Proposte per vivere la solidarietà e la diaconia nella Chiesa
Riflessioni di Patrice Sauvage pubblicate sul sito della Conférence catholique des baptisé-e-s francophones (Francia) il 2 maggio 2016, liberamente tradotte da finesettimana.org
“Che hai fatto di tuo fratello?” La domanda di Dio a Caino risuona in ogni cristiano. Ma è raro che comunichiamo le nostre risposte. Pudore? Forse anche molto imbarazzo, perché chi è all’altezza di una domanda con così tante implicazioni? Eppure, come ha ricordato Benedetto XVI, una vita fraterna di servizio è un compito importante quanto la liturgia e l’annuncio della fede. Papa Francesco è andato oltre, con le sue dichiarazioni, con il suo atteggiamento verso i migranti e con la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, che radica l’evangelizzazione nella vicinanza e nell’attenzione spirituale ai più poveri.
Per questo, la promozione della fraternità nella Chiesa, l’impegno verso i poveri e i sofferenti vissuto nella Chiesa, che si chiama diaconia, è un punto importante per la Conferenza dei battezzati. Che cosa deve fare? Nel quadro della sua vocazione di sostegno dell’azione dei battezzati, deve innanzitutto invitare alla riflessione sulla dimensione spirituale della vita fraterna, ma anche far conoscere ciò che già esiste. Perché il mettere in comune le nostre esperienze, per quanto modeste possano essere, è un forte incoraggiamento per coloro che le scoprono. È il senso di questo appello. Raccontateci ciò che avete vissuto o di cui siete venuti a conoscenza. La vostra ricchezza deve essere condivisa. Alimenteremo questo dossier del nostro sito con le vostre testimonianze.
In Francia il percorso Diaconia è culminato nel maggio 2013 con un grande incontro a Lourdes. Purtroppo, i nostri vescovi non hanno voluto proseguire questa dinamica a livello nazionale, lasciando che ogni diocesi avanzasse a modo proprio su questo cammino… o lo abbandonasse! Una bella occasione, che la nostra gerarchia non ha saputo cogliere, di mettere in atto l’immagine di Chiesa che papa Francesco auspica: un “ospedale da campo”, una “Chiesa rivolta alle periferie”, insomma una Chiesa che, di fronte alla crisi del “vivere-insieme”, potrebbe in qualche modo ricreare la fraternità a partire da coloro che sono esclusi dalla nostra società.
Nessun cristiano, afferma papa Francesco, dovrebbe “sentirsi esentato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale” (Evangelii Gaudium, § 201), perché non si tratta solo di un’attività di ordine sociale o politico, ma di una componente essenziale del cammino spirituale per ognuno.
Di fatto, vivere la fraternità, accompagnare i poveri e i sofferenti deve essere considerato un cammino di fede in quanto tale, e non una semplice conseguenza etica della fede. Attraverso il messaggio, il vissuto e la morte di Cristo sulla croce, vediamo bene come Dio arriva perfino ad identificarsi con gli esclusi. E quanto certe esperienze umane, come lasciarsi toccare da una persona che soffre o sentire la propria impotenza (…), sono forse tutte degli “appuntamenti con Cristo”, che le ha vissute fino in fondo? In definitiva, l’impegno solidale e fraterno è una dimensione costitutiva della fede e il confronto con l’umanità sofferente ne è l’humus.
Vivere la fraternità, è innanzitutto vivere la fraternità del quotidiano: di fronte all’isolamento e alla mancanza di riconoscimento vissuti da molti, possono essere anche solo semplici piccoli gesti di attenzione, di disponibilità nei confronti degli altri (cf. la parabola del Buon Samaritano, Lc 10, 19- 37). È un’ospitalità di base senza la quale il legame sociale non può esistere e che, a poco a poco, cerca di valorizzare l’altro, di accompagnarlo nella sua crescita, di accogliere la sua differenza, di imparare a ricevere da lui: in breve, tutto un cammino verso la reciprocità, lo scambio alla pari a cui Gesù ci invita a partire dalla lavanda dei piedi.
Piste d’azione
Si noterà che queste piste partono dalle “periferie”, dalla Chiesa “ad extra”, come se fosse necessario per le comunità cristiane “decentrarsi” prima di tutto rispetto al loro abituale funzionamento di Chiesa “ad intra”.
– Dare ai poveri e ai sofferenti tutto lo spazio di cui necessitano nella vita delle parrocchie e dei movimenti
Per questo, bisogna organizzare degli incontri che permettano ai “cristiani praticanti” di far conoscenza con le persone in stato di necessità: tavole aperte parrocchiali, pasti condivisi… Questa attenzione deve esprimersi anche nel quadro della liturgia e della catechesi: rendervi possibili delle testimonianze di persone in stato di precarietà, facilitare l’accesso ai sacramenti di coloro che non sono proprio “in regola”…
– Interessarsi dell’ambiente in cui si vive, occuparsene
Nelle diverse riunioni e celebrazioni di una parrocchia, occorrerebbe non solo portare nella preghiera le difficoltà o le meraviglie vissute dai nostri concittadini, ma prendere anche delle iniziative per incontrarli, sostenerli…
– Valorizzare chi vive la solidarietà
Troppo spesso, la parrocchia e i servizi o movimenti caritativi lavorano in maniera settoriale. Invece, tutta la comunità cristiana deve sentirsi implicata nelle loro iniziative, c’è quindi la necessità di incontri con queste persone, di testimonianze frequenti da parte loro nella liturgia e nella catechesi, di formalizzare anche il loro invio in missione.
– Vivere la fraternità all’interno della comunità
Sarebbe evidentemente incoerente non vivere lo spirito di fraternità tra i membri della comunità cristiana. Da qui l’interesse ad organizzare regolarmente momenti conviviali, magari all’uscita della messa. Tuttavia, l’apertura verso l’esterno deve rimanere fondamentale, il che implica mobilitare ciascuno per l’accoglienza di nuovi partecipanti, anche occasionali.
In definitiva, è tutta una cultura della fraternità in Cristo che si tratta di promuovere nelle nostre comunità e nei nostri movimenti ecclesiali, affinché la Chiesa sia davvero “segno e mezzo del Regno” per i nostri contemporanei orfani del vivere-insieme.