Perché sei infelice per Gesù?
Riflessioni di Fr. Shannon Kearns pubblicate su Queer Theology.com (Stati Uniti), liberamente tradotte da Innocenzo Pontillo
Quando sono cresciuto ho ricevuto alcuni strani messaggi su Gesù che hanno continuato ad avere un impatto sulla mia vita adulta.
Mi è stato detto che Gesù mi amava così tanto (anche se ero una persona terribile, non ero buono, ero orribile e molto cattivo), che era disposto a subire torture e abusi orribili e a morire dolorosamente per salvarmi dall’inferno.
A causa delle cose orribili che Gesù ha affrontato per salvarmi, dovevo essere disposto ad affrontare qualsiasi cosa mi venisse richiesta con allegria e con grande gioia. Non riuscivo a capire perché, però. Forse per ripagare Gesù?
Quindi il fatto che Gesù mi avesse salvato è diventato una sorta di transazione verso il senso di colpa. Mi sentivo come se fossi in debito con la mia vita. E la chiesa ha alimentato questa sensazione.
Ci veniva detto che dovevamo essere disposti a rinunciare a qualsiasi cosa ci venisse chiesta.
Dovevamo essere disposti a rinunciare al partner che volevamo frequentare o sposare, al lavoro che volevamo avere, ai doni che ci erano stati dati. Ci è stato detto che la nostra vita non è nostra perché siamo stati comprati a caro prezzo.
Ora ho una diversa comprensione della morte di Gesù. So che Gesù stava combattendo contro dei sistemi oppressivi e ingiusti, che cercava di liberare i poveri e gli emarginati e che a volte, quando ti alzi e dici la verità a chi è al potere, vieni ucciso per questo.
Ma anche quando ho abbandonato la teologia del senso di colpa e della vergogna che circonda la mia vita e la mia anima, ho continuato a pensare di essere in debito con la mia vita.
Questo si è manifestato nei modi più strani nel corso della mia vita: dicevo a me stesso che non avrei dovuto fare una cosa che amavo e in cui ero bravo perché avrebbe potuto rendermi “orgoglioso”.
Non ho difeso me stesso in situazioni in cui venivo maltrattato perché ritenevo che soffrire fosse nobile.
L’essere in debito con la mia vita si è generalmente trasformato in una negazione autoflagellante dei miei bisogni e desideri.
Se volevo davvero fare una cosa, è probabile che Dio volesse che vi rinunciassi. Non mi era permesso guadagnare soldi. Non mi era permesso di vivere comodo. Non mi è permesso di essere felice perché se faccievo queste cose non ero un “buon cristiano”.
Ma non è solo nel mondo della chiesa che riceviamo questi messaggi. Se passi del tempo nei circoli di attivisti, c’è anche la sensazione che siamo “a posto” solo se soffriamo. Siamo buoni attivisti solo se veniamo arrestati durante le proteste. Siamo bravi solo se facciamo lavori poco remunerativi perché lavorare in altro modo significa credere alla menzogna del capitalismo.
Siamo bravi solo se protestiamo contro ogni singola questione e lavoriamo fino allo sfinimento per poi lavorare ancora.
Tutti questi messaggi e idee albergano nella mia anima e trascorro gran parte del mio tempo sentendomi come se non fossi abbastanza.
Non sono abbastanza coraggioso, non abbastanza forte, non abbastanza devoto, non abbastanza povero, non abbastanza impegnato. Semplicemente non sono abbastanza. E questa sensazione fa schifo.
Ecco perché ultimamente la mia vita consiste nel cercare di deprogrammare questi messaggi malsani.
* Shannon TL Kearns è teologo e co-fondatore di queertheology.com
Testo originale: Are you miserable for Jesus?