Piango sulle vittime ma non piango sui guai della Chiesa
Articolo di Luc Ravel, arcivescovo di Strasburgo, pubblicato sul sito huffingtonpost.fr il 11 marzo 2019, libera traduzione di finesettimana.org.
Peggio per me che ne faccio parte, peggio per la chiesa che non ha saputo essere all’altezza della grazia che la anima.
Da ogni parte, ogni giorno, un colpo di spada squarcia il Corpo della Chiesa cattolica. Santa nel Capo, il Cristo, tutto il suo corpo è scosso da formidabili attacchi di febbre.
Tutta la Chiesa trema! In questi ultimi giorni, un cardinale degli USA è stato dimesso dallo stato clericale (“ridotto allo stato laicale”, secondo un’espressione usuale, ma infelice per i battezzati), Mac Carrick.
Un altro, numero 3 della Chiesa, in Australia, il cardinal Pell, condannato per abusi sessuali su minori. L’estate scorsa i numeri spaventosi della Pennsylvania. In autunno, quelli della Germania e quelli dell’Irlanda. In Cile, il papa ha dovuto chiedere le dimissioni di tutti i vescovi.
Non è necessario ricordare i fatti e le cifre: i media li presentano nei titoli di prima pagina. La Francia non ne esce meglio. Nulla, per ora, sull’Africa, dove questi crimini sono taciuti, come una bomba a scoppio ritardato. L’omertà vi è un po’ più tenace che da noi, a causa di un controllo vicendevole. Ma si comincia già a far luce sulle pratiche di preti che violano giovani religiose. Ancora nulla sull’Asia, sull’India e su altri continenti. Per ora, solo l’Occidente è sulla graticola. Siamo solo a metà del guado. Non possiamo ancora parlare di questi scandali al passato. Temo le rivelazioni dei prossimi mesi.
Questi colpi violenti sono il sintomo di un cancro terribile. Ignorare questo male è semplicemente da suicidio.
Immaginiamo un uomo a cui il medico diagnostica un cancro. Non ne sarà contento. Forse andrà a chiedere la grazia di una guarigione a Lourdes. Ma certamente consulterà ottimi specialisti e accetterà pesanti terapie. Con un po’ di fortuna, queste cure non gli impediranno di continuare le sue attività abituali. Ma, comunque sia, tutta la sua vita ne sarà segnata. Certamente il suo corpo, ma anche il suo cuore, ormai nell’esperienza della sofferenza: ne uscirà uomo maturo.
La Chiesa è esattamente a questo punto.
Amo appassionatamente questa Chiesa che mi fa essere il Cristo stesso. Piango sulle vittime. Su tutti i deboli che si allontanano da Cristo a causa di questi crimini. Ma non piango sui guai dell’istituzione. Peggio per me che ne faccio parte, peggio per lei che non ha saputo essere all’altezza della grazia che la anima.
Non si tratta più di difendere l’istituzione contro la verità ma di curare la Chiesa con la verità.
Intendiamoci bene: la Chiesa è anche un’istituzione con i suoi vescovi, i suoi preti e i suoi diaconi. Senza di lei, la Chiesa cattolica non esiste più. Ma la sua guarigione non verrà dall’istituzione, aggrappata alla sua autodifesa, come ogni istituzione quando perde credibilità. Le cure efficaci saranno opera della carne della Chiesa, cioè del popolo di Dio abitato dallo Spirito, quando riprenderà vigore, non sul potere di autorità ma sulla sua missione d’amore e di luce.
È lo slancio verso il mondo dei laici radicato nel Signore che curerà e guarirà l’intero Corpo. “Il Santo e paziente popolo fedele di Dio, sostenuto e vivificato dallo Spirito Santo, è il volto migliore della Chiesa profetica che sa mettere al centro il suo Signore donandosi ogni giorno. Sarà precisamente questo santo popolo di Dio che ci libererà dalla piaga del clericalismo, terreno fertile di tutti questi abomini” (Papa Francesco, 24 febbraio 2019).
Signore e Signori battezzati, sarete voi i terapeuti dell’istituzione e voi ridarete il gusto di trovare Cristo nella sua Chiesa. Noi ci prenderemo le nostre responsabilità nei confronti dei criminali. Assumetevi le vostre nei confronti dell’istituzione. Aiutatela a trovare il suo equilibrio. Portatela nella vostra preghiera e nella vostra vigilanza.
