«Prof discriminata perché lesbica». Condannato l’Istituto Sacro Cuore di Trento
Articolo di Dafne Roat pubblicato sul Corriere del Trentino del 9 Marzo 2017, pag.7
TRENTO «Mi ritengo finalmente reintegrata nella mia dignità di docente e di donna, fatto che assume una particolare importanza nella giornata del’8 marzo. La mia dignità personale e professionale trova oggi giustizia nella pronuncia della Corte di appello di Trento. Per me questo spiacevole momento della mia vita è finalmente chiuso».
Nelle parole della professoressa Michaela (il nome è di fantasia per tutelare l’identità della docente ndr) c’è il senso profondo della sentenza della Corte d’appello di Trento che ha confermato la «natura discriminatoria» della decisione dell’istituto Sacro Cuore di Gesù di Trento che nel 2014 non aveva confermato il contratto alla docente a causa del suo (presunto) orientamento sessuale. Un pronunciamento storico che va oltre la sentenza presa a fine giugno 2016 dal giudice del lavoro di Rovereto, Michele Cuccaro, che aveva condannato l’istituto scolastico al pagamento di 25.000 euro. Il collegio di giudici, presieduto dal magistrato Maria Grazia Zattoni con a latere le colleghe Anna Luisa Terzi e Anna Paolucci (lo stesso collegio che ha riconosciuto il provvedimento straniero sulla doppia paternità a una coppia gay), in una sentenza di ben 68 pagine ha evidenziato l’atteggiamento «discriminatorio» della scuola. «Non si vede sotto quale profilo — precisano i giudici — l’orientamento sessuale dell’insegnante, così come la sua vita privata, possano aver rilevanza nell’insegnamento della materia di educazione artistica in una scuola paritaria ancorché gestita da un ordine religioso». Parole che pesano come un macigno sull’istituto condannato a pagare ben 43.329 euro all’insegnante, di cui 30.000 euro solo per i danni morali, più 10.000 euro alla Cgil e all’Associazione radicale certi diritti che si erano costituiti in giudizio attraverso gli avvocati Schuster e Stefano Giampietro. Una vera mazzata. La Corte ha riconosciuto alla docente, difesa dall’avvocato Alexander Schuster, che aveva impugnato la sentenza di primo grado, anche la perdita di chances «per aver lavorato l’anno successivo con rapporto a tempo parziale».
E ancora: «Il progetto educativo della scuola — scrivono i giudici, in riferimento alle controdeduzioni presentate dagli avvocati Claudio Damoli, Alessandra Testi ed Enrico Togni, che difendono la scuola — non implica alcuna adesione confessionale e pratiche di stretta osservanza. L’insegnante non ha mai tenuto condotte professionali infedeli e anche solo incoerenti con il progetto e con l’etica che lo ispira». «L’atto discriminatorio— si legge ancora — si è espresso nel diniego di prendere in considerazione l’insegnante per un nuovo contratto».
La Corte si riferisce al famoso colloquio del 16 luglio 2014 con l’allora preside, suor Eugenia Libratore (defunta a fine 2015), l’incipit della delicata vicenda. Dopo alcuni contratti a tempo determinato la docente era stata convocata dalla preside che, dopo aver elargito complimenti all’insegnante per il suo operato, avrebbe improvvisamente cambiato registro. Secondo il racconto della docente, la preside le chiese di smentire voci per le quali lei avrebbe intrattenuto una convivenza sentimentale con un’altra donna. La professoressa rifiutò di rispondere, lamentando la violazione della privacy. La preside avrebbe poi detto che «aveva problemi come dirigente dell’istituto a rinnovare il contratto a una persona ritenuta omosessuale». Da qui è partita la vicenda che ha scatenato un terremoto a livello provinciale e nazionale, nel 2015 il primo ricorso davanti al giudice del lavoro e ora una nuova vittoria in appello.
«È un tassello importante contro le discriminazioni» commenta, soddisfatto, il segretario della Cgil, Franco Ianeselli. «Useremo il risarcimento riconosciuto alla nostra organizzazione a sostegno di progetti per le pari opportunità e contro le discriminazioni». «Una bellissima notizia nel giorno di mobilitazione delle donne — commenta Gabriele Piazzoni, segretario nazionale Arcigay — niente, nemmeno le convinzioni religiose possono giustificare un’azione discriminatoria».