Pierre Seel, un testimone della persecuzione e del coraggio
Articolo tratto dal sito L’armari obert (Spagna), del 29 gennaio 2011, liberamente tradotto da Dino
Pierre Seel non poteva immaginarsi le conseguenze della denuncia del furto di un orologio in una zona di cruising di Mulhouse. Aveva soltanto 16 anni e la polizia francese lo registrò in un elenco di omosessuali in una Francia in cui l’omosessualità non era illegale.
Dopo l’invasione tedesca, la lista arrivò nelle mani della Gestapo e tutte le sue speranze di avere un futuro svanirono. Dopo l’arrivo degli invasori la polizia consegnò loro la sua lista “rosa”. Lo stesso Pierre ci racconta che lui e altri omosessuali furono picchiati. Ad alcuni di quelli che avevano opposto resistenza alle SS vennero strappate le unghie. Altri vennero stuprati con delle righe rotte che perforarono i loro intestini, provocando emorragie.
Subito dopo venne mandato al campo di concentramento Natzweiler-Struthof. Durante un’ispezione mattutina, il comandante nazista annunciò che ci sarebbe stata una pubblica esecuzione. L’uomo che stava per essere ucciso fu esposto in pubblico e Seel riconobbe che quel viso apparteneva al ragazzo di 18 anni che era stato il suo amante a Mulhouse.
Secondo la testimonianza di Seel, le guardie denudarono il suo amante e gli misero un secchio di metallo sulla testa. Poi liberarono numerosi pastori tedeschi addestrati e glieli aizzarono contro, facendolo sbranare vivo, finché morì a causa dei morsi.
Nelle sue memorie racconta: “Da allora mi sveglio spesso gridando in piena notte. Questa scena si è ripetuta incessantemente davanti agli occhi della mia mente per più di cinquant’anni. Non dimenticherò mai la barbara uccisione del mio amore – davanti ai miei occhi, davanti ai nostri occhi, poiché c’erano centinaia di testimoni”.
Esperienze come questa possono spiegare l’alto tasso di mortalità degli omosessuali nei campi di concentramento in confronto a quella di altri gruppi considerati dai nazisti come “asociali”. Uno studio afferma che il 60% degli omosessuali nei campi di concentramento morì, contro il 41% dei prigionieri politici e il 35% dei Testimoni di Geova.
Gli omosessuali più giovani vennero liberati, fu loro concessa la nazionalità tedesca e furono inviati in prima linea al fronte. È stato il caso di Pierre, che era un “Malgré nous” (Alsaziani arruolati di forza nell’esercito tedesco durante la II guerra mondiale, ndr) e si vide costretto a combattere contro i suoi stessi concittadini francesi e contro la resistenza yugoslava.
La sua vicenda passò anche attraverso un centro di riproduzione della razza ariana, e infine fu mandato al fronte russo, dove disertò e si arrese ai russi, questi lo inviarono ad un plotone di esecuzione, ma lo salvò il fatto di conoscere l’Internazionale.
Dopo aver cambiato nome per evitare rappresaglie che sarebbero potute arrivare da qualsiasi parte si unì ad un gruppo della Croce Rossa che stava per essere mandato in Francia. Il viaggio durò più di un anno in condizioni disumane. Alla fine arrivò nel suo paese nell’agosto del 1945.
Terminata la guerra, l’omosessualità venne di nuovo proibita e Pierre scelse il silenzio. Vennero eliminate le leggi antisemite, ma si decise di continuare a perseguire gli omosessuali. La sua famiglia lo rifiutò e lo diseredò, gli amici gli voltarono le spalle e nella sua città vide come venivano aggredite persone omosessuali che lasciavano che fosse visibile la loro condizione sessuale.
Per nascondere la sua omosessualità si sposò ed ebbe quattro figli, ma il matrimonio fu un calvario per il fatto di doversi nascondere da una cittadinanza omofoba. Vergogna, confusione, senso di colpa… alla fine nel 1978 si separò da sua moglie.
Nel 1982 alcune dichiarazioni e azioni omofobe del vescovo di Strasburgo, Léon Elchinger, fecero venire alla luce pubblicamente il suo caso e lo resero conosciuto. La sua storia venne raccolta soltanto da riviste omosessuali. Dovette aspettare fino al 1994, dopo la pubblicazione del suo libro “Io, Pierre Seel, deportato omosessuale” perché la sua vicenda arrivasse all’opinione pubblica.
Fino al 2003 non gli venne riconosciuta la condizione di vittima dell’olocausto, ed era rimasto l’unico omosessuale sopravvissuto alla barbarie. Quando arrivò il riconoscimento, la sua famiglia tornò a dargli sostegno e la moglie ritirò la richiesta di divorzio. Nel novembre 2005 moriva a Tolosa il testimone dello stigma patito per 50 anni dagli omosessuali in Europa. Il nome di una via lo ricorda.
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Memoria dell’Olocausto
Il triangolo rosa è il distintivo che gli omosessuali nella Germania di Hitler, così come nei territori occupati, dovevano portare sul bavero e su una gamba dei pantaloni. Tra 250.000 e 600.000 persone, per il fatto di essere omosessuali o di avere rapporti sessuali con altri uomini, sono state deportate in campi di concentramento, e lì erano considerate la feccia della feccia.
Percosse, castrazioni, lavori forzati, mortali iniezioni di morfina, lobotomie erano la pratica comune. I più giovani venivano impiegati come cavie. I suicidi erano numerosi, la percentuale è stata la più alta dopo la comunità ebraica, si stima oltre il 60%.
Pochi fecero ritorno a casa, e quando ciò avvenne l’omosessualità continuava ad essere considerata un delitto. Per questo e per la paura dello stigma dei familiari e degli amici essi scelsero il silenzio, e così ancora oggi non si conosce il loro numero reale. Nell’anno 2000 si sapeva che erano meno di dieci i prigionieri ancora vivi che avevano portato un triangolo rosa. Solo di recente si è cominciato a pubblicare le storie di questi prigionieri. Il governo tedesco ha iniziato a riconoscerli nel 2002, quando la maggior parte di essi era già morta.
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Testo originale: PIERRE SEEL, TESTIMONIO DEL ESTIGMA Y PERSECUCION CONTRA LA HOMOSEXUALIDAD