Prepararsi ad essere un cristiano omosessuale
Testimonianza di Brent Bailey* tratta dal sito Patheos (Stati Uniti), del 10 maggio 2013, liberamente tradotta da Laura
Ricordo la prima volta che ho cominciato a chiedermi se la comunità cristiana fosse un posto in cui avrei mai potuto sentirmi a casa. Sarebbe impreciso chiamarla crisi di fede; ero sicuro che Dio mi amasse, che l’amore di Dio fosse importante, ed ero sicuro di ricambiarlo– nessuna di queste convinzioni era in discussione.
Quello che era in discussione era se io fossi capace di mantenere qualche tipo di relazione importante con Dio in una subcultura di persone le cui esperienze e i cui bisogni erano così diversi dai miei.
È successo durante una stagione di intensa ricerca e di domande nella mia vita. Il campus ministry a cui stavo partecipando – un gruppo per il quale sentivo e sento tenerezza e affetto- ha organizzato un evento in chiesa con una discussione sincera e aperta sull’uscire insieme e le relazioni, soddisfacendo la richiesta di tantissimi studenti che avevano questi argomenti in mente.
Mentre la discussione procedeva, sono diventato sempre più consapevole di quanto poco l’intero evento fosse valido per la mia situazione. Non era necessariamente dovuto a causa di una svista da parte del team organizzatore (considerando che avevo aiutato a progettarlo); era semplicemente la realtà inevitabile del mio status di minoranza di studente gay (che non aveva ancora fatto il coming out, allora) in mezzo a un corpo di studenti in gran parte etero.
A quel punto dello sviluppo della mia identità sessuale, non sapevo dove sarei arrivato: avevo qualche difficoltà teologica a immaginarmi in una relazione con un uomo, ma ero anche consapevole del fatto che una relazione con una donna sarebbe stata complicata e notevolmente diversa dalla maggioranza delle relazioni eterosessuali. In ogni caso lottavo per capire l’importanza di un seminario sui dettagli del dating nella scena eterosessuale per la mia relazione con Dio.
Quella sera non ho avuto fretta di prendere immediatamente le distanze da tutto quello che era religioso e apertamente cristiano, ma l’evento mi ha in qualche modo dato la capacità di cominciare a notare come il mondo cristiano in cui mi ero sempre sentito a mio agio sembrasse disegnato con cura per un tipo di persona che non ero io.
La maggior parte dei miei amici sembrava supporre senza problemi che avrebbe sposato un partner per la vita negli anni seguenti. (Io non sapevo chi avrei voluto sposare o chi Dio mi avrebbe permesso di sposare o se mi sarei mai sposato).
I ministeri pensati per l’uno o l’altro genere spesso dipendevano dagli stereotipi culturali di donne e uomini per i loro modelli di ruolo e i loro progetti. (Io stavo ancora lottando con tutte le mie forze per capire chi fossi e quali aspetti della mia personalità, sia tradizionalmente maschili che femminili, rivelassero meglio Cristo).
Pochissime persone intorno a me sembravano avere pensato a quanto una persona che fosse attratta esclusivamente da persone dello stesso sesso potesse essere adatta al Regno di Dio. (La mia capacità di appartenenza si basava proprio su quella domanda).
Fin da quando ero molto giovane avevo aderito molto facilmente a quel mondo cristiano, ma improvvisamente mi sentivo come un pesce fuor d’acqua, incapace di sentire e pensare come avrei dovuto. Non sono mai stato uno che scombussola lo status quo, ma la diversità dell’esperienza che portavo sembrava rendere la rottura inevitabile.
Prima che venissi a patti con la mia sessualità e che cominciassi a fare il coming out con gli amici e la famiglia ho letto la Prima lettera ai Corinzi 12 con un sorriso un po’ compiaciuto. Si tratta del capitolo in cui Paolo descrive l’immagine di un corpo in guerra con se stesso: alcune parti cercano di eliminare le altre e alcune delle parti cercano di eliminare se stesse, e nessuna di esse sembra capire che ognuna ha una funzione essenziale.
Il concetto di lotta interna a una comunità ecclesiastica basata su diversi doni spirituali mi appariva senza senso perché sapevo di avere un ruolo e immaginavo che ciascun altro funzionasse sentendosi altrettanto a suo agio. Era uno dei lussi del trovarsi in un posto privilegiato, penso, credere che ognuno si sentisse sicuro quanto me. Ma nella serata del campus ministry sulle relazioni – la sera in cui l’omosessualità mi è sembrata molto molto diversa dall’eterosessualità, e così diversa da loro – mi sono improvvisamente identificato con 1 Corinzi 12:15-7.
