Pride e dintorni: una voce dal Sud
Articolo di Daniela Tuscano
“Ma da voi, c’è il sole ogni tanto?”. Potrebbe sembrare la classica domanda alla “Totò, Peppino e la malafemmina”, ma stavolta non si tratta d’un luogo comune: l’estate, a Milano (e non solo qui, in verità), ha davvero stentato ad arrivare. E senza dubbio, per un giovane abituato al sole siciliano, l’impatto col grigio Nord è spiazzante.
Il giovane in questione si chiama Giuseppe, ha 26 anni, laureando in lingue e aspirante cantautore. “Adesso, però, lavoro in Posta – precisa, sorridendo – Non mi lamento, a un certo punto è necessario uscire dal ‘nido’ domestico”. A Milano ha anche partecipato per la prima volta a un Gay Pride.
“Non è esatto dire che me ne sono andato di casa per l’omosessualità, pur se al Sud la situazione è probabilmente più difficile che altrove: soprattutto per la mancanza di contatti. Milano, Firenze, Roma, insomma le grandi città offrono maggiori possibilità d’incontro; noi, ripeto, abbiamo meno chances. Anche se Internet permette di conoscere realtà ed eventi altrimenti ignorati”.
Un padre (pregiudicato) ha di recente accoltellato il figlio gay perché quest’ultimo lo “disonorava”. Una madre pesarese si è comportata nello stesso modo…
Io penso che molto dipenda dal background culturale: più si è ignoranti, più si vive l’omosessualità del figlio (o della figlia) come un disonore. Anche se non ci si può limitare a questo. Certi genitori “all’avanguardia”, appartenenti alla buona borghesia, spesso ostentano apertura, ma più che da comprensione mi sembrano mossi dal timore d’uno scandalo.
In Sicilia l’atteggiamento verso gli omosessuali varia da zona a zona: a Messina per esempio, la mia città, sembra proprio che il problema non esista. Non se ne parla, ci si limita a qualche battutina di soppiatto, insomma la tacita tolleranza del “volemose bene”… certo meglio di una coltellata ma, all’alba del 2008, è un po’ pochino. Io credo che in modo più o meno manifesto, al Sud come al Nord, sia ancora difficile accettare l’omosessualità d’un figlio.
Secondo Ivan Cattaneo svelarsi ai genitori, in fondo, non serve granché: la vita intima, egli afferma, appartiene solo a chi la vive, e dev’essere affrontata fino in fondo, accettandone i rischi…
Questo discorso funziona per chi considera l’omosessualità come un semplice sfogo sessuale, e allora è ovvio che, dei singoli atti, una persona adulta non deve render conto né alla mamma né a nessun altro. Ma qui si sta parlando di ben altro: di sensibilità, amore. Per me, rivelarlo è stato un grande regalo di fiducia verso i miei. Chiaro che il prezzo da pagare a volte è alto.
Per i motivi già esposti, i genitori preferiscono passare un’intera vita col “sospetto”…e nemmeno un minuto davanti alla cruda realtà. Io l’ho confessato in un momento felice: per essere libero di gridare il mio amore (l’amore, non il sesso) per il mio ex. Non me ne sono pentito, nonostante ne stia ancora pagando le conseguenze: anzi, lo rifarei subito.
Al Pride sfilava anche una rappresentanza dell’Agedo, conoscevi quest’associazione?
No, non la conoscevo. Sono contento che esista; secondo me, comunque, ogni famiglia, nel momento in cui apprende l’omosessualità del figlio, dovrebbe parlare con uno psicologo. Attenzione: parlo proprio della famiglia, padre e madre, ed eventualmente congiunti, NON del figlio/a omosessuale, magari con l’intento di “guarirlo”.
Per me scoprirmi gay non è stato un particolare trauma: mi hanno aiutato una certa tranquillità interiore, buone letture, le canzoni di Renato Zero [sorriso]… Ma, spesso, i genitori sono impreparati davanti a questa realtà.
Ti stupirai, ma hai espresso le stesse raccomandazioni della lettera pastorale “Pur sempre nostri figli”, pubblicata dalla Chiesa statunitense una decina d’anni fa.
Ah sì? Divertente [risate].
E le canzoni di Renato Zero, in che modo ti hanno aiutato? In quale ti ritrovi maggiormente?
Beh, Renato raccomanda il rispetto per qualsiasi persona, esorta a esser fieri di sé stessi e, quindi, della propria omosessualità. Prima parlavamo di sentimenti… ecco, lui ha parlato solo di quelli. Le parentesi “sexy” sono sempre state dei divertissement e nulla più. Mi rispecchio in diversi suoi brani: ad esempio “Magari”, un inno all’amore assoluto, oppure “C’è fame” , dove si parla di incontri clandestini vissuti nell’anonimato. E ancora “Naturalmente strano”, un chiaro invito a disporre della propria vita come si vuole, con rispetto e onestà: “Pranzo coi neri, ceno coi rossi, mi fidanzo con chi mi va… io sono strano”. Senza contare “L’altra sponda” che è proprio esplicita, benché non la consideri il suo pezzo migliore.
Mi sono accorto che ti ho citato numerose canzoni di “Cattura”. Per me si tratta del suo album più gay. Non nel senso del Pride, però. Non si tratta d’un urlo di protesta, ma uno spaccato di vita e di sentimento. Un album notturno e d’effetto, dove la tematica aleggia dall’inizio alla fine senza mai diventare invasiva. Lo si percepisce dalle atmosfere, da certe frasi e delicatezze percepibili solo da chi vive determinate situazioni.
