Qualche riflessione sull’omofobia nascosta nella morale cattolica
Riflessioni di Melinda Selmys pubblicate sul blog Catholic Authenticity (USA) il 20 giugno 2017, libera traduzione di Silvia Lanzi
Un recente post di padre Longenecker parla dell’uscita di due diversi libri cattolici sull’omosessualità (uno di James Martin e l’altro di Dan Mattson). In pratica padre Longenecker ha un approccio molto comune nell’accostarsi alla discussione suscitata dalle persone LGBTQ, riguardo all’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità che è: a) chiaro e semplice; b) si applica a tutti nello stesso modo e per tutti è ugualmente difficile; c) ci sono un sacco di persone etero che non si possono sposare e anche da loro ci si aspetta la castità.
Questo approccio letterale omette uno degli aspetti importanti del problema: non si trattano i peccati sessuali delle persone eterosessuali nello stesso modo di quelli delle persone omosessuali. Non importa quanto i cattolici ritornino sul fatto che il catechismo condanna in modo simile molti comportamenti sessuali. Non è vero che la Chiesa condanna tutti allo stesso modo.
Recentemente ho scritto, in modo particolare, del problema dei “licenziamenti omofobi” nelle istituzioni cristiane – e in particolare in quelle cattoliche. Ho scritto anche del fatto che i media cattolici tendono ad avercela di più con l’interpretazione dell’omosessualità, che non con i comportamenti delle coppie etero non sposate. Potrei aggiungere il fatto che, a parte una piccola minoranza di comunità cattoliche iper-tradizionaliste, si può essere divorziati e risposati, sterili e/o vivere more uxorio e nessuno batterà ciglio. Nessuno farà commenti sgradevoli in vostra presenza, nessuno solleverà problemi sul fatto che possiate o meno fare il catechista. E probabilmente non sentirete niente di sgradevole dal pulpito.
Nei molti anni in cui ho lavorato come scrittrice cattolica, ho incontrato parecchie persone sposate che lavoravano per enti cattolici e che insegnano in scuole cattoliche, che non hanno mai sentito il bisogno di nascondere il fatto che usavano i contraccettivi. E in alcuni casi, si è trattato di persone che ho incontrato solo una volta… Così ho saputo che non seguivano gli insegnamenti dell’Humanae Vitae. Non erano preoccupati di poter perdere il proprio lavoro se qualcuno li scopriva. Perché? Perché si sa che, se improvvisamente la Chiesa licenziasse chi usa i contraccettivi, dovrebbe affrontare una grossa crisi nei campi dell’insegnamento scolastico, della gestione finanziaria, dell’animazione liturgica, del catechismo – che va a braccetto con quella, spesso lamentata, delle vocazioni.
Invece gli impiegati LGBTQ delle istituzioni cattoliche sanno di dover rimanere nascosti, per non mettere a rischio il proprio lavoro, perché sono consapevoli di poter essere licenziati per le loro scelte sessuali o, in alcuni casi, anche solo per il proprio orientamento. Ora, è vero che l’insegnamento della Chiesa è coerente. E che si tratta di una richiesta abbastanza folle per tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale. Ma se si è gay e se si vuole obbedire ai dettami ecclesiastici bisogna o astenersi dal sesso o sposarsi con una persona del sesso opposto.
Mentre se si è etero e sposati, la possibilità è quella di sfornare un pargolo ogni volta che i cosiddetti metodi naturali fanno cilecca – anche se, ovviamente, è nocivo per la salute. (O, in alternativa, si può essere sposati ed avere una caterva di figli di cui occuparsi, oppure vivere insieme come “fratello e sorella”). Non sono del tutto convinta che il celibato come scelta di vita sia sempre la croce più pesante da sopportare. E questo è il motivo per cui praticamente tutti o ignorano gli insegnamenti della Chiesa in materia di etica sessuale, o “ricorrono frequentemente al confessionale”. Chi ha sufficiente autocontrollo da praticare davvero gli insegnamenti della Chiesa è tanto raro, quanto chi pratica una giustizia perfetta nei confronti dei poveri, di chi non invidia le cose altrui e di chi prega senza mai stancarsi. Tutti dovremmo fare queste cose, ma la maggior parte di noi ha più bisogno di misericordia che di plauso.
Ma quando si arriva all’argomento omosessualità, improvvisamente non c’è niente che vada bene. Se si è gay bisogna aspettarsi il controllo inquisitorio dei cattolici tradizionalisti e dei loro troll del web come SuperApologeticsMan, CatholicusMaximus o SledgehammerOfGod. Oppure di essere chiamati ad approvare pubblicamente le parole più dure di qualsiasi documento vaticano concernente la sessualità. Prima di entrare in una sala della parrocchia, vi si potrebbe letteralmente chiedere di firmare un documento che confermi la vostra adesione ai dettami della Chiesa.
Se siete gay, i soliti metodi con cui i cattolici affrontano il desiderio sessuale non sono abbastanza: dovete guardarvi costantemente da ogni segno di omosessualità nella vita, inoltre il vostro obiettivo dovrebbe essere la crocifissione dell’eros LGBTQ. Niente di meno, ed è probabile che siate definiti come eretici pagati da George Soros se sosterrete le rivendicazioni gay.
Non sto dicendo che quello che ho scritto corrisponde al modo di vedere le cose di padre Longenecker (lui afferma che la maggior parte delle persone si sforza di farlo e sottolinea che la confessione è una scelta). Sto dicendo piuttosto che si deve considerare che le persone LGBTQ si scontrano ogni giorno con questo tipo di perniciosa cultura cattolica dei “due pesi – due misure“.
Non è abbastanza dire che c’è un insegnamento che va bene per tutti, quando la verità è che oltre ad essere imposto da persone eterosessuali, è assai restrittivo e nessuno dice nulla di quando è impossibile da seguire, perché quello imposto ai gay è purtroppo un cilicio irto di chiodi e catene.
Testo originale: Some Straight Talk on Catholic Homophobia