Quale famiglia? Quale Dio?
Articolo di Aldo Antonelli pubblicato nella rivista “Rocca”, n. 9 del 1 maggio 2019.
Nella manifestazione conclusiva dei partecipanti al Congresso Mondiale sulla Famiglia tenutosi a Verona dal 29 al 30 marzo scorso, tra i vari, alcuni osceni, manifesti e cartelloni, emergeva un grande poster con su scritto «DIO»! Nel seguire la cronaca che ne faceva il giornalista televisivo scuotevo la testa e mi dicevo, sconsolato ed amareggiato: «Ma quale Famiglia! Quale Dio!». «FAMIGLIA»! «DIO»! Queste parole gridate nelle piazze e nei congressi, scritte sui muri e nei manifesti non sono altro che trappole per l’inganno, tagliole che fanno prigionieri, placebo per la conoscenza e bavagli per la coscienza.
Ci sono parole che l’uso ha inchiodato a un unico significato, depotenziandole e sterilizzandole, seppellendo magari nell’inconscio collettivo tutta una pregnanza semantica che è andata perduta. Ricordo bene la denuncia di don Tonino Bello sull’uso strumentale delle parole: «Un saggio orientale diceva che, se lui avesse avuto per un attimo l’onnipotenza di Dio, l’unico miracolo che avrebbe fatto sarebbe stato quello di ridare alle parole il senso originario.
Sì, perché oggi le parole sono diventate così ‘multiuso’, che non puoi giurare a occhi bendati sull’idea che esse sottendono. Questa ‘sindrome dei significati stravolti’ affligge soprattutto le parole più nobili, quelle di serie A; quelle cioè che esprimono i sentimenti più radicati nel cuore umano come pace, amore, libertà», e, aggiungiamo noi, Famiglia, Dio! Dietro la parola «Famiglia» si nascondono realtà contraddittorie e addirittura opposte come lo può essere una famiglia chiusa in se stessa e nel proprio interesse egoistico ed una famiglia aperta al dolore e alle sofferenze del mondo.
La famiglia di due coniugi mafiosi, che persegue l’esclusivo interesse dei propri figli, con mezzi illeciti e intimidatori, con raccomandazioni e minacce, cosa ha in comune con una famiglia di persone che condividono quotidianamente le sofferenze del mondo e ne sposano le lotte di promozione e di liberazione? La famiglia può essere «una risorsa fondamentale se sa educare i suoi membri all’apertura e alla responsabilità verso i propri simili; un pericolo mortale se si chiude su se medesima coltivando egoismo familistico» (Gustavo Zagrebelsky su La Repubblica del 12 dicembre 2006).
In riferimento alla «famiglia naturale», poi, trovo sorprendente la superficiale faciloneria con la quale preti e vescovi ne sposano la causa, dimentichi del vangelo, là dove non solo non ricorre assolutamente nessun accenno in difesa dell’«istituto», ma spesso se ne evidenzia il distacco, la critica e il superamento. Là dove, soprattutto, ci si ricorda che «non da sangue, né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio siamo stati generati» (Gv. 1,13).
Per un credente, poi, si pone il problema di quale «Dio» sia quello che spesso viene invocato a supporto delle proprie idee o convinzioni…
E qui non posso non richiamare la forte denuncia di padre Balducci quando accusava i cristiani di aver «esaltato all’infinito, sacralizzandoli, i nostri istinti di aggressività nell’idea di Dio», aggiungendo: «Dio è la cifra assoluta della aggressività umana. Il Dio a cui siamo stati assuefatti è un Dio aggressivo, discriminante, implacabile, giusto nel modo con cui noi pensiamo che si debba essere giusti…»! (Citazione di Enzo Mazzi in un articolo sul Manifesto del 20.10.2009).
Personalmente mi dà fastidio e mi mette in disagio il sentir parlar di Dio, soprattutto quando si ragiona e si disquisisce su problemi sociali e di politica. Dirò di più: mi crea problemi anche l’uso facile che noi preti ne facciamo nelle nostre omelie… «Dio mi sta bene, e anche la patria e la famiglia; ma il trilogismo Dio-Patria-Famiglia non mi sta più bene. Dico no a quel dio usato come cemento nazionale, a quella patria spesso usata per distruggere altre patrie, a quella famiglia chiusa nel proprio egoismo di sangue. Non mi riconosco tra quei cittadini ligi e osservanti che vanno in chiesa senza fede, che esaltano la famiglia senza amore, che osannano alla patria senza senso civico» (A. Zarri).