Qualcosa è cambiato. Quando il Coming out arriva alle medie
Articolo di Benoit Denizet-Lewis, Internazionale*, 15 gennaio 2010
Orgogliosi, determinati, felici. Negli Stati Uniti sono sempre di più i ragazzi che dichiarano la loro omosessualità prima dei quattordici anni. Una scelta coraggiosa, che spesso trova impreparate la scuola e la famiglia.
Austin non sa cosa mettersi per la sua prima festa da ballo gay. Per lui, tredicenne di Sand Springs, in Oklahoma, è già abbastanza difficile doverci andare senza il suo ragazzo, di un anno più grande.
E come se non bastasse ci sono anche problemi di look. “Non ho niente di pulito!”, mi fa sapere con un sms, il suo modo preferito di comunicare. Quando ci incontriamo, un’ora dopo, tutte le difficoltà sono già superate: Austin indossa un paio di jeans e una maglietta beige con disegnati degli strumenti musicali. Eppure è ancora molto nervoso.
“Ho un po’ di paura”, mi confessa. “Con chi parlerò? Vorrei che ci fosse il mio ragazzo”. Ma il suo ragazzo non può venire: non ha trovato un passaggio e non può certo chiederlo al padre. “Se sapesse che è gay, suo padre lo darebbe in adozione”, dice Austin. “È severissimo, mette quasi paura. Così lui è costretto a uscire con le ragazze, per evitare sospetti”.
Austin, invece, non deve più fingere. Ha rivelato la sua omosessualità agli amici più stretti, che gli sono stati molto vicini. Qualche amica gli ha confessato a sua volta di essere bisessuale. Austin non aveva intenzione di parlarne con la madre, ma lei ha scoperto tutto una settimana prima del ballo.
“L’ho detto a mia cugina, mia cugina l’ha detto a un’altra ragazza, che l’ha detto alla madre, la quale poi lo ha riferito a mia mamma”, spiega Austin.“L’unica persona che vive la mia omosessualità come un problema è mia sorella più grande. Continua a ripetere che è solo una fase”.
Le prime cotte
Quando arrivo in Oklahoma (Stati Uniti), la madre di Austin è in vacanza. Alla festa dell’Openarms Youth Project di Tulsa, che ha sede in un blocco squadrato di cemento accanto a una chiesa battista di mattoni rossi, ci accompagna un amico di famiglia. Arriviamo puntualissimi e Austin si rifugia su un divano in un angolo del locale, ma viene subito avvicinato da Ben, un sedicenne che frequenta regolarmente le feste di Openarms.
Ben lo accompagna a fare un giro e poi lo presenta alla madre, che spesso dà un aiuto al punto di ristoro del club. Il locale è pieno di mamme aperte e comprensive. Mentre Austin e Ben sono impegnati a chiacchierare, un quattordicenne di nome Nick arriva accompagnato dalla madre.
Le ha confessato di essere gay dopo il nostro arrivo, l’Openarms è affollato da circa 130 adolescenti di ogni angolo dello stato. Alcuni ballano sulle note di Poker face di Lady Gaga, qualcuno gioca a biliardo, mentre altri si tengono per mano nel patio.
In un angolo, una ragazzina bassa e disinvolta che frequenta la terza media bacia una studentessa di un anno più grande, con cui è fidanzata da qualche tempo. Le chiedo dove si sono conosciute. “In chiesa”, rispondono.
Poco lontano Misti – 14 anni, ha fatto coming out con i compagni di scuola quando ne aveva dodici e da allora ha dovuto sopportare molestie e atti di bullismo – è seduta su una panchina di legno e abbraccia la sua nuova ragazza.
Austin ha praticamente dimenticato il suo ragazzo e mi confessa – per lo più via sms, anche se siamo a due passi di distanza – la sua cotta per Laddie, 16 anni, che si è appena trasferito a Tulsa da una piccola città del Texas.
