Perché le chiese spingono ai margini le persone LGBT?
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 1, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
“Lasciano entrare anche persone come te?”. Questa fu la prima cosa che mi chiese mia sorella Madelyn quando le parlai della mia intenzione di studiare teologia. Naturalmente non lo intendeva in modo dispregiativo – lei è sempre stata una delle persone che mi hanno incoraggiato di più nella mia vita – ma era curiosa e preoccupata.
Nel 2011, quando presentai domanda per iscrivermi ad un università religiosa per frequentare un corso di laurea in Pastorale per i giovani, non avevo ancora fatto i conti con la mia identità di genere. Ero stato aperto sulla mia bisessualità per circa sette anni e non mi piaceva l’idea di dover nascondere questa parte di me. Questo significava che, quando cominciai a prendere in considerazione i miei studi di religione, il mio processo di discernimento non iniziò con le domande: “Dio mi sta guidando verso il Ministero?” e nemmeno “Questa laurea mi darà un vantaggio nella mia carriera?”.
Quando arrivai al campus universitario durante i giorni di visita, stavo cercando delle risposte fondamentali. Per esempio, se mi fossi dedicato completamente allo studio delle Scritture e all’edificazione della Chiesa, sarei stato il benvenuto? Se mi fossi aperto con le altre persone, sia in classe sia nella chiesa, sarei stato al sicuro o mi avrebbero cacciato?
Oggi la maggior parte dei cristiani non devono scegliere se nascondere le loro relazioni o rischiare di venire allontanati dalla loro comunità di fede. Neppure corrono il pericolo di sentirsi attaccati mentre si recano alle funzioni domenicali vestiti col loro abito preferito (se non corrisponde al loro genere), o di ascoltare sermoni che li condannano alla pena eterna. Ma per le persone LGBT non è così.
Ecco perché, oggi, mi sento un po’ nervoso quando entro in una Chiesa che non conosco. Si tratta di un atteggiamento rafforzato da anni di necessaria autodifesa, che troppi cristiani LGBTQ hanno dovuto imparare. Facendo riferimento all’indagine del 2013 del Centro di ricerca statunitense sulle persone LGBTQ (Pew Research Center) si vede che il 29% di persone LGBTQ non viene accolto nelle comunità cristiane.
Se si considera che l’Istituto Williams stima il numero di americani LGBTQ sui 9 milioni nel 2011, questo significa che circa due milioni e mezzo di persone sono state maltrattate dai loro quelli della loro stessa fede, semplicemente per la loro identità di genere. Questo trattamento negativo – sia che si manifesti con sguardi ostili, o un ordine diretto di andarsene oppure con atti di violenza fisica – non è casuale.
Poiché il Cristianesimo continua ad essere una forza religiosa dominante dietro gran parte della cultura occidentale, le persone al di fuori della Chiesa hanno iniziato ad esprimere frustrazione per l’atteggiamento dei credenti nei confronti delle persone LGBTQ. Uno studio del 2014 rivela che il 70% dei millennial e il 58% degli Americani in generale pensano che le comunità cristiane abbiano un’influenza negativa e troppo critica sulle persone per quanto riguarda le tematiche LGBTQ, tipo il matrimonio omosessuale.
Un quarto della popolazione, cresciuta in famiglie cristiane ma che in seguito ha abbandonato la propria fede, ammette che gli insegnamenti contro le le persone LGBTQ hanno rappresentato un fattore importante per decidere di lasciare la loro Chiesa. Con il declino che sta affrontando il Cristianesimo in America, e in occidente, dovremmo chiederci come possa la Chiesa permettersi di cacciare delle persone che desiderano disperatamente essere riconosciute ed accettate dalle loro comunità di fede.
E questa è la parte più strana che mettono in luce gli studi degli ultimi anni: nonostante la reputazione del Cristianesimo per le sue prese di posizione anti-persone LGBTQ, metà degli adulti che si identificano come queer rivendica un’appartenenza religiosa ed il 17% considera la fede molto importante nella propria vita. Inoltre, queste percentuali stanno aumentando di anno in anno.
Come ci si sente ad esser presi nel mirino? A dover scegliere tra la propria fede e la propria identità di genere, che è al centro delle “guerre culturali” portate avanti da diverse comunità cristiane?
Per alcuni cristiani LGBTQ queste difficoltà sono come un fuoco che provoca una passione ancora più grande per la misericordia, la giustizia e per Dio. Non a caso proprio i cristiani gay/lesbiche, come Matthew Vines e Rachel Murr, con le loro testimonianze e il loro cammino hanno portato a una comprensione più profonda di quei versetti biblici che spesso vengono usati contro gli omosessuali.
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