Perchè la Chiesa cattolica dovrebbe promuovere la pienezza delle persone transessuali
Articolo di Francis DeBernardo pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 16 novembre 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Negli Stati Uniti, dal 14 al 20 novembre si celebra la Settimana della Consapevolezza Transessuale, un’occasione per educare e aumentare la consapevolezza dei problemi delle persone transessuali nella società. Ovviamente anche noi, nella Chiesa Cattolica, abbiamo bisogno di qualcosa di simile.
In un suo articolo il (settimanale cattolico USA) National Catholic Reporter offre ai suoi lettori una nuova consapevolezza del perché, come dice il titolo, “La Chiesa dovrebbe promuovere la pienezza delle persone transessuali”.
Tre teologi inquadrano il contesto in cui esaminare l’argomento: “Un significativo numero di persone che fanno parte della Chiesa o che hanno a che fare con i suoi ministri lottano con la propria identità di genere, cercando di vivere autenticamente e di trovare un posto nelle loro comunità ecclesiali. Nelle parrocchie ci sono transessuali che partecipano agli uffici settimanali, che cercano di avere un ruolo nel ministero della Parola o in quello dell’Eucarestia. Alcuni lavorano o fanno volontariato nelle strutture sociali della Chiesa, altri ne ricevono aiuto. La presenza di persone transessuali nella Chiesa e nei suoi ministeri fa sorgere domande importanti. Come Chiesa che cerca di rispondere ai segni dei tempi e di farsi prossimo alle persone vulnerabili ed emarginate, abbiamo bisogno di pensare a come coinvolgere le persone transessuali e quale tipo di ambiente vogliamo creare per coloro che lottano con la propria identità di genere”.
I teologi osservano infatti che, nei Vangeli, Gesù è sempre in cerca degli emarginati e degli stigmatizzati per “riportarli alla pienezza e ad una vita comunitaria a tutto tondo”. La scelta dell’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo (Giovanni 4:7-42) è un esempio del ministero inclusivo di Gesù: “L’incontro di Gesù con la samaritana offre due importanti spunti alla Chiesa. Primo, Gesù cerca apertamente le persone ai margini. Secondo, Gesù non si fissa su ciò che separa un individuo dalla sua comunità; si concentra piuttosto sul suo completo benessere e ciò che fa è diretto ad aiutarlo a crescere nella fede, a riallacciare relazioni interrotte e a partecipare più pienamente alla vita comunitaria… Questa storia è solo un esempio che i Vangeli suggeriscono a una Chiesa che cerca di essere ad immagine di Cristo, di mediare l’amore di Dio per l’umanità e che, per prima cosa, deve cercare con spirito di apertura e compassione, senza giudicarle, le persone transessuali che cercano di vivere autenticamente. Queste ultime… prendono la decisione coraggiosa e difficile della transizione, sapendo che spesso saranno rifiutate, ferite ed escluse”.
Proprio loro danno un esempio di quanto sia praticamente inesistente il benvenuto a livello parrocchiale: “Ad imitazione di Gesù, il primo impulso della Chiesa dovrebbe essere quello di promuovere la maggiore completezza possibile per le persone transessuali, ascoltandole, aiutandole e dando loro il senso della comunità. Questo significa, come minimo, piccoli gesti di un benvenuto rispettoso, come ad esempio chiamare una persona con il pronome e il nome che preferisce, il riconoscimento della loro intenzione di vivere come crede che Dio l’abbia voluta e il frenarsi da giudizi che potrebbero esacerbare il suo conflitto con l’identità di genere”. E per quel che riguarda gli insegnamenti del Magistero: “Non esiste una dottrina definitiva sull’argomento del transessualismo e, anche se ci fosse, non autorizzerebbe a trattare queste persone in modo da farle sentire emarginate, al di là dell’amore di Dio e dell’abbraccio accogliente della Chiesa”.
Ma questi teologi, tutti in possesso di una preparazione bioetica, entrano nelle questioni mediche serie e profonde che riguardano la salute della persona transessuale e la chirurgia per la riassegnazione del sesso. Riconoscono la complessità della situazione, specialmente quando è esaminata alla luce della teoria della legge naturale, che è quella su cui tradizionalmente la Chiesa si basa per le questioni morali, ma offrono anche una sfida a questo modo di pensare: “Se confrontiamo le terapie correlate alla transizione con l’approccio basato sulla legge naturale, utilizzato in questioni importanti quali la sessualità e l’integrità corporale, corriamo il rischio di concentrarci eccessivamente sull’aspetto fisico e, precisamente, sulla dimensione funzionale delle persone transessuali, tralasciando completamente il loro benessere e il loro bisogno di appartenenza. Inoltre, si possono applicare molto più facilmente questi principii alla chirurgia, e specialmente alla riassegnazione del sesso, a cui si sottopone solo una minima parte delle persone transessuali, mentre non si possono applicare a trattamenti meno invasivi come la terapia ormonale, la quale, come è già stato provato, allevia i sintomi della disforia di genere”.
Invece di proporre la teoria della legge naturale per risolvere la questione delle terapie di transizione, questi teologi offrono un modello centrato sul Vangelo, che guarda all’interezza della persona e non solo alla sua fisicità: “Le persone che vogliono la transizione cercano di superare quello che vedono come un impedimento al vivere in un luogo autentico, amati, in sintonia con gli altri. Mirano al tipo di pienezza e integrità di corpo, mente e spirito che anche Gesù ha predicato nel suo salvifico ministero di guarigione. Se consideriamo olisticamente la persona umana e ci sforziamo di imitare Cristo nell’aiutarla a sbocciare nella sua interezza, potremmo essere spinti ad avere una diversa opinione sulle terapie di transizione. Potremmo così vedere che, lungi dall’alterare in modo fondamentale la natura data da Dio alle persone transessuali o a distruggere le loro funzioni riproduttive, queste terapie adeguano il corpo con il senso del sé, ristabilendo così una maggiore compiutezza della persona”.
In conclusione vengono mostrati i punti di contatto tra transessuali e cisgender e la sfida, che in realtà è un dono, che le persone transessuali offrono alla comunità: “Come tutti, anche le persone transessuali arrivano alla Chiesa e ai suoi ministri con il bisogno di essere accettate e di trovare compassione, amore e tenerezza. Sovente cercano anche un riparo e un aiuto nel viaggio, troppo spesso solitario e confuso, alla ricerca di se stesse. Dal momento che non si comprendono ancora del tutto le cause della disforia e che le persone transessuali possono sfidare il nostro concetto di sesso e di genere, il nostro primo pensiero potrebbe essere quello di giudicare, e magari di condannare; invece, il Vangelo ci esorta ad amare e ad essere al servizio di queste persone vulnerabili e spesso emarginate, che si sforzano di essere fedeli a quello che credono di essere e a quello a cui credono di essere chiamate”.
Spesso il modo in cui trattiamo gli emarginati è un test importante su come viviamo il Vangelo. I teologi concludono: “Come Chiesa, e attraverso i suoi ministri, siamo chiamati a raggiungere le persone transessuali con un amore che possa rivelare la presenza risanatrice e riconciliante di Dio. Se falliamo in questo compito, falliamo nel test del Vangelo”.
Testo originale: Transgender Awareness Week: Promote Wholeness for All in Our Church