Come per Austin, anche per Laddie è la prima volta a un ballo gay. Ma ha già una schiera di ammiratori e ha l’aria di essere molto più a suo agio del suo nuovo amico. Racconta di aver dichiarato la sua omosessualità in terza media, lasciando stupiti i compagni di scuola. “Ho sicuramente perso degli amici”, dice, “ma nessuno mi ha mai preso in giro né mi ha insultato”.
Austin ha praticamente dimenticato il suo ragazzo e mi confessa – per lo più via sms, anche se siamo a due passi di distanza – la sua cotta per Laddie, 16 anni, che si è appena trasferito a Tulsa da una piccola città del Texas. Come per Austin, anche per Laddie è la prima volta a un ballo gay. Ma ha già una schiera di ammiratori e ha l’aria di essere molto più a suo agio del suo nuovo amico.
Racconta di aver dichiarato la sua omosessualità in terza media, lasciando stupiti i compagni di scuola. “Ho sicuramente perso degli amici”, dice, “ma nessuno mi ha mai preso in giro né mi ha insultato, probabilmente perché allora ero uno dei ragazzi più popolari della scuola. Non credo che avrei fatto coming out se non fossi stato ammirato dagli altri studenti”.
“Quando mi sono reso conto di essere gay”, interviene Austin, “ho pensato che avrei tenuto nascosta la mia omosessualità per sempre. Ma poi ho capito che così sarei stato infelice per tutta la vita. E ho cambiato idea”. Gli chiedo quanti anni aveva quando ha preso questa decisione. “Undici”, risponde.
Quando le danze rallentano e i ragazzi si preparano a tornare a casa, raggiungo Tim Gillean, uno dei fondatori di Openarms, nella cabina del dj. Sta mettendo Disturbia di Rihanna.
Tim ha 52 anni, è cordiale, porta occhiali con la montatura di metallo e ha i capelli sale e pepe. Ha fondato Openarms nel 2002 con il suo compagno di una vita, Ken Draper. Oltre alle feste settimanali, la coppia ogni giovedì organizza gruppi di discussione sull’autostima, le relazioni interpersonali e l’aids. Quando gli chiedo se si aspettava che il suo progetto potesse attirare i ragazzi dell’età di Nick e Austin, Gillean ridacchia e scuote la testa.
Come molti gay adulti che hanno fatto coming out al college o più tardi, non poteva immaginare che esistessero studenti delle medie dichiaratamente gay. “Invece eccoli qui”, dice indicando la folla.“E settimana dopo settimana sono sempre di più”. Ho sentito gli stessi racconti da altre persone che lavorano con i giovani gay in tutto il paese.
Anche se molti adolescenti si dichiarano omosessuali al liceo, già alle medie si conidano sempre più spesso con gli amici, la famiglia o i professori. Come questi giovani riescano a cavarsela in un mondo che non è pronto ad accettarli è una questione complicata.
Generalmente i ragazzini gay del sud e delle aree rurali tendono ad avere maggiori diicoltà dei loro coetanei che vivono sulla costa, ma ho conosciuto giovani omosessuali che vivono bene anche in zone conservatrici come Tulsa e ragazzi che invece hanno paura a fare coming out in città aperte e progressiste.
È chiaro che per molti giovani omosessuali le medie sono soprattutto una scuola di sopravvivenza. Secondo un’indagine condotta nel 2007 dal Gay, lesbian and straight education network (Glsen), su 626 studenti di scuola media gay, bisessuali e transgender di tutto il paese, l’81 per cento affermava di aver subìto molestie a causa dell’orientamento sessuale, mentre il 39 per cento perfino aggressioni fisiche.
Tra quelli che avevano denunciato questi episodi di bullismo agli insegnanti, solo il 29 per cento ha dichiarato che la scuola ha poi preso provvedimenti efficaci. L’opinione di molti educatori con cui ho parlato è ben sintetizzata dalle parole di un insegnante del Maine, secondo cui la scuola media è “completamente impreparata” di fronte agli studenti apertamente gay.
“Abbiamo sempre saputo che in questo periodo i ragazzi fanno i conti con la loro identità”, spiega, “ma spesso non abbiamo preso posizione contro gli atteggiamenti omofobici degli studenti, da una parte perché a quest’età sono piuttosto comuni, dall’altra perché non avevamo studenti che si erano apertamente dichiarati gay. Ora che questo succede, cerchiamo di proteggerli”.
