Qual’è il ruolo e l’immagine della donna nell’era del bunga bunga
Riflessioni di Federica Mandato del gruppo Ressa di Trento del 10 Febbraio 2011
Di questi tempi l’argomento più trattato è certamente la vicenda personale e politica di Silvio Berlusconi. Ormai i vari commenti e dibattiti che appaiono sulla stampa non sono altro che continui richiami alla sua vicenda (o non vicenda) giudiziaria, i festini ad Arcore e via dicendo. Come cittadina e persona senziente sento davvero pesante aprire i giornali o seguire i vari tg e vedere ogni giorno sprecato tutto questo spazio e tempo in questo modo, come se l’Italia non avesse altro a cui pensare, i problemi relativi al lavoro, all’università, alla mafia, all’economia non esistessero più, tutti fagocitati dal clamore di festini e sesso a pagamento.
Forse tempi così cupi, almeno in apparenza, si ricordano solo nelle cronache del tardo impero romano, dove la lussuria e la corruzione degli uomini pubblici era all’ordine del giorno e la cittadinanza ormai non si opponeva più in nessun modo.
“Panem et circenses” si diceva allora, dai al popolo dei contentini, illudilo col piacere di certe rappresentazioni (la tv ne è piena) e fai come politico ciò che vuoi. Un argomento è però cruciale e va estrapolato, come ormai molti da tempo sottolineano: il ruolo e l’immagine della donna.
Seguo con molto interesse in questi giorni i vari commenti e dibattiti che appaiono sulla stampa su questo argomento che suscita grandi titoli e passioni nel nostro paese. Sembra ritornato necessario parlare di donne, dopo oltre quarantanni dal femminismo (e dopo trent’anni di programmi della tv commerciale pieni di tette e brandelli di carne al vento).
Le parole come sempre sono importanti, mi soffermo su queste, vedendo la grande confusione che si fa nel loro utilizzo. Femmina e femminismo, donna (esiste ‘donnismo’?), mater e matriarcalità (spesso donna e madre, o donna e moglie si mescolano come sinonimi), conio anche ‘utero-genere’ per dire la mera corporeità distintiva, per arrivare addirittura a forme arcaiche come ‘costola di Adamo’ o ‘sesso debole’, queste le parole più o meno nobili accanto ad altre contrapposte con diniego: prostituta, donnina, malafemmina, donnaccia, puttana e via dicendo.
Numerosi altri epiteti, fino a poco tempo fa con significati molto precisi ora molto sfumati e diversi secondo i toni del discorso: casalinga, suora (serva di Dio), colf (serva di famiglia), badante (serva del nonno), segretaria e assistente (serve del capo), spesso si usa ‘donna che lavora’, i sindacati preferiscono ‘lavoratrice’ (tendenzialmente associato a un lavoro al massimo poco più che impiegatizio) e avanti.
Oggi possiamo usare alla luce del sole altri nomi identitari (e anche qui socialmente ci si divide nel considerarli offese o semplici luoghi degni di diversa identità): lesbica, madre single (un tempo ragazza madre anche a trent’anni), imprenditrice, donna-manager (in italiano ci premuriamo sempre di mettere prima la parola donna, avete mai sentito un inglese fare altrettanto?), donna in carriera (che fa un po’ anni ottanta), rivoluzionaria (dalla Montessori ad Anita di Garibaldi, dalle sessantottine fino alle donne in piazza oggi in Egitto), ricercatrice e avvocatessa e assessora e tutti i lavori di intelletto e potere prima solo di genere maschile.
Diventa anche una questione generazionale, tutti questi aggettivi e nomi sono declinati diversamente se si hanno più di cinquant’anni o meno di venticinque. Basti sentire i commenti sulle ‘donne’ frequentate da Berlusconi fatti dai ragazzi delle superiori intervistati in tv.
Un commento generale su tutto questo è molto difficile, ogni donna ancora oggi deve lottare non poco per vivere pienamente la propria identità (esistenziale, lavorativa, affettiva…) senza chiedere permesso alla società, alla famiglia, al partner, al capo ufficio (uomo o donna), al professore-ressa, al prete (solo uomo per il Vaticano) e alla lunga la donna rischia di cedere all’immagine che le viene affibbiata o che è meno compromettente e difficile da vivere. Il mondo maschile forse è meno condizionato (ma non ne sono del tutto sicura).
