio a uno tra i temi che più fanno notizia in campo sociale, politico, e anche religioso.
Credo fermamente ed esplicitamente che la risposta sia sì: la Chiesa, tramite alcuni dei suoi rappresentanti “ufficiali”, avrebbe dovuto partecipare alla suddetta manifestazione. Tuttavia, non pochi si sono accontentati, anzi, li ha sorpresi il fatto che non sia stata condannata dai pulpiti e dai rispettivi bollettini ufficiali e che non abbiano cercato, in qualche modo, di neutralizzarla con processioni “riparatorie” e flagellanti, come accadeva in passato.
Chi si sarebbe assunto la responsabilità di rappresentare la Chiesa “ufficiale” in una tale concentrazione di persone, organismi e istituzioni? Quale sarebbe stata la reazione degli spettatori e dei partecipanti alla vista dei rappresentanti della Chiesa? Forse la loro presenza si potrebbe giustificare, dove più, dove meno, in eventi politici, finanziari, commerciali e sociali in cui i capisaldi e i simboli “sacri” non mancano, dove preferiscono occupare i primi e più “onorevoli” luoghi e posizioni? Per esempio il portavoce, e allo stesso tempo segretario, della Conferenza Episcopale Spagnola, si sarebbe sentito a suo agio a rappresentare la Chiesa al Pride?
A queste e ad altre domande, formulate senza alcuna malizia e con ingenuità, se ne potrebbero e dovrebbero aggiungere molte altre. Tra le tante, sottolineo questa: come avrà reagito la gerarchia nel constatare che il partito “cattolico” per eccellenza, verso il quale la maggioranza dei voti cattolici, “di ordine” e di destra, sono consacrati e orientati, non scenderà a compromessi, unendosi alle richieste del resto dei colleghi del cosiddetto “arco parlamentare”, senza dover mettere in relazione l'”arco” con i ben noti colori tipici delle circostanze festive e festose?
Ovviamente non mancavano gesti, “orgoglio e fierezza”, grida, segni, richieste, atteggiamenti e tante altre “aspirazioni” impensabili. Ma è necessario riconoscere che, in generale, nonostante tanti e fondati timori, la festa e la manifestazione si sono rivelate “esemplari”, proprio come accade con atti simili in qualsiasi altra circostanza.
È anche necessario riconoscere che la maggior parte delle rivendicazioni, che giustificano e giustificheranno questa e altre concentrazioni di persone, superano di gran lunga la loro organizzazione e l’impegno di tutti a favore dell’ideale. Il rispetto per il pluralismo delle persone, le leggi ancora in vigore in alcuni Paesi, le tradizioni, i costumi familiari, sociali, lavorativi e le discriminazioni di ogni genere, esigono a gran voce nuove forme di comportamento personale e collettivo in favore dei gruppi che compongono il cosiddetto “Pride”, oggetto di questa piccola riflessione.
In modo speciale e spettacolare, ciò è giustificato dal trattamento, anzi maltrattamento, che “in nome di Dio” tali gruppi hanno ricevuto e ricevono dalla Chiesa. La sua idea di “peccato mortale”, con i suoi sistematici anatemi di condanna in questa vita e nell’altra, è norma di vita “religiosa” cattolica; inoltre, con cosciente, incosciente e ipocrita dimenticanza di tanti casi occulti che sono stati registrati e conosciuti, rivestiti di abiti talari.
Gesù sarebbe stato presente alla festa-manifestazione a cui si fa riferimento? Gesù c’era, e vi ha partecipato. Proprio per la maggior parte delle sue rivendicazioni, le più importanti, pronunciò e visse il suo Vangelo, e generosamente offrì la sua vita.
Cosa avrebbe fatto papa Francesco? Delle sue intenzioni abbiamo indicazioni chiare, misericordiose e più volte ribadite, ma per il momento il protocollo è il protocollo; anche se sta arrivando l’ora redentrice e felice, il cui scopo non è altro che il suo stesso superamento, debellamento o denuncia.
Ancora una volta, la Chiesa “ufficiale” spagnola ha perso l’occasione pastorale di essere, esserci e appartenere al popolo di Dio, giustificando comodamente la sua assenza con pseudoargomenti teologici, canonici e biblici, tipici delle culture (inculture) superate e sedicenti “religiose”.
Testo originale: Jesucristo y el Orgullo Gay