Psicoterapia e omosessualità. Margherita Graglia e le buone prassi per l’inclusione
Dialogo di Katya Parente con Margherita Graglia
Ospite gradita di oggi è Margherita Graglia che, oltre ad essere psicologa e psicoterapeuta, si occupa anche di sessuologia clinica, ma che è qui con noi per parlarci, in modo particolare, di formazione.
Da cosa nasce questo suo interesse per le tematiche LGBT?
Nello specifico durante gli studi universitari, anche se già alle superiori rivolgevo il mio interesse verso quelle correnti di pensiero che avevano uno sguardo critico verso i paradigmi dominanti. Negli anni dell’università, alla facoltà di psicologia, rimasi invece colpita dal fatto che i corsi non prevedevano uno spazio di approfondimento per i temi LGBT, a volte menzionati en passant, altre volte citati secondo una prospettiva più o meno patologizzante, ma molto spesso non considerati affatto.
Erano gli anni ’90. Decisi così di approfondire questi temi, oltre a quelli del femminismo che da sempre mi avevano appassionata e scelsi di fare una tesi sperimentale: intervistai 30 terapeuti dell’Emilia Romagna sulle rappresentazioni che avevano nei confronti dei loro pazienti gay e lesbiche. Ne emergeva un quadro variegato, non privo di ambiguità, in cui la maggior parte non considerava gli orientamenti omo-bisessuali sullo stesso piano, in termini di salute e naturalità, dell’orientamento eterosessuale.
Inoltre emergevano una serie di rappresentazioni negative nei confronti dell’omogenitorialità, ritenuta da alcuni una contraddizione rispetto all’orientamento omosessuale. Una ricerca che ho successivamente raccontato nel libro “Psicoterapia e omosessualità” (Carocci, 2009).
Parte del suo lavoro consiste nel formare educatori e altre figure professionali (ad esempio sanitari e assistenti sociali) sulle tematiche inerenti l’identità sessuale e sull’inclusione. Qual è lo stato delle cose? È passibile di miglioramento?
In questi 20 anni di attività come formatrice sui temi dell’identità sessuale e della promozione dell’inclusione delle persone LGBT ho assistito a molti cambiamenti significativi. Come dicevo prima, negli anni ’90, i temi LGBT nelle facoltà di psicologia non erano considerati temi significativi, oggi i principali insegnamenti prendono invece in considerazione questi aspetti e docenti e studenti portano avanti studi e ricerche su questo.
Io ho iniziato a lavorare come formatrice nell’ambito educativo, era infatti la scuola il contesto in cui si esprimeva il maggior bisogno di intervento, gli insegnati ad esempio manifestavano il bisogno di avere strumenti di comprensione delle identità omosessuali, così come di saper intervenire ne casi di bullismo omofobico. Non erano solo singoli docenti a proporre iniziative, ma anche scuole che richiedevano interventi formativi. In quegli anni ho lavorato in varie regioni italiane.
Ricordo con grande piacere quel periodo, in cui l’entusiasmo si accompagnava alla possibilità di realizzare e sperimentare interventi innovativi. Successivamente, oltre agli ambiti educativi si aprirono altri contesti, come quelli sanitari, non più esclusivamente interessati alla prevenzione dell’HIV, ma anche ai bisogni specifici di salute della popolazione omosessuale e a creare contesti inclusivi.
Via via altri contesti manifestavano l’esigenza di approfondire questi temi per rispondere con competenza agli utenti LGBT dei vari servizi e allo stesso tempo per contrastare le discriminazioni. Il contrasto alla discriminazione ha infatti aperto le porte a progetti formativi nelle pubbliche amministrazioni, nelle forze dell’ordine, nelle aziende private, nella preparazione universitaria dei futuri psicologi, assistenti sociali, educatori, ecc.
Vi è stato quindi un progressivo allargamento ai settori che si sono e si stanno formando su questi temi. E’ avvenuto anche un cambiamento rispetto ai contenuti, ad esempio è emerso nel tempo sempre più chiaramente l’importanza di affrontare i temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere insieme.
La Strategia Nazionale Unar del 2013 contro le discriminazioni connesse all’identità sessuale è stato un momento importante, ricordo l’efficacia dei vari interventi con i vertici delle Forze dell’ordine, della Pubblica amministrazione e dei dirigenti scolastici regionali. A Reggio Emilia abbiamo portato a livello locale quell’esperienza, implementandola e innovandola.
Abbiamo infatti attivato un Tavolo interistituzionale per il contrasto all’omotransnegatività e per l’inclusione delle persone LGBT, un progetto voluto dal Comune e che coinvolge tutte le istituzioni del territorio e che vede proprio nella formazione del personale dei vari servizi l’attività d’elezione per promuovere l’inclusione.
Si è quindi nel tempo andata radicando una sensibilità e un bisogno di conoscenza condivisa, così come di lavorare in rete. Sono avvenuti molti cambiamenti, ad esempio per quanto riguarda la scuola, da tempo non lavoro più esclusivamente sull’orientamento sessuale, ma sulle varie dimensione dell’identità sessuale, come l’identità di genere e non lavoro più esclusivamente con le scuole superiori o medie, ma nel tempo ho iniziato a lavorare sui temi dell’omogenitorialità alle elementari e sugli stereotipi di genere – come matrice dell’omotransnegatività – ai nidi e alla scuola d’infanzia.