Tornando al Pride: ti sei imbattuto in una delegazione di gay credenti. Cosa ne pensi?
Io credo in Dio. Mi ritengo un cristiano, sebbene frequenti raramente la Chiesa. L’immagine che più mi commuove è pensare a Gesù Cristo commosso di gioia del vedere due ragazzi dello stesso sesso abbracciati in un letto e dichiararsi il loro amore reciproco.
Taluni, anche fra i militanti gay, ritengono incompatibile il cristianesimo, e la religiosità in genere, con l’omosessualità. Anzi, non di rado rincarano la dose affiancando l’omosessualità a temi di tutt’altro genere: la laicità, l’antiproibizionismo in materia di droghe leggere, l’irrisione della famiglia, o meglio, della famiglia comunemente intesa. Come se un gay debba necessariamente pensare e comportarsi da libertario. Non accorgendosi che l’antagonismo viscerale non paga più , e ignorando, o volutamente trascurando, la lezione di Pasolini e Testori…
A parte che non parlerei di laicità – valore “non negoziabile”, soprattutto per i credenti [risate] – ma semmai di laicismo, andare contro la famiglia significa rinnegare sé stessi, nella maniera più miope e becera. Sì, la famiglia è “sacra”. Pur se capisco la pressione costante cui siamo sottoposti. Mi viene in mente una frase: “Io non sono incazzato perché va male a me… sono incazzato perché va bene a te!”.
Ecco, qui sta il punto. Piuttosto che scagliarci contro la famiglia, dovremmo cercare di essere più costruttivi. Per il resto… ognuno esprima la sua opinione. Non siamo un partito, quindi per fortuna non dobbiamo mantenerci fedeli a una ideologia. Quanto all’oblio di Pasolini e Testori, credo rientri nella generale superficialità che ci circonda, per cui tutti, etero e gay, preferiscono accantonare le voci “scomode”, che pongono domande vere.
Comunque c’è tensione tra l’essere gay, pur se si crede in certi valori, e vivere in una società eteronormativa?
…Io sarei il primo a passeggiare mano nella mano per la strada col mio ragazzo… ma lui non può o, meglio, non vuole. Questo disagio si respira già all’interno di molte coppie. Non saprei neppure dire con certezza se dipenda dal maggior coraggio dell’uno rispetto all’altro. E poi, i pregiudizi regnano anche all’interno della comunità gay.
Cinzia Leone vi ha esortato a non diventare un target e a non farvi risucchiare dalle mode. Non pensi sia già avvenuto e soprattutto in certe manifestazioni esteriori?
E’ gia avvenuto, da un pezzo!… e per fortuna io non sono il gay dolce&gabbanato, con occhiali Christian Dior e che parla solo di Madonna, di Britney Spears o dei Tokyo Hotel… Ma l’omologazione regna ovunque… e i gay non ne sono immuni. Bisogna riconoscerlo con serenità, e analizzare il fenomeno. Ma seriamente, senza erigere steccati o muri difensivi. Soprattutto senza barare, con sé stessi e con gli altri.
Esistono omosessuali che guardano al Pride con fastidio, quando non con autentica avversione. Affermano che non c’è nulla da idealizzare, che conoscono bene il “loro” mondo e relative miserie…
Un momento. Che alcuni gay non si riconoscano nel Pride è del tutto legittimo: possono averne ricavato un’esperienza negativa, o non condividerne tutte le rivendicazioni. E d’altronde nessuno nega l’aspetto (anche) esibizionista-commerciale dello stesso che, pur economicamente forte, non rappresenta certo la maggioranza dei gay.
I quali, come tutti gli altri cittadini, hanno problemi di casa, lavoro, bilancio familiare, senza condividerne sempre gli stessi diritti. La nostra vita non si esaurisce in un Pride. Ma nemmeno quest’ultimo si limita a un paio di baracconate. Anch’io, “prima”, ero infarcito dei soliti luoghi comuni, alimentati soprattutto dai media. Mi sono in gran parte ricreduto. È stato un corteo allegro, frizzante e al tempo stesso serio. Allietato da brani della mia amata Loredana Berté: il che non guasta mai [risate]. Assieme a noi, pure molti etero.
Il messaggio a mio parere più forte è stato l’adesivo-cerotto indossato appena giunti in piazza Duomo, a testimoniare che nessuno, tantomeno l’attuale classe politica, può imbavagliarci. Ignorare le “minoranze” – che sono poi milioni di persone – comporta la negazione della democrazia. Questo è un lato positivo del Pride e trovo ingiusto negarlo. Riguardo invece a chi si limita a criticare senza proporre nulla d’alternativo, e magari senza essersi mai esposto in prima persona, rispondo che ognuno ha le sue miserie e non mi pare il caso di stilare una classifica degli “sfigati”.
Per me non esistono, e vorrei non esistessero per la società, né gay né etero, ma solo persone buone o cattive, intelligenti o stupide: Marco, Giovanni, Anna, Pietro. Purtroppo questa banale verità sembra inconcepibile ai più. Se cominciassimo a considerarci persone complete, e non rappresentanti di “categorie” da combattere, forse si vivrebbe in modo realmente umano.