“Curare i gay”. Per alcuni psicologi cattolici è ancora una malattia
Articolo tratto da Adista Notizie n.5 del 19 gennaio 2008
Una “terapia riparativa” per “guarire” dall’omosessualità. Ancora oggi, nonostante le prese di posizione nettissime ed inequivocabili da parte della comunità scientifica internazionale, c’è chi tratta l’omosessualità come una malattia da dover curare, provocando enormi danni nell’equilibrio psichico di coloro che decidono improvvidamente di affrontare questo “cammino terapeutico”.
A testimoniare la sopravvivenza di tali pratiche anche nel nostro Paese (negli Stati Uniti le “terapie riparative” sono molto diffuse grazie al sostegno economico e culturale di alcune sette protestanti), è stata l’inchiesta di Davide Varì, pubblicata su Liberazione lo scorso 23 dicembre.
Varì, fingendosi un uomo con tendenze omosessuali, è riuscito a entrare in contatto con tale don Giacomo di Roma, che a sua volta lo ha indirizzato allo studio del professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all’Università Gregoriana.
Il responso del professore è giunto al termine di una trafila di incontri e test che si è protratta per circa sei mesi: Cantelmi, ha raccontato Varì, “mi parla di ‘leggera nevrosi e depressione’ che avrebbe indotto la mia deviazione sessuale, l’uscita dai binari di una sessualità sana e consapevole. ‘Tu non sei propriamente un omosessuale’, mi dice. ‘La tua mi sembra più una preoccupazione determinata da alcuni episodi legati all’infanzia. A questo punto si tratta di andare a ripescare quelle fratture e superarle attraverso una terapia adeguata”.
L’articolo di Liberazione – che ha riportato alla luce una realtà, quella dei centri per la “cura” dell’omosessualità, già emersa da un’inchiesta pubblicata nel maggio del 2005 dal mensile gay Pride a firma di Stefano Bolognini – ha suscitato vivacissime polemiche.
Il presidente dell’Ordine Nazionale Psicologi, Giuseppe Luigi Palma, ha dichiarato che “lo psicologo non può prestarsi ad alcuna ‘terapia riparativa’ dell’orientamento sessuale della persona” e “nessuna ragione né di natura culturale né di natura religiosa, di classe o economica può spingere uno psicologo a comportamenti o ad interventi professionali non conformi” ai principi del codice deontologico.
Il senatore socialista Franco Grillini ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute Livia Turco perché il governo “intervenga immediatamente e perché anche l’Ordine dei medici, in relazione agli psichiatri che sottopongono i propri pazienti alla conversione, prenda una netta posizione”.
Eppure nella stessa maggioranza di governo c’è chi, come la teodem Paola Binetti, ha dichiarato che “fino agli anni ‘80 nei principali test scientifici mondiali l’omosessualità era classificata come patologia, poi la lobby degli omosessuali è riuscita a farla cancellare. Ma le evidenze cliniche dimostrano il contrario”.
Sulla vicenda è inoltre intervenuto Gianni Geraci, presidente del gruppo di cristiani omosessuali “il Guado” di Milano. “Come tanti omosessuali cattolici della mia età – ha scritto Geraci in un articolo fatto circolare in rete – certi approcci terapeutici li conosco bene, perché una ventina di anni fa ho chiesto a uno psicoterapeuta di ‘farmi diventare eterosessuale’”. Ma se Geraci se l’è cavata con una “lieve depressione”, ha conosciuto anche “persone a cui le cose sono andate decisamente peggio: qualcuno è ancora in una clinica psichiatrica, qualcuno si è addirittura suicidato dopo aver constatato che tre anni di sforzi per diventare ‘normale’ si erano rivelati inutili”.
Non è stata “la lobby gay, come sostiene la senatrice Binetti, a togliere l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali”, ha aggiunto Geraci. “È stato il buon senso di centinaia di professionisti seri che, dopo aver visto le conseguenze nefaste di certe pratiche terapeutiche, hanno deciso che forse era il caso di utilizzare un approccio diverso: se un omosessuale va da uno psicoterapeuta, l’obiettivo che quest’ultimo gli deve indicare non è tanto quello di ‘guarire’ dall’omosessualità, quanto quello di imparare a vivere bene quella stessa omosessualità che una volta veniva curata”.