Prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi 3:1-6)
Restituzione* a cura di Mariella Colosimo dell’incontro di riflessione biblica del gruppo PAROLA… E PAROLE** di Roma del 3 dicembre 2019
Il racconto del libro della Genesi è un mito, e come tutti i miti racconta qualcosa di vero, vero però non nel senso che ci dice come sono andate le cose, ma perché racconta qualcosa che c’è nella mente e nel cuore degli uomini e delle donne quando si fermano a riflettere sul significato più profondo del loro cammino sulla terra.
Un racconto antico, che forse ci mette più in difficoltà rispetto ai racconti dei Vangeli, che ci sembrano arrivare più direttamente al cuore. Ma ci proviamo…
L’uomo e la donna, leggiamo nel brano della Genesi (3:1-6), vivevano in un giardino bellissimo e potevano mangiare i frutti di tutti gli alberi, eccetto quelli dell’albero della conoscenza, chiamato anche albero della conoscenza del bene e del male, per dire conoscenza di una cosa e del suo contrario, quindi di tutto.
Secondo la spiegazione più conosciuta, l’uomo e la donna erano immortali, e con la disobbedienza sono stati puniti e resi mortali. Ma c’è anche un’altra spiegazione: l’uomo e la donna erano mortali, ma non lo sapevano, erano come gli animali, che muoiono ma non hanno consapevolezza della morte. Mangiando il frutto della conoscenza hanno preso coscienza della morte e della sofferenza.
Gli esseri umani sanno che moriranno, e questa conoscenza crea paure e angosce, ma ha anche cambiato la loro vita. Sapendo di dover morire, trasmettono le loro esperienze, le loro conoscenze, affinché non muoiano con loro. Forse, senza la conoscenza della morte non ci sarebbe stata la storia dell’umanità.
Il cammino verso la conoscenza è avvenuto all’interno di una relazione, quella tra Adamo ed Eva. Non c’è percorso di consapevolezza al di fuori di una relazione: l’altro ti rimanda un’immagine di te. Nasciamo da una relazione, ed è attraverso la relazione che passa la salvezza.
Il dialogo di Eva con il serpente è il dialogo con una parte di sé. C’è un momento di sospensione: “Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare la conoscenza”, Eva riflette, poi decide e prende il frutto.
E la consapevolezza a cui quel frutto porta non è forse insita in quell’immagine di Dio che ci è stata impressa dentro? Non è anche da lì, dal desiderio di conoscere, che Dio ci riconosce come suoi figli e figlie, come le creature a cui ha dato la vita?
L’immagine di Dio è quella di un genitore che cerca in tutti i modi di proteggere i figli, ma non ci riesce. Loro scelgono la via rischiosa della conoscenza, disobbediscono, ma è anche attraverso la disobbedienza che i figli crescono e conoscono il mondo, quello vero, fatto di cose belle e cose brutte. L’Eden l’hanno perduto, ne sono usciti: è incompatibile con la conoscenza.
Il pensiero di una neononna corre verso il suo nipotino appena nato, che ha fatto il viaggio più difficile e sconvolgente della sua vita, dopo aver vissuto nell’Eden dell’utero materno, al calduccio, protetto e sicuro. Quel viaggio nessuno di noi lo ricorda, ma ce l’abbiamo dentro: tutta la nostra vita è segnata dal rimpianto di un Eden perduto e dalla spinta vitale a conoscere, a spingersi oltre, percorrendo le strade del mondo ed affrontandone i pericoli.
Un tuffo nell’infanzia accompagnato da un senso di gratitudine. Riaffiora alla mente di qualcuno il modo in cui i genitori lo hanno fatto avvicinare a questo brano, senza passargli immagini negative, senza trasmettergli l’idea del peccato.
Dell’angoscia che la conoscenza porta con sé ne facciamo esperienza anche quando ci guardiamo dentro. Conoscersi è un percorso duro, faticoso, richiede lo sforzo di superare tante resistenze, ma è solo così che possiamo prendere in mano la nostra vita, acquisendo consapevolezza delle parti oscure che sono dentro di noi. L’albero della conoscenza è il veicolo verso la vita e la libertà. È per questo che è stato messo in mezzo a quel giardino: Dio ci mette alla prova, ci spinge ad abbandonare le sicurezze, a metterci in gioco.
“Dell’omosessualità ne avevo fatto un mostro” – sono le parole di un ragazzo gay. Un mostro dentro di noi, un mostro che siamo noi…
Affrontare quel mostro, guardarlo in faccia, attraverso un percorso di conoscenza di sé, dargli voce, farlo uscire, fa paura. Spaventa noi, e può spaventare chi ci sta intorno. E ci viene in mente una fiaba, La Bella e la Bestia. Chi, tra i due personaggi, sceglierebbe di identificarsi con la Bestia?
Riconoscere il mostro significa correre il rischio di perdere il nascondiglio nel quale ci sentivamo al sicuro, la protezione della maschera dietro la quale ci nascondevamo agli altri e a noi stessi, significa uscire allo scoperto. Non è questo il coming out? E non è proprio così che scopriamo che un nuovo inizio è possibile? E allora quel mostro forse ci fa meno paura, non è più così brutto, o magari è scomparso.
E nella vita prima del coming out non c’era l’Eden, non era una vita così tranquilla e ovattata, e quel frutto della conoscenza non si mangia una volta per tutte, ce n’è sempre un altro e un altro ancora…
Il mostro che si nasconde dentro di noi può anche non essere così rabbioso e brutto. Forse è la nostra fragilità che vogliamo nascondere. La fragilità difficilmente si mette in comune con gli altri/e, perché confligge con l’immagine che vogliamo dare di noi. Apparire fragili e perdenti ci fa perdere potere. Quel potere che quotidianamente ci giochiamo, forse inconsapevolmente, nelle relazioni con gli altri/e.
E parliamo anche del potere che dalla conoscenza deriva: il know how è potere. Ci dobbiamo fare i conti quotidianamente con questo, nell’ambiente di lavoro e non solo, ogni giorno siamo tentati di esercitarne un po’ di quel potere, assumerne il linguaggio e le forme. Proporre e vivere un modo diverso di agire e guardare le cose richiede una grande libertà interiore.
Come è diversa l’immagine della donna che viene fuori dalle due spiegazioni di questo testo biblico! Da tentatrice che conduce l’uomo al peccato, a colei che per prima arriva alla conoscenza, e non la gestisce come potere, sente invece il bisogno di condividerla con l’uomo, offrendo anche a lui il frutto della conoscenza. Prendere il frutto e mangiarlo rappresenta, è vero, una trasgressione, una disobbedienza (la parola peccato nel testo biblico non c’è), ma è anche il mezzo attraverso il quale l’essere umano inizia il suo cammino di libertà. E la punizione di Dio? Eva partorirà nel dolore, ma sarà madre dell’umanità. “Quando Dio maledice, benedice ancora” – dicono i nostri fratelli ebrei.
Forse quell’evento, la scelta di raccogliere il frutto dell’albero della conoscenza e mangiarlo, è un secondo atto creativo, una sorta di atto fondativo dal quale partire per costruire la storia dell’umanità.
E l’Eden? Chissà se è rimasto vuoto, se anche Dio l’ha lasciato per seguire le sue creature sulla strada che hanno deciso di imboccare.
Genesi 3:1-6
Il serpente era il più astuto tra tutti gli animali creati dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?».
Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero della conoscenza Dio ha detto: Non ne dovete mangiare, altrimenti morirete».
Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare la conoscenza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche all’uomo, che era con lei, e anch’egli ne mangiò.
*La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.
** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com