A fronte di questi cambiamenti significativi, è diventato tuttavia più difficile fare formazione su questi temi nelle scuole superiori, vi sono molte più resistenze rispetto al passato, i professori temono le reazioni dei genitori, i dirigenti scolastici sono portati a credere che questi argomenti siano divisivi, alcuni genitori sono confusi dalla propaganda cosiddetta antigender e gli studenti trovano altri modi, spesso autorganizzandosi, per rispondere ai loro bisogni di conoscenza.
Da un lato c’è dunque bisogno di proseguire sulla strada della capillarizzazione degli interventi formativi, in modo che in tutti i contesti della vita pubblica i vari operatori maturino sensibilità e competenza su questi temi, dall’altro risulta necessario che le istituzioni prendano un posizionamento chiaro, mi riferisco soprattutto ad azioni a livello nazionale e legislativo che facciano da supporto all’inclusione sociale. Questo, a mio parere, è il livello attualmente più scoperto.
La sua attività professionale l’ha spesso portata a fronteggiare discriminazioni e omotransfobia. Cosa ne pensa della proposta di legge in proposito?
La legge contro l’omotransfobia va proprio nella direzione che ho appena accennato. Ho avuto l’onore di tenere una relazione alla Camera del deputati per sostenere la necessità di questo intervento legislativo, sollecitato dall’Europa oltreché dalle discriminazioni che continuano a subire le persone LGBT nel nostro Paese.
Una legge che metterebbe sullo stesso piano di gravità i crimini d’odio basati sull’identità sessuale come quelle ad esempio motivati dall’identità etnica o dalla fede. Perchè infatti la legge Mancino non dovrebbe essere allargata anche alle persone LGBT? Sarebbe un chiaro segnale, a livello simbolico di legittimazione dell’identità LGBT e, a livello concreto di stigmatizzazione della violenza nei confronti delle persone LGBT.
La sua attività di psicoterapeuta si concretizza, oltre al contatto diretto con le persone, anche nella scrittura. Si tratta di due realtà complementari? Quale la soddisfa maggiormente?
Svolgo la mia attività di terapeuta con grande entusiasmo e soddisfazione, mi permette di evolvermi ed esplorare mondi. Amo molto la dimensione del viaggio, conosco mondi interni grazie all’attività di terapeuta e mondi sociali attraverso l’attività di formatrice; per cui, sì, le definirei complementari.
Il viaggio della terapia ha tempi più lenti, con passaggi talvolta impercettibili, ma molto profondi, mentre il viaggio gruppale della formazione è più immediato. Nella scrittura intraprendo un viaggio personale, dentro di me, cercando di mettere insieme i viaggi individuali e gruppali che mi hanno permesso di accedere a nuovi territori. E’ stato così nel primo libro che ho già citato e poi in “Omofobia. Strumenti di analisi e intervento” (Carocci, 2012) e nel più recente “Le differenze di sesso, genere e orientamento. Buone prassi per l’inclusione” (Carocci, 2019).
A volte è quantomeno disagevole per un adolescente LGBT vivere in famiglia. Alla luce di questa premessa quali strategie si possono mettere in campo in tempi di covid-19?
I ragazzi e le ragazze LGBT in questi tempi di emergenza sanitaria si confrontano con sfide specifiche, chi ad esempio non ha rivelato la propria identità ai genitori vive un nascondimento reso ancor più impegnativo dal non poter parlare liberamente ad esempio al telefono con altri ragazzi LGBT, dovendo quindi incrementare ancor di più le azioni di occultamento di sè, con tutto ciò che comporta a livello psichico.
Chi invece ha fatto da poco coming out e ha vissuto le reazioni negative dei genitori è costretto a una convivenza resa ancor più difficile dal non poter uscire e non poter accedere a risorse supportive, le tensioni intrafamiliari potrebbero aumentare, così come la difficoltà a sostenere la convivenza forzata senza avere opportunità di confronto o svago con gli amici.
In questa situazione le associazioni LGBT si sono riorganizzate e offrono supporto o attività di incontro online che possono rappresentare uno strumento fondamentale per fronteggiare i sentimenti di solitudine innescati dalle limitazioni sociali.
Con questa breve chiacchierata, abbiamo solo toccato di sfuggita temi importantissimi che, come tali, meriterebbero un ulteriore approfondimento. Validi suggerimenti si possono trovare su www.margheritagraglia.it. Per chi invece fosse interessato ad un volume che tratti di queste problematiche si può fare riferimento all’ultimo libro di Margherita “Le differenze di sesso, genere e orientamento. Buone prassi per l’inclusione” (Carocci, 2019).
Gli strumenti necessari per un vero cambiamento non mancano. Sta a noi usarli proficuamente.
> Scopri le altre interviste su mondo LGBT, e non solo, nel blog “La versione di Katya”