In risposta al bullismo e alle molestie omofobiche, in almeno 120 scuole medie di tutto il paese sono nati gruppi di Gaystraight alliance (Gsa), dove gli studenti e le studentesse omosessuali e i loro compagni etero discutono di come rendere più accogliente e sicuro l’ambiente scolastico. Alcuni istituti, inoltre, permettono agli studenti di aderire alla Giornata nazionale del silenzio.
Questa ricorrenza, durante la quale i ragazzi denunciano le molestie antigay impegnandosi a non parlare per un giorno intero, si svolge ogni anno ad aprile e l’anno scorso è stata dedicata alla memoria di Lawrence King, un quindicenne di Oxnard, in California, ucciso a scuola da un compagno di classe di 14 anni.
Sia le Gsa sia la Giornata del silenzio sono stati attaccati da alcuni docenti e genitori che li hanno definiti uno strumento per la promozione dell’omosessualità nella scuola pubblica.
Tuttavia tra educatori e genitori è sempre più diffusa l’idea che sia necessario combattere il bullismo, perché ha conseguenze psicologiche gravissime sui ragazzi. “Ovviamente non credo che le scuole debbano imporre alla comunità i loro programmi di educazione sessuale”, afferma Finn Laursen, direttore esecutivo della Christian educators association international.
“Ma non possiamo mettere la testa sotto la sabbia e ignorare le molestie. Le difficoltà sono confermate dai problemi che affrontano molti studenti gay e studentesse lesbiche, oltre che dai recenti suicidi di un ragazzino di prima media in Massachusetts e di un bambino di quinta elementare in Georgia, entrambi vittime di un bullismo spietato perché creduti gay.
Secondo alcuni studi condotti negli anni ottanta e novanta, gli adolescenti omosessuali sono più esposti al rischio di depressione, abuso di sostanze e suicidio rispetto ai loro coetanei eterosessuali.
Justin e Kera
Nel 1998, quando lavoravo per XY, una rivista per giovani gay, ogni settimana arrivavano in redazione decine di lettere di adolescenti disperati. Alcuni erano stati rifiutati dalle loro famiglie, altri vivevano in casa ma si sentivano ripetere che non erano normali. Quando, tre anni dopo, ho smesso di scrivere per quella rivista il contenuto delle lettere stava cominciando a cambiare. In quegli anni gli adolescenti gay stavano diventando orgogliosi, determinati e a volte perfino felici.
Raccontavamo spesso le loro storie: ricordo in particolare la vicenda di un giovane giocatore di football del Massachusetts che dopo il suo coming out era rimasto sbalordito dall’appoggio incondizionato ricevuto dai compagni di squadra.
Con questo non voglio sostenere che gli adolescenti gay avessero improvvisamente smesso di soffrire per le molestie di cui erano vittime o per il rifiuto della famiglia. Ma molti non sembravano così oppressi dalla vergogna come i giovani omosessuali di qualche anno prima.
Cos’era cambiato? Nella cultura popolare l’immagine di gay e lesbiche era diventata più positiva. Inoltre grazie a internet gran parte degli adolescenti aveva rotto l’isolamento che per anni aveva accompagnato i giovani gay.
In rete era possibile trovare informazioni utili per confutare quello che spesso la famiglia e la chiesa continuavano a ripetere: cioè che gli omosessuali non avrebbero mai trovato la felicità e l’amore.
Oggi, a quasi un decennio di distanza dalla mia esperienza a XY, i ragazzi che si sentono attratti da persone del loro stesso sesso riescono a condurre un’esistenza che sarebbe stata “quasi impensabile per le precedenti generazioni di giovani gay”, scrive Ritch Savin-Williams nel suo libro The new gay teenager (Il nuovo adolescente gay).
Professore di psicologia evolutiva alla Cornell university, Savin-Williams qualche tempo fa mi ha detto che i giovani omosessuali non sono più necessariamente condannati a un’infanzia traumatica.