Ero un orecchio solo che guardava un corpo composto solamente da occhi, e il senso dell’udito che offrivo sembrava irritante e rumoroso. Quello non era più il mio mondo.
Se conoscete un po’ la Prima lettera ai Corinzi – o se sapete qualcosa sull’anatomia umana di base- sapete che il corpo non è composto tutto di occhi. Paolo è d’accordo: “infatti Dio ha posto le parti del corpo, ciascuna come ha voluto, ma se tutte le membra fossero un solo membro, dove sarebbe il corpo? Ci sono invece molte membra, ma vi è un solo corpo.” (1 Corinzi 12, 18-20).
Se mi adattavo comodamente alla maggioranza, la diversità del corpo era inefficiente e pericolosa; se il mio status era invece parte della minoranza cominciavo a riconoscere la grande saggezza e bellezza del disegno di Dio nel formare una comunità partendo dall’eterogeneità, il modo in cui il tutto è molto più grande della somma dei diversi tipi che lo compongono.
Tutte le metafore hanno cominciato ad avere senso per me: come la magnificenza di una sinfonia è il risultato delle interazioni di tutti i suoi diversi strumenti, come un buon pasto richiede varietà di ingredienti, come i quadri più stravaganti utilizzano tutti i colori dello spettro. La diversità dell’esperienza che portavo alla chiesa non era un peso o un’afflizione; era un contributo assolutamente essenziale al corpo attraverso il quale “la multiforme sapienza di Dio si deve manifestare” (Efesini 3,10).
Non spetta alla chiesa far posto ai membri LGBT; le spetta riconoscere il posto che Dio ha già riservato ai membri LGBT (proprio come Dio ha fatto spazio a tutti gli altri) e poi essere felice della diversità di persone attraverso la quale Dio si è rivelato a noi.
Nello stesso tempo stavo scoprendo quanto fossi prezioso (come ogni individuo) per la chiesa, stavo scoprendo quanto la chiesa fosse preziosa per me, come non potessi sperare di conoscere o adorare Dio pienamente senza impegnarmi in un corpo di credenti. Il mio desiderio “di offrire il mio corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” e non conformarmi più “al modello di questo mondo, ma essere trasformato dal rinnovamento della [mia] mente” richiedeva il supporto e l’inculturazione di altri che riconoscessero il Regno di Dio (Romani 12,1-2).
La mia esperienza è diversa da quella di molte delle persone che incontro in chiesa, ciò significa abbiamo molto da insegnare l’uno all’altro e da scoprire l’uno nell’altro. La prospettiva dell’orecchio solitario che cerca di scoprire Dio sarà sempre limitata e incompleta come la prospettiva di una chiesa solo-occhio che cerca di scoprire Dio.
(Non voglio ignorare che molte chiese rappresentano ambienti tossici per gli individui LGBT; nonostante creda che ogni credente abbia bisogno di crescere in una comunità di fede, sono consapevole del fatto che alcune persone, per mantenere la propria salute mentale e spirituale, hanno il legittimo bisogno di abbandonare determinate chiese in favore di altre).
Questo viaggio mi ha portato a investire profondamente nella formazione di comunità cristiane che siano corpi che tengono molto ai loro membri LGBT. Sono pienamente convinto di avere un posto, e sono pienamente convinto che altri come me ce l’abbiano, e non credo che ci si possa avvicinare in nessun modo alla comprensione di Dio se tutti noi (sì, anch’io) non impariamo a vivere in comunità con persone diverse da noi.
Ovviamente si tratta di un lavoro duro, ma le migliori sinfonie, i migliori piatti e i migliori quadri raramente si sviluppano senza un’accurata, tediosa, ardua fatica.
Il risultato finale del lavoro potrebbero essere comunità ecclesiali che, nelle ricche interazioni delle loro diverse parti, dimostrino un’espressione della natura di Dio più completa di quanto abbiamo mai visto, un obiettivo che vale sicuramente la pena di perseguire.
* Il post che segue è stato scritto da Brent Bailey, che attualmente vive a Chicago come tirocinante alla Marin Foundation. Sta lavorando al suo Master of Divinity alla Abilene Christian University e pubblica regolarmente sul blog oddmanout.net. Brent ha scritto questo pezzo in cui condivide una piccola parte della sua storia, accennando al motivo per cui ha deciso di impegnarsi nella costruzione di ponti tra la comunità LGBT e quella cristiana.
Testo originale: Walking Away