Quale famiglia? L’eredità di Ratzinger per i credenti LGBT+
Riflessioni di Antonio De Caro*, parte prima
Molti anni fa io e il mio compagno (che oggi è mio marito) abitavamo in un piccolo condominio. Per alcuni mesi, fra settembre e febbraio, un appartamento posto alcuni piani sopra di noi fu abitato da un uomo, dalla sua compagna e dalle loro figlie, che avevano 7 e 12 anni.
Per sei mesi ci fu impossibile dormire, la notte. Quell’uomo, forse a causa del consumo o dell’astinenza da cocaina, gridava, picchiava, spaccava mobili, porte, vetri. La donna gridava, non riusciva a raggiungere la porta per fuggire. Le bambine piangevano disperatamente.
Piangevano anche quando venivano lasciate sole, poiché i genitori uscivano, sempre nel cuore della notte. Abbiamo sospettato che fossero coinvolti in affari di droga e di prostituzione. Le grida e i rumori erano così forti che noi li sentivamo come se li avessimo in casa, benché in mezzo ci fossero altri piani ed altri appartamenti.
Nel vicinato, tutti avevamo paura. Nessuno osava protestare, né chiamare la polizia o un’ambulanza in soccorso di quella donna e di quelle bambine. Nessuno tranne noi, pur rischiando qualche brutta ritorsione da parte di quel bruto, che quasi certamente frequentava ambienti criminali. Ci siamo rivolti ai carabinieri, alla polizia, ai servizi sanitari e sociali.
Fino a quando non hanno cambiato abitazione, e poco dopo sono venuto a sapere che lei aveva trovato la forza di denunciarlo, di allontanarsi e di sottrarre le figlie a quell’incubo.
Una volta confidai la storia (e la nostra angoscia) a un carabiniere, che era bene al corrente della mia configurazione familiare e mi disse “Vedo che qui solo voi due sapete comportarvi da veri uomini”.
Erano proprio gli anni in cui era papa Joseph Ratzinger, che aveva scelto un nome con cui non sono riuscito mai a chiamarlo. Erano gli anni in cui ferveva il dibattito sulle unioni civili.
Erano gli anni in cui lui ebbe a dire, più di una volta, che i progetti di legge sul riconoscimento delle unioni omosessuali (guai a chiamarle amore!) minacciano la famiglia e attentano alla pace; sono, addirittura, segni dell’anticristo.
E questo mentre al terzo piano ogni notte si scatenava l’inferno, mentre a casa nostra regnavano -e regnano- la cura, la gentilezza e il rispetto. A casa nostra ogni anno si celebra il Natale con tenerezza e devozione, e per il resto dell’anno si vive in armonia, affrontando con coraggio e slancio reciproco le piccole e grandi difficoltà della vita quotidiana.
A casa nostra la sera ci si consola dei problemi della giornata con il calore dell’amore, ed è lo stesso calore, al mattino, che ci dà la forza di alzarci ed uscire di casa con l’intenzione di essere gentili, onesti e utili a questo mondo. La nostra casa è casa di pace, ed è la casa di una famiglia, benedetta solo in quanto è abitata dall’amore, che è la sostanza di Dio.
Già solo questo, forse, potrebbe spiegare perché io mi senta profondamente ferito dalle dichiarazioni di quell’uomo “di Dio”, che in nome dei dogmi e della tradizione si è sempre rifiutato di cogliere i germogli di bene nelle vite di tante persone e relazioni omosessuali.
Per Ratzinger non siamo stati mai vere persone da ascoltare evangelicamente, ma problemi da eliminare sulla gelida scacchiera della dottrina. Si sa, il sabato vale più dell’uomo.
*Antonio De Caro è autore dell’ebook teologico “Cercate il suo volto. Riflessioni
teologiche sull’amore omosessuale” (edito da Tenda di Gionata, 2019, 48 pagine, scaricabile gratuitamente) e del libro “La violenza non appartiene a Dio“, editore Calibano, 2021.