Pornografia annunciata di un divorzio impossibile
Articolo del 03 aprile 2013 di Chiara Lalli pubblicato su Giornalettismo
Thomas Beatie è diventato famoso quando nel 2008 ha annunciato di aspettare un figlio. Forse lo ricorderete o forse basta la vicinanza del suo nome maschile alla possibilità di avviare una gravidanza per segnalarvi qualcosa di insolito o per farvi tornare la memoria.
Beatie ha cominciato la transizione da donna a uomo (F to M) negli anni Novanta, sottoponendosi a terapie ormonali e a interventi chirurgici. Nel 2002 ha scelto la riassegnazione di genere ma ha deciso di non rimuovere i propri organi riproduttivi femminili. L’anno successivo è stato legalmente riconosciuto come uomo e ha sposato Nancy.
Nancy non poteva portare avanti una gravidanza, e così Thomas ha deciso di ricorrere alle tecniche riproduttive e tra il 2008 e il 2010 sono nati Susan Juliette, Austin Alexander e Jensen James. Tutti i bambini portano il suo cognome e i primi problemi legali hanno riguardato proprio lo statuto parentale. Nancy li ha dovuti adottare, e la coppia se l’è dovuta vedere con difficoltà legali e sanitarie di vario tipo.
L’annuncio ha prevedibilmente sollevato reazioni e commenti che mischiavano curiosità, condanna, orrore. Manchiamo talmente di fantasia (più che di parole) che i media – e soprattutto i titolisti – si sono scatenati su “mammo” e “uomo incinto”, manifestando una morbosa attenzione per uteri e organi riproduttivi.
I lineamenti mascolini di Thomas, i sui documenti con la “M” di maschio e la sua pancia che urlava “D” hanno avviato un corto circuito: le semplicistiche categorie “uomo” e “donna” venivano spietatamente attaccate, e l’impossibilità di infilare Thomas in una delle due colonne deve aver turbato i sonni di molti.
“Mammo” sembrava essere la soluzione perfetta per allontanare, con scherno e questa parola orrenda, una realtà che non si riusciva nemmeno a guardare – figuriamoci a lasciarla senza etichette e data di scadenza.
Oggi Beatie si trova in un ennesimo scenario surreale: ha chiesto il divorzio, ma il giudice gliel’ha negato perché in Arizona il matrimonio è accessibile soltanto a due persone di sesso diverso. Non si può scindere un contratto mai stipulato. Secondo l’avvocato difensore, se Beatie non avesse usato i suoi organi riproduttivi non saremmo arrivati qui.
Sui documenti ufficiali Beatie è infatti identificato come uomo, e come tale aveva sposato Nancy alle Hawaii. Però quella cosa di avere avuto figli deve avere gettato in una moralistica confusione il giudice: come considerare uomo qualcuno che ha interrotto i trattamenti ormonali per fare dei figli? E come conciliarlo con la possibilità di portare avanti una gravidanza?
Il documento d’identità e la riattribuzione legale di genere sembrano non essere sufficienti, tanto più che Beatie ha mostrato le sue gravidanze al mondo intero. Forse se fosse rimasto a casa propria senza andarsene in giro a rilasciare interviste e a farsi fotografare ci si sarebbe potuti passare sopra. Ma la tv e più forte di un documento legale in cui c’è scritto “genere sessuale: uomo”.
La ricerca della prova definitiva del genere di appartenenza ricorda la bizzarra circolare dell’allora ministro degli Interni Giuliano Amato. Nell’ottobre 2007 (n. 55, protocollo 15100/397/0009861) fu richiesto ai prefetti e ai sindaci di non trascrivere i matrimoni contratti all’estero qualora coinvolgessero persone dello stesso sesso “perché in contrasto con l’ordine pubblico interno”. Controllate bene di che sesso sono i richiedenti!, avvertiva la circolare. E se guardarli in faccia non vi basta, guardate nelle loro mutande. Se avessero davvero avuto a cuore l’ordine pubblico avrebbero ordinato almeno un’analisi del DNA. Trascrivere un matrimonio tra due donne o due uomini è tanto pericolosa per l’ordine pubblico che nessuna strada andrebbe lasciata intentata.
Probabilmente Beatie ricorrerà in appello, ma a parte l’esito di questo specifico corto circuito cerebrale e giuridico, la circolare Amato, la discussione sul Defense of Marriage Act (DOMA) negli Stati Uniti e l’inesistente discussione al riguardo in Italia, potrebbero offrirci l’ennesima occasione per spostare l’attenzione dalle parti anatomiche alle persone e ai loro diritti. Non sarebbe più facile pensare che ogni individuo dovrebbe avere uguali diritti, senza controllare di che colore ha la pelle, in cosa crede e qual è il suo codice genetico.