Voi avete la grazia per farlo ma lo farete solo a una condizione: entrate nella sensibilità del Capo, il Cristo, rispetto all’attacco alla vita dei più piccoli, delle vittime. Gli indifferenti e gli insensibili continueranno ad attraversare i campi di battaglia con un fiore nella canna del fucile. Stiamoci attenti: la tappa più complicata della nostra battaglia contro gli abusi sessuali nella Chiesa, e poi nella società, è la sensibilizzazione di tutti.
Il Capo della Chiesa, il Cristo, parla tramite il suo vicario in terra: “Tutti noi – Chiesa, persone consacrate, popolo di Dio, anche Dio stesso – portiamo le conseguenze della loro infedeltà” (Papa Francesco, 24 febbraio 2019). Ma certi membri del suo Corpo dicono ancora nel 2019: “Smettiamo di parlarne. Non ne possiamo più”. “Affrontiamo i casi singoli e non esageriamo!”. Sono riflessioni di cattolici che non si sentono coinvolti. Tali affermazioni rivelano un aspetto tragico: per le vittime passate (che non ne possono più di questa indifferenza da parte dei “buoni” cristiani); per le vittime future (perché con questi ragionamenti ce ne saranno altre); per la Chiesa che può morirne. È come se la mano dicesse: “Non mi importa che il fegato sia colpito da un tumore maligno, io sono la mano, non mi riguarda”.
Perché è necessario sensibilizzare tutti i cristiani? Non basterebbe formare qualche persona per controllare e fare attenzione che la cosa non si ripeta?
Tre ragioni ci invitano a non tentare più la via degli “esperti”.
La prima viene dall’esperienza: nessuno si vanta di questi crimini, pesantemente condannati dalla giustizia. Scoprirli è una missione quasi impossibile a pochi. Esistono degli “esperti”, veramente bravi: poliziotti, giudici, medici, psicologi, assistenti sociali. In una società che funziona correttamente, come la Francia, questi esperti possono agire “dopo” il crimine. O, nel migliore dei casi, nel momento in cui viene commesso. Ma non può farlo prima, per prevenire. Saremmo nell’illusione assoluta se pensassimo che qualche testo e qualche esperto (persone, comitati, cellule…) potranno risolvere un problema così diffuso nella società civile, esercitato da criminali astuti, soffocato da silenzi imposti.
La seconda viene dalla teologia della Chiesa: noi formiamo un solo corpo. Tutto ciò che riguarda un membro, soprattutto un membro fragile come il bambino o la persona handicappata, riguarda tutti gli altri membri. Papa Francesco ci ha ricordato le parole di Paolo: “quando un membro soffre, tutte le membra soffrono”. Restare indifferenti, è ancora concepire la Chiesa come una associazione piramidale con un presidente e la sua segreteria per gestire i problemi.
La terza nasce dalla nostra missione cristiana: ogni cristiano deve farsi carico del fratello che soffre. E appunto, è ora di pensare alla missione presso quelle persone che soffrono per gli abusi sessuali, Ispirata dallo Spirito, la Chiesa ha sempre saputo rispondere alle grandi povertà del suo tempo attraverso le scuole, gli ospedali, la liberazione degli schiavi, gli orfanatrofi, ecc. La sofferenza delle persone abusate sessualmente è terribile. Ed è endemica: 18 milioni in Europa, il 90% nella cerchia familiare. Possiamo immaginare che pochi esperti possano rispondere a tale sofferenza?
È tutta la Chiesa che trema per la febbre, perché non la si può dividere in pezzi, a meno di farne l’autopsia. Ma, grazie a Dio, è ancora in vita e, per questo, si batte contro questa malattia mortale. E il suo migliore supporto, in questi anni difficili, sarà l’umiltà del servizio. E la trasparenza e la vigilanza saranno le fasi della convalescenza. Nel suo lungo cammino di rieducazione, la Chiesa tornerà splendente di Colui che essa porta nei suoi vasi d’argilla: sarà bello il Buon Pastore, Luce delle Nazioni.