Pietà di me, o Dio, nel tuo amore (Salmo 50)
Riflessione del reverendo Lawrence Sudbury*
Il Salmo 50 (o 51 secondo alcune redazioni) è certamente uno dei più famosi tra i testi davidici, secondo la tradizione scritto come atto di pentimento per aver peccato con Betsabea. L’incipit che stiamo analizzando è, dal punto di vista letterario, splendido con quei tre termini “pietà”, “amore”, “misericordia” che stanno ad indicare, nell’originale ebraico, un crescendo dalla compassione alla benignità e, infine, alla tenerezza della compartecipazione emotiva propria di un Padre verso un figlio che ha sbagliato. Ed è proprio ad un Dio che è Padre prima e ben più che giudice che David chiede di essere “lavato” (letteralmente “lavato più e più volte”) per ritornare allo stato di purezza originaria. Non è affatto strano che questo passo sia stato oggetto delle riflessioni di Agostino e Lutero: da esso emerge il tema della Grazia purificatrice e della generosità divina nel “cancellare” le colpe umane. Potremmo discutere senza fine sulle modalità di tale azione redentiva ma ciò che realmente conta sta tutto in un termine, in quel “rachameycha” (“misericordia”) con cui il re sa che il Signore accoglierà il suo pentimento, il suo confessare la propria “iniquità”: in quel termine c’è tutta la tenerezza di un affidarsi senza la paura della punizione ma solo nel dolore di essersi allontanato da quello stato di compartecipazione dell’Essenza divina (“contro te solo ho peccato” leggiamo poche righe dopo), dell’ordine creazionale originario che implica la caduta in uno stato di impurità da cui solo la piena, totale fiducia nella bontà del Padre può aiutarci ad allontanarci, oggi come tremila anni fa.
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Salmo 50
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.
Tu non gradisci il sacrificio;
se offro olocàusti, tu non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.
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* Il reverendo Lawrence Sudbury, dopo aver ottenuto un master in Studi Biblici e due dottorati in Studi Religiosi e Storia della Chiesa e aver fatto parte della Chiesa Remostrante, è entrato nella Comunione Unitaria Italiana (nel cui Seminario Valdes ottiene un master di II livello in Studi Pastorali Unitariani), e vi ha esercitato il pastorato per alcuni anni. Dal 2014, in disaccordo con la progressiva de-cristianizzazione dell’Unitarianesimo Universalista, ha lasciato la CUI e si è incardinato nella Unitarian Christian Emerging Church dove si dedica alla predicazione per il ritorno dell’Unitarianesimo al suo naturale alveo cristiano. Vive e lavora a Milano ed è autore di numerosi libri di storia della Chiesa, storia dell’Unitarianesimo e teologia cristiano-unitariana