Esiste un termine molto anglosassone, QUEER*, che in tutti questi dibattiti non si sente affatto utilizzare, anche perchè non credo esista un corrispettivo italiano, e perchè in Italia comunque si resta ancorati nei dibattiti pubblici alla mediterranea flaccidità di non tentare mai di andare oltre le consuetudini (come sono comode e rassicuranti le consuetudini!).
La mera contrapposizione utilizzata è sempre ‘maschile-femminile’ (vedasi anche i titoli recenti di film ‘maschi contro femmine’ per esempio, l’Italia patria dei luoghi comuni, insomma) rispetto al tipo di organo genitale che il fato ci ha concesso, ma forse le cose sono più complicate di così e forse l’identità personale è molto più complessa di un appartenenza di genere socialmente intesa. Questa complessità è anche rispetto alle divise da indossare, ai ruoli da esercitare, ai doveri da assolvere, ai desideri da avere, vivere o frustrare.
Si dovrebbe insegnare alle donne e accanto agli uomini (rispetto all’identità che ognuno decide e sente di possedere in maniera assolutamente individuale) ad esercitare con coraggio la propria unicità prima ancora che la propria identità sociale, ossia la propria visione del mondo e di sè, superando le contrapposizioni ideologiche e rigide.
Mi verrebbe da chiedere a me stessa innanzitutto di essere in ascolto delle diverse ‘identità’, senza fossilizzarmi sui titoli dei giornali e sulle facili etichette (donnina, donna, donnaccia, donnissima…uomo, macio, mocio, micio).
Ognuno di noi è molte cose assieme, è molti vissuti assieme, è responsabilmente e liberamente IL SOLO possessore di una storia individuale che ha duramente vissuto e maturato, nel tentativo di vivere degnamente il presente e sentirlo come spinta per il futuro.
La cosa che vorrei sentir dire come finalmente nuova alla stampa e ai vari commentatori tanto saggi è, per esempio quanto sia ridicolo parlare di divisioni così nette, dato che non siamo più nell’ottocento e tantomeno nel dopo guerra.
Perché nessuna super femminista pronta giustamente a scendere in piazza per le donne, non prova ad ampliare il discorso? Da cotanto pensatrici mi aspetterei di più. Perchè non si scandalizza del ‘modo’ rigido e datato di commentare le identità di genere prima di tutto, cosa che svilisce la donna tanto quanto l’utilizzo del corpo come oggetto e gioco maschile?
E perché dall’altra parte nessun uomo non si indigna e dichiara di essere sopra questi schemi rigidi, poichè dotato di una dignità individuale ben diversa dal ‘silvio-pisello-centrismo’?
E tutto questo spero un giorno potrà essere affrontato al di là di una contrapposizione ideologico-politica. L’Italia sarà veramente una democrazia moderna quando si potrà parlare dei fatti e degli uomini senza utilizzare sempre un cappello ideologico e un colore politico per farlo. Ma questa è forse un’utopia.
* breve bibliografia sul termine e il mondo Queer:
– Silvia Antosa, a cura di, Omosapiens.2: spazi e identità queer Roma: Carocci, 2007 ISBN 9788843045143
– A. Bellagamba, P. Di Cori e M. Pustianaz (a cura di). Generi di traverso. Vercelli: Edizioni Mercurio, 2000 ISBN 8886960166
– Judith Butler Bodies That Matter. On the Discursive Limits of “Sex”. New York-Londra: Routledge, 1993 ISBN 0415903653
– Judith Butler Gender Trouble New York – Londra: Routledge, 1990 ISBN 0415900425
– Patrick Califia Feminism and Sadomasochism New York: Heresies,1982 ISBN 1573440965
– Teresa de Lauretis “Queer Theory: Lesbian and Gay Sexualities. An Introduction”, in Differences, 1991, 3 (II)
– Teresa de Lauretis Soggetti Eccentrici, Milano: Feltrinelli, 1999 ISBN 8807470268
– Eve Kosofsky Sedgwick Between Men: English Literature and Male Homosocial desire. New York: Columbia University Press, 1985 ISBN 0231058616
– Eve Kosofsky Sedgwick Epistemology of the Closet Berkeley: University of California Press, 1990 ISBN 0520078748
– David Hugh, On queer street: a social history of British homosexuality, 1895-1995, Londra, HarperCollins, 1997. ISBN 0002555956