Qual’è il tuo talento? (Mt 25, 14-30). Il discernimento del corpo fatto dalle persone transgender
Riflessioni pubblicate sul suo blog Catholic Trans (Stati Uniti) il 7 luglio 2015, liberamente tradotte da Valentina Gallipoli, parte terza
Come persona transgender, la visione del Papa aiuta il mio processo di discernimento. Non credo che il mio corpo sia solo un guscio da scartare: tuttavia, sia il mio processo di coming out come transgender che il mio processo di transizione sono nati proprio da un’attenzione al mio corpo. Da quando ho iniziato ad ascoltare ciò che la mia natura conflittuale (il mio fisico e i miei ormoni, per così dire) aveva da dirmi, ho cominciato a fare i conti con l’ordine della creazione in me, e con la gestione il più etica possibile del mio corpo, come richiesto da Dio.
Riconoscere la natura delle cose (in altre parole, ciò che Dio vuole per il mondo) non è solo una mera osservazione dei fatti del mondo, ma anche un’attenzione alla nostra destinazione finale. Questo aspetto è molto in linea con i temi dell’enciclica del Papa. Se governiamo il nostro corpo, non ci importa da dove veniamo o dove andiamo: se invece siamo amministratori attenti del nostro corpo, siamo consapevoli di ciò che ci è stato dato e di dove stiamo andando.
Penso che il paradigma della gestione etica sia molto più appagante per le persone transgender. Possiamo riconoscere il genere con cui siamo nati, e anche cercare con la preghiera il nostro essere nella realtà eterna di Dio. Tenendo a mente entrambe le cose, l’inizio e la fine, possiamo trattare la nostra identità di genere non come una scelta o un diritto, ma come un dono che deve essere adeguatamente coltivato.
Alcune persone (di solito, coloro che guardano dall’esterno) concepiscono la transizione di genere come una colonizzazione, una violenza o mercificazione del corpo. Questo è certamente il dilemma delle donne trans ritratte dai media. Noi tutti abbiamo molto da raccontare sulla nostra femminilità, tuttavia i media si concentrano sempre sugli elementi più superficiali della trasformazione. I documentari ci mostrano sempre mentre ci trucchiamo, e le interviste di solito includono immagini prima e dopo per stimolare l’immaginario collettivo con l’idea di “trasformazione improvvisa”. Le donne transgender sono quasi esclusivamente ritratte come donne che distruggono il loro corpo con “frivolezze femminili” per il bene di una qualche realtà mentale astratta.
Questo è evidente nel modo in cui le persone più progressiste si rivolgono spesso a me. C’è stata più di una persona che avvicinandosi a me ha detto “Accetto qualsiasi scelta tu faccia riguardo al tuo stile di vita”. Quello che mi dicono è che io, come individuo libero, sono libero di fare quello che voglio con il mio corpo. La loro rassicurazione affonda le sue radici nell’“ideologia del gender” di papa Francesco. Anche se apprezzo il gesto, queste rassicurazioni di solito non funzionano con me. Non ho scelto di essere una persona transgender. Non ho scelto di avere la disforia di genere. Ho scelto di fare qualcosa a riguardo perché è al mio destino che penso, e finché Dio mi ha creato per essere me stessa, è bene che io onori la sua Creazione vivendo autenticamente.
Una rassicurazione molto più significativa per me sarebbe: “Ti apprezzo con la tua complessità di genere. Ti apprezzo come Anna”.
Il mio viaggio di transizione è iniziato quando ho ascoltato la parabola dei talenti (Matteo 25:14-30). In questa lettura del Vangelo, Gesù racconta una parabola in cui il padrone di casa dona dei talenti (denaro) a ciascuno dei suoi servi. Due dei servi prendono quello che il padrone dà loro e producono interesse, in modo da poