Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”
Riflessioni di Giuseppe M. del Progetto Giovani Cristiani LGBT
Insieme. È una di quelle parole che capiamo ancor prima di impararla a pronunciare.
Nasciamo già insieme.
Nasciamo già dentro qualcuno.
Il grembo di nostra madre è già una relazione.
Tutto ciò che ci circonda è relazione.
Per lo scrittore Alessandro D’Avenia, lo è anche un bicchiere d’acqua: la “relazione” tra due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Presi singolarmente, l’idrogeno e l’ossigeno esistono e hanno la loro dignità, ma messi insieme, in quelle proporzioni, sono la ragione della vita sulla Terra. Non andiamo forse a caccia di tracce d’acqua su altri pianeti per sperare che ci sia la vita?
Nella molecola H2O ciascun elemento dona all’altro ciò di cui ha bisogno per essere una cosa nuova, più grande, più piena… per costruire il legame più semplice e compiuto dell’universo.
È da questa relazione che dipende la vita. La formula dell’acqua diventa così la più cristallina lezione sulle relazioni: esse danno vita, sono generative e rigenerative, solo quando uno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno.
La qualità della vita di ognuno di noi passa attraverso le relazioni.
Da cosa dipende la mia felicità? Da qualcuno o da qualcosa?
La fonte della mia felicità è in un oggetto che soddisfa i miei bisogni o in una relazione interpersonale?
La felicità è essere sazi di cose che ci fanno stare bene o è invece qualcosa che passa necessariamente attraverso l’incontro con un altro?
Le relazioni sono ciò che hanno l’ultima parola sulla felicità delle persone. Essere corrisposti in un bene: voler bene e sentirci voluti bene contemporaneamente, non è forse questo che ci rende davvero felici?
È attraverso le relazioni che la nostra vita diventa o no significativa. È nelle relazioni che ci sentiamo o no amati. È in esse che possiamo rintracciare ogni radice della nostra felicità o dei nostri drammi.
Nella realtà tutto è relazione, perché viene da una relazione originaria: la Trinità, di cui siamo tutti compartecipi.
Se l’umanità è fatta ad immagine di Dio, siamo creati per vivere un’intensa dimensione relazionale.
Le relazioni sono infatti parte integrante della nostra natura di “portatori di immagini della natura divina”.
Ogni giorno siamo immersi in tanti tipi di relazioni.
Tanto quanto lo è Gesù nel Vangelo.
Non poteva essere altrimenti: se è vero Dio e vero uomo, deve avere avuto per forza delle relazioni. Non solo: deve aver anche sperimentato la necessità di una relazione amicale.
Non a caso per farsi carne, si è fatto bisognoso di un preciso rapporto: quello tra Maria e Giuseppe. È cresciuto in un contesto relazionale familiare e tutta la sua vita, anche quella pubblica, si è giocata in una serie di intrecci umani.
Ha guarito spesso sordi e muti, impegnandosi a ridonare alle persone la possibilità di entrare in relazione con l’altro.
Quando l’emorroissa (Luca 8, 43-47) riesce, non senza difficoltà, a toccare il lembo del Suo mantello mentre passa tra la folla… lei guarisce all’istante da una malattia che la affliggeva da dodici anni ma la vicenda non si chiude qui: Gesù inizia a cercarla in mezzo alla folla, vuole sapere chi ha toccato il suo mantello, vuole incrociare il suo sguardo. Anche se l’emorroissa non cercava Gesù ma la grazia di Gesù, non cercava un rapporto con Cristo ma voleva solo ricevere qualcosa da Lui… Gesù la cerca per instaurare una relazione con lei.
Sempre a contatto con la sua cerchia di discepoli e profondamente legato agli amici Marta, Maria e Lazzaro, Gesù ha fatto delle relazioni il suo pane quotidiano.
Non solo: era sempre tra compagni. Cum unito a panis, da cui com-pagno “qualcuno con cui si condivide il pane”: Gesù condivide spesso il pane a tavola e sembra quasi che le cose più belle le racconti mangiando con altri.
Inaugura infatti la vita pubblica durante un banchetto di nozze a Cana di Galilea, si accomiata dai suoi apostoli nell’Ultima Cena. Alla fine si mostrerà come Risorto in un pranzo di pesce improvvisato sulla riva della spiaggia (Giovanni 21, 1-14).
Tra questi tre momenti, sono racchiusi molti inviti a pranzi e cene, consumati ora a casa di notabili, ora a casa di gente poco raccomandabile. Non a caso si definisce mangione e beone (Matteo 11, 19) a differenza di Giovanni Battista che si concede al massimo un primo di cavallette e un dessert di miele selvatico (Marco 1,6).
Cibo e tavola sono icona di relazione. E quella che viene fuori da una tavola è una relazione alla pari.
Tra tutte le modalità relazionali, l’amicizia è quella di solito tenuta meno in considerazione, forse perché́ pochi ne fanno esperienza vera.
Per Tim Keller, teologo statunitense:
“Dio ci ha creati in modo tale da non potere nemmeno godere il paradiso senza amici.
Dio ci ha creati in modo tale da non potere godere la gioia senza amici. E senza amici umani.”
L’amicizia è un dato originario, un bisogno originario, una scelta originaria. Non scegliamo l’amicizia, siamo scelti dalla e nella amicizia. Scegliamo gli amici, non l’amicizia. L’uomo è dato, affidato, all’altro uomo.
Sono tanti i vantaggi di una vera amicizia: gli amici ci costringono ad essere reali, ad essere noi stessi, a seguire la nostra identità, unicità, vocazione.
Soltanto quando si è amici si è se stessi. Quando non si è amici ad essere in relazione non siamo noi ma le nostre apparenze, le nostre maschere. Sappiamo di trovarci davanti ad un amico quando non dobbiamo e non possiamo fingere, quando con lui possiamo essere realmente autentici, pienamente noi stessi.
Quando possiamo mostrare la nostra miseria senza paura.
Quanto più mi spingo a consegnare ad un amico le parti più delicate della mia vita, tanto più creo con lui un legame di intimità e di comunione. Consegnandogli la mia storia, ho fatto di lui un amico.
Senza amicizia tutto diventa inferno. Senza amicizia si vive sempre in difensiva.
Solo gli amici ci fanno deporre le armi, togliere le maschere, ci fanno sentire voluti bene per come siamo.
È il non aver amici che rende insopportabile l’esistenza: non è il dolore né il male a rendere la vita invivibile ma proprio l’assenza di amici.
Un amico che è pronto ad ascoltarci ci sta dando l’opportunità di esistere. Finché non c’è qualcuno che raccoglie le nostre parole, è difficile persino sentirsi pienamente vivi.
Solo chi raccoglie le nostre parole si sta accorgendo che esistiamo.
Anche noi quando ci mettiamo in ascolto di qualcuno, in realtà gli stiamo dicendo: “tu esisti”.
Chi fa spazio dentro di sé all’altro, gli permette di esistere un po’ di più.
Non a caso il Vangelo ci dice chiaramente quanto è importante per Gesù l’amicizia.
“Non siete più servi ma amici…” (Giovanni 15, 15).
“Non c’è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici…” (Giovanni 15, 13).
Per questo credo che l’amicizia possa essere considerata l’ottavo sacramento. Se nell’Eucarestia Gesù è realmente presente, nell’amicizia è misteriosamente presente.
Se, come diceva Padre Pino Puglisi, “Dio ama sempre tramite qualcuno”, possiamo credere che agli amici Dio affidi una buona fetta del Suo amore per noi.
Ci tocca spesso tramite gli amici, che forse sono la grazia più concreta che Egli ci dona.
Risponde spesso alle nostre domande con l’umanità di chi ci sta intorno.
È nelle relazioni che incontriamo Dio, poiché esse sono le dinamiche umane in cui il volto dell’altro diventa sacramento misterioso di Dio.
Dio è garante e custode del nostro destino di felicità: noi scegliamo se volerlo o no. Gli amici (cioè le relazioni) sono la strada perché esso si realizzi, nel ricevere e nel dare.
A Paolo, a Felice e tutti i miei nuovi amici del Progetto Giovani Cristiani LGBT, che sono la prova che Dio non si stanca mai di amarmi.