In particolare, i ragazzi dichiaratamente gay che rispettano le norme di genere dell’adolescenza sono spesso perfettamente integrati a scuola e tra i loro coetanei.
Le ragazze che si dichiarano bisessuali ma sono considerate femminili spesso sono al riparo dalle molestie. E la stessa cosa succede ai ragazzi gay che, come Laddie, hanno un aspetto virile. Eppure, più sono giovani al momento del coming out, più questi ragazzi e queste ragazze si trovano ad affrontare ostacoli sconosciuti ai loro coetanei eterosessuali.
Quando un ragazzo di dodici anni dice con assoluta naturalezza ai suoi genitori o a un consulente scolastico che gli piacciono le ragazze, la loro reazione in generale non è di incredulità né di insofferenza.
“Nessuno chiede: ‘Sei davvero sicuro? Forse sei troppo giovane per dire che ti piacciono le ragazze. Forse è solo una fase transitoria’”, osserva Eileen Ross, direttrice dell’Outlet program, un servizio di sostegno per giovani omosessuali di Mountain View, in California.
“I ragazzi gay, invece, si sentono sempre fare obiezioni del genere. Neghiamo i loro sentimenti e la loro verità come non faremmo mai con un giovane eterosessuale”.
Anch’io ho commesso quest’errore la primavera scorsa, quando in una cittadina del New England ho conosciuto Kera – che all’epoca aveva dodici anni e frequentava la seconda media – e il suo più caro amico, Justin, di 13 anni.
Kera era minuta e delicata. Justin aveva le lentiggini e l’apparecchio ai denti. Sembravano dei bambini. Eppure li ho incontrati dopo la scuola nel caffè di una libreria che chiacchieravano con disinvoltura della loro identità sessuale.
Kera spiegava di essere bisessuale, Justin gay. In un primo momento l’effetto è stato surreale. “Ma siete così giovani!”, mi è subito sfuggito di bocca. Quella reazione mi ha stupito. Dopo tutto anch’io avevo capito di essere gay alla loro età.
Se fossi cresciuto al giorno d’oggi, forse avrei avuto il coraggio di confidarmi con i miei genitori o almeno con un amico. Quel giorno avevo anche passato la mattinata a leggere una serie di studi sull’età in cui gay e lesbiche prendono coscienza della loro sessualità. Anche se la maggior parte non fa coming out fino a 15 anni”.
La scuola media è stata un’esperienza particolarmente traumatica per un ragazzo di una piccola città del Michigan, anche lui di nome Austin. I suoi compagni lo chiamavano “frocio maledetto” e si masturbavano davanti a lui.
Non passava giorno che qualcuno non lo chiamasse “finocchio”, a volte anche in presenza degli insegnanti. “Avrei preferito che non facesse coming out a scuola”, dice Nadia, sua madre. “Ma lui voleva essere sincero con se stesso. Così, per aiutarlo, mi sono offerta di lavorare come assistente alla mensa scolastica.
Avevo la sensazione di dover essere la sua guardia del corpo. Mi sembra di aver passato tutto l’anno nell’ufficio del preside per cercare di convincerlo a proteggere mio figlio. Mi sentivo chiedere cosa avesse fatto Austin per provocare i suoi compagni.
Questa è una zona molto conservatrice e penso che la scuola non volesse dare l’impressione di essere troppo impegnata a difendere uno studente gay”. Il preside non vuole fare commenti sul caso di Austin, ma afferma che la sua scuola “non tollera molestie e altri episodi di bullismo”.
Ammette, però, che gli insegnanti non reagiscono con la necessaria fermezza al linguaggio omofobico. Ho sentito fare la stessa osservazione nella scuola di Kera: “Alcuni professori pensano che questo tipo di linguaggio sia talmente radicato nel modo di parlare dei ragazzi da essere ormai impossibile da modificare.
Altri hanno paura di affrontare il problema, perché non sono pronti a occuparsi di sessualità”.
* Articolo originariamente pubblicato sul The New York Times Magazine
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