Perchè non potevo amare? Il celibato per un gay cattolico non è l’unica opzione
Testimonianza di Patrick Gothman* pubblicata sul sito “Reaching Out – storie di fede LGBTQ persa e trovata” il 22 novembre 2017, libera traduzione di Innocenzo
Quando all’improvviso sono tornato in Texas, sono stato costretto a spiegare perché stavo tardando a saltare nel turbine degli appuntamenti con le ragazze. Ogni mamma nella mia chiesa sembrava conoscere la ragazza perfetta per me. Ero giovane, di bell’aspetto ed ero anche un ex seminarista. Nella vita della mia parrocchia questo è un jackpot. Le ragazze ammettevano apertamente di essere alla ricerca di ex seminaristi, come un frutto proibito rimesso nel menu. Ma io non ero minimamente interessato. E non potevo dire a nessuno il perché.
I matrimoni degli amici erano le mie occasioni di festa più dolci ed amate. Avevo poco più di vent’anni, quindi c’erano molti matrimoni da frequentare, ma sapevo che per me sarebbero stati seguiti da giorni di depressione. La maggior parte dei miei amici erano coinvolti in parrocchia, quindi non erano solo una grande festa ma, come avevano continuato a ripeterci per anni, si trattava di un atto divino. Non era solo una decisione, ma una vocazione.
Il prete avrebbe parlato sull’eroico e bellissimo sacrificio che i coniugi stavano facendo, che sarebbero stati aperti ai figli, che avrebbero vissuto l’uno per l’altro, che sarebbero stati le fondamenta dell’umanità. Partecipai sempre a quei matrimoni chiedendomi perché non ero capace di fare tutte quelle cose. Che tipo di persona devo essere, per essere incapace di quel tipo di amore.
Alla fine di un matrimonio, quando tutti piegammo la testa per pregare, chiusi gli occhi e immaginai come sarebbe stato stare davanti all’altare. Indossare uno smoking per la prima volta, da quando avevo portato Sarah al ballo. Finsi di tenere le mani alla mia fidanzata, timoroso di distogliere lo sguardo dai suoi occhi per paura che quel momento non potesse durare per sempre. I miei amici e la mia famiglia ridevano, il prete ci stava dicendo di fare qualcosa, ma eravamo tutti troppo presi per notarlo.
Ricordo di essermi seduto e, mentre gli sposi camminavano lungo la navata, avevo nascosto la faccia tra le mani mentre le lacrime mi rigavano le guance. Ad essere onesti quello che sentii, immaginando il mio matrimonio con una donna, non fu qualcosa che mi diede sollievo. Era la prima volta che mi permettevo di immaginarmelo e mi sembrava la cosa più brutta che avessi potuto mai pensare.
Ho pensato di confidare ai miei amici di essere gay, ma sapevo che la mia è una comunità abbastanza piccola, perciò inevitabilmente qualche voce sarebbe arrivata anche alla scuola cattolica dove lavoravo. Avevo letto la notizia di quel direttore di coro, o dell’insegnante di inglese, che erano stati licenziati dopo che gli amministratori o gli studenti della loro scuola cattolica avevano scoperto che erano omosessuali. Le persone della mia parrocchia di solito condividevano queste notizie su Facebook, denunciando la mancanza strisciante di libertà religiosa, quando qualcuno proponeva di reintegrare quell’insegnante.
Ma quello che mi ha tenuto chiuso, ancor più della paura di essere licenziato, è stata la paura di perdere la mia comunità. Il Texas ha delle realtà progressiste, ma sono lontane dalla mia città. Non sapevo cosa sarebbe successo se la gente avesse scoperto che ero gay, non avevo la certezza che con me le persone si sarebbero comportate nello stesso modo. Almeno in questo modo avevo una vita felice, almeno in superficie.
C’èera un lago vicino a dove abitavo, andavo lì quando mi sentivo depresso. Andavo a sedermi con i piedi nell’acqua e immaginavo un mondo in cui non ero irrimediabilmente sbagliato. A volte un amico intimo o un membro della mia famiglia notava, casualmente, quanto fosse stato lungo un bacio omosessuale in TV, la cosa era sufficiente a mandarmi in iperventilazione.
Come potevo essere così benvoluto sulla superficie ma poi sentirmi, dentro di me, insultato? Ho adorato il mio lavoro, ho accettato che avrei dovuto essere single per tutta la vita, ma la solitudine mi consumava ogni notte, fino a quando ho iniziato a rendermi conto che non potevo continuare ancora per molto su questa strada
Un prete una volta mi disse che le coppie omosessuali erano molto più violente delle coppie eterosessuali, perche avevano episodi più gravi di abusi domestici. Gli avevo detto che non ne sapevo nulla. Ho cercato di saperne di più ed ho scoperto che le statistiche a riguardo erano incredibilmente inconcludenti.
Ma il sacerdote era piuttosto contento di aver scoperto questa cosa, perché se le relazioni gay sono intrinsecamente sbagliate, allora deve esserci per forza qualcosa di sbagliato in loro. I cattolici possono diventare piuttosto astratti quando parlano di omosessualità. Inizi a fluttuare in un mare di termini come fine “procreativo” e “unitivo”. Aiuta poter dire che “l’innamorarsi rende i gay più violenti“. Non è vero, ma è utile.
Quello che so è che ascoltando quel prete ho alzato lo sguardo per sentirmi dire che, come gay, avevo raggomitolato dentro di me un drago che dorme nella sua grotta, in attesa di qualcuno, abbastanza sciocco, da dirmi che mi ama. Non sapevo che non c’erano ragioni valide per sostenere quegli argomenti. Mi sono fidato di lui.
Mi immaginavo mentre cucinavo il pranzo, mentre il mio compagno tornava a casa, mi vedevo girarmi e dargli un pugno in faccia mentre Tony Bennett cantava in sottofondo, perché il mio compagno si era dimenticato di prendere il latte mentre tornava a casa. Non ero mai stato coinvolto in un combattimento in vita mia. Ma doveva accadermi questo, se avessi avuto provare una relazione? Dovevo perciò andare all’inferno. Quelle erano le mie uniche opzioni? Restare single e da solo, o diventare un mostro?
* Patrick Gothman vive negli Stati Uniti, dove si occupa di giustizia sociale. E’ uno scrittore abbastanza gay ed è editor del sito Reaching Out.
Testo originale: I Thought Gay Celibacy Was My Only Option — I Was Wrong