Picchiato e insultato. “Faccio le valigie e vado via. Questo non è un Paese per gay”
Articolo di Paolo Paolini da L’Unione Sarda del 22 marzo 2009
«Non solo pugni. Mi hanno insultato per l’omosessualità. Sono certo: è gente del posto». Roberto Collu ha trent’anni e un taglio profondo che deforma il sopracciglio.
È un cuoco che ha lavorato ai fornelli di alberghi e ristoranti inglesi, tedeschi e italiani: «A Londra e Leicester giravo col mio compagno e nessuno ha mai avuto niente da dire, compresi manager e colleghi». Momentaneamente disoccupato, arrotola una sigaretta dietro l’altra mentre progetta di far le valigie per trasferirsi definitivamente in Spagna: «In Inghilterra la vita è troppo cara, lavori per pagare le tasse e l’affitto».
Chi l’ha aggredita?
«Non lo so, non li ho visti. Non ho neppure sospetti».
Sicuro che non avrebbero picchiato chiunque?
«Sì. E gli insulti ne sono la prova».
È riuscito a presentare la denuncia?
«Sono andato tre volte in caserma, ma erano giorni particolari, con i carabinieri impegnati in indagini ben più importanti».
L’hanno snobbata?
«Non c’è stata una mancanza da parte loro: mi hanno dato anche supporto morale, tanto di cappello».
La vita di provincia per un omosessuale dichiarato?
«La verità è spesso nascosta da un fidanzamento di comodo, una ragazza che fa fare bella figura con gli altri quando vai a fare una passeggiata in paese. Poi, senza che si sappia, si va a Cagliari perché lì la vita è più tranquilla».
Sicuro?
«Ho fatto una serata vestito da drag queen al Magnolia e nessuno mi ha importunato, neppure alla stazione».
L’atteggiamento che le dà più fastidio?
«Non essere rispettato. Nelle mie poesie scrivo che l’amore non ha corpo, non si può imporre di amare questa o quell’altro. Amo chi sento di amare. Mi innervosiscono anche quelli che, senza vergognarsi, ripetono l’equazione l’omosessualità uguale malattia».
Come reagisce?
«Non mi sento propriamente entusiasta».
Le prime esperienze?
«Lontano da Villacidro: qui avevo paura di perdere gli amici».
Cattolico?
«Non credo nella Chiesa, sulla religione ho un’idea tutta mia. Il parroco lo conosco pochino, mi è capitato di parlarci qualche volta. Sono convinto che il Vaticano abbia una grande responsabilità nelle nostra discriminazione. Se il Papa prendesse un altro bel periodo di vacanza ad Avignone forse la situazione migliorerebbe».
Discriminazioni sul lavoro?
«In Trentino mi dicevano: “Sei un bravo cuoco, ti impegni, però sei speciale”. Tradotto: sei così particolare che, una volta finita la stagione, sarai licenziato».
Quando l’ha scoperto?
«L’ho sempre saputo».
La reazione dei genitori?
«A loro l’ho spiegato nel 2004. Ero stanco di bugie. Inizialmente mio padre e mia madre sono rimasti choccati. Non sono il tipo che va in giro sculettando, se non lo dico è difficile capirlo. Per loro è stata una sorpresa.
Trascorsi i primi giorni, mi hanno fatto un discorso chiaro: “È la tua vita, l’importante è che non porti nessuno a casa”. E per rispetto non lo faccio».
Gli amici?
«L’hanno saputo nel 2002. La reazione unanime è stata: “Fai quello che ti rende felice”».
Un consiglio a chi si nasconde?
«Uscite allo scoperto, non vergognatevi. Il segreto vi condanna a soffrire, bisogna imparare a non vergognarsi. Più siamo uniti e maggiori possibilità abbiamo di far capire che siamo persone normali».
La politica?
«Sono di sinistra, ma i politici non vanno mai oltre le frase di circostanza. A caldo dicono “mi dispiace” e cose di questo tipo, ma tutto finisce lì. In Inghilterra ci sono i cartelli all’ingresso degli spogliatoi: vietato insultare gli altri per la razza, la religione, la sessualità. Qui non li ho mai visti. A Londra un cameriere marocchino è stato licenziato in tronco per avermi insultato durante il lavoro».
Quanto ha influito il pestaggio sulla voglia di andare via?
«Le botte dell’altro giorno sono state benzina gettata sul fuoco. Ora la voglia di partire è tanta: costruirò la mia vita in un altro Paese».