‘Ai margini’. L’esperienza dell’esilio e le persone omosessuali
Riflessioni tratte dal blog Escrituras Inclusivas (Spagna) del 7 ottobre 2010, liberamente tradotte da Dino
Dio crea una dimora in mezzo all’esilio e ci sfida ad accogliere quelli che si vedono costretti all’esilio. In Geremia 29, il profeta si rivolge alla comunità ebraica che si trova in esilio dopo la prima caduta di Gerusalemme nel 597 a.C..
Le parole di Geremia non offrono necessariamente la speranza che l’esilio si concluda in una futura liberazione, ma soprattutto li esorta a vivere in pienezza nella situazione presente. L’immagine dell’ ‘esilio’ può non combaciare in modo esatto con l’esperienza di molte persone LGTB (o in quella di coloro che hanno subito abusi, di coloro che sono cresciuti in famiglie destrutturate o dei bambini della guerra) che non hanno mai avuto l’esperienza di una dimora sicura dalla quale venir esiliati.
Tuttavia, ‘esilio’ parla di un profondo desiderio di un sicuro e protettivo ‘luogo somigliante ad una casa’. La sfida a cui Geremia ci mette di fronte è quella di cercar di vivere un’esistenza ricca di frutti mentre la vita, con tutta la sua complessità e drammaticità, prosegue il suo corso.
Invece di esortare gli esiliati babilonesi ad adattarsi alla situazione, li sfida a coinvolgersi con la comunità nella quale si trovano. Il luogo in cui tutto andrà bene potrebbe non essere dove ce lo aspettiamo. Malgrado le persone lesbiche, gay, bisex e trans (LGTB) siano rifiutate da gran parte della Chiesa, dove si trova una comunità sicura di fede nella quale ‘tutto va bene’? O come si potrebbe contribuire a creare questo spazio simile ad una casa?
Sia la storia della guarigione del lebbroso in Lc 17 che il racconto della guarigione di Naaman in 2Re,5 parlano a coloro che subiscono un doppio stigma. Dal punto di vista degli Israeliti, il fatto che Naaman fosse uno straniero era già abbastanza negativo; ma l’essere anche malato di lebbra lo rendeva doppiamente svantaggiato agli occhi della comunità.
Il lebbroso che ritornò da Gesù, non era soltanto un lebbroso, ma anche un samaritano, cosa che lo collocava in una posizione vulnerabile, anche nella comunità dei lebbrosi esiliati. Nonostante i numerosi ostacoli posti dagli uomini, Dio porta guarigione e recupero. Potrebbe essere facile per i lettori LGTB identificare se stessi come “gli eroi” di questa storia, come persone che hanno subito varie oppressioni ed hanno ricevuto misericordiose guarigioni.
Invece dobbiamo atteggiarci in maniera tale che il testo ci proponga sia delle sfide che del conforto. Le comunità spesso si definiscono specificando cosa ‘non’ sono; anche le comunità che sono oppresse stabiliscono per se stesse tali confini.
Le comunità LGTB non sono diverse. Chi non si è preso gioco, di soppiatto, davanti ai suoi amici, di qualcuno che vestiva in modo diverso (“la sfida di vestirsi alla moda”), non ha formulato acute distinzioni basate sull’educazione (‘ordinario’ o ‘snob’) o non ha mantenuto le distanze da qualcuno il cui modo di fare non gli piaceva (‘troppo effeminato’… ‘troppo mascolino’)?
Per non parlare dei pregiudizi scontati sull’etnia, l’età, la salute o il genere! Chi potrebbe sentirsi non accolto nella nostra comunità? Chi condanneremmo all’esilio? In questi passaggi (delle Scritture), la voce di Dio arriva attraverso persone insospettabili.
Naaman prima ascolta una giovane schiava, e poi segue il consiglio dei suoi servi. Geremia si trova in conflitto con altri profeti che predicono un esilio breve e un’imminente liberazione che Dio metterà in atto per il suo popolo, per cui la sua voce solitaria sembra tradire il suo stesso Paese.
Un lebbroso samaritano mostra una fede che salva. L’apostolo Paolo si trova in prigione, ma senza dubbio il suo Vangelo è predicato ‘senza catene’.
Dio è così sconcertante come il fatto che la sua parola ci arriva proprio dalle persone che tendiamo ad esiliare? Ognuna di queste storie avviene in un luogo ‘intermedio’ per i protagonisti. Gesù incontra i lebbrosi ai confini della Galilea e della Samaria. Geremia scrive agli esiliati di Babilonia da una Gerusalemme non ancora distrutta. A Naaman viene chiesto di bagnarsi nel Giordano in terra straniera.
Paolo si trova incatenato ‘come un criminale’. in questi luoghi di frontiera il popolo viene liberato dalle sue abituali convenzioni e riceve la fedeltà di Dio in modo inaspettato e inconsueto. Anche i nove lebbrosi che non ritornarono (a ringraziare) Gesù furono guariti!
Lavorare con questo tema del ‘luogo intermedio’ può aiutarci a risolvere le tensioni inerenti agli ultimi versi dell’inno riportato nella seconda lettera a Timoteo. La possibilità di negare Cristo e di essere negati da Lui potrebbe gettare nel terrore una coscienza sensibile. Chi riesce ad essere sempre fedele?
Viviamo tra la fedeltà e l’infedeltà. Questo fatto spaventoso è controbilanciato dalla promessa che “anche se noi non siamo fedeli, Cristo continua ad esserlo”.
Cristo riunisce gli esiliati con la comunità in cui essi vivono. Gesù invita i lebbrosi a “presentarsi ai sacerdoti” (Lc 17:14) per certificare la loro guarigione e la riammissione nella comunità. (Presumibilmente i lebbrosi ebrei ad un sacerdote ebreo e il lebbroso samaritano ad un sacerdote samaritano).
Non vogliamo affermare ad ogni costo l’obbligatorietà di una conferma da parte del sacerdote dell’accettabilità di una persona da parte della comunità. Tuttavia, se il sacerdote è visto come un portavoce della comunità che accoglie (più che come un guardiano), il comando di Gesù obbliga in questo senso.
Ci sono momenti in cui una comunità che accoglie deve rendere pubblica la sua accoglienza, per far cessare completamente e definitivamente la condanna che gli esclusi possono aver subito. Le celebrazioni pubbliche come le feste dell’orgoglio (Gay Pride), le benidizioni delle coppie e i matrimoni, i coming out o la ridefinizione delle cerimonie, offrono opportunità alle comunità di rendere esplicita la loro accoglienza.
Quando la nostra comunità mette in pratica tutta la sua capacità di accoglienza, come restituire l’integrazione a quelli che sono stati esiliati ed esclusi?
Preghiera inclusiva
Creatore nostro trascendente
che, tuttavia, abiti tra noi.
Ti lodiamo.
Ti chiediamo la terra promessa
-che non abbiamo mai conosciuto pienamente-
mentre lavoriamo per essere la tua accoglienza nel mondo.
Concedici oggi una vita piena.
Perdonaci per le volte che abbiamo esiliato gli altri,
come preghiamo per la pace
così perdona quelli che ci esiliano.
Allontana da noi il bisogno di alzare confini,
e facci gustare la diversità della vita!
Perché tu sarai colui che si prende cura della comunità,
colui che risponde ai nostri desideri più profondi,
e colui che ci fornisce una dimora eterna.
Amen.
Testo originale: Prosperando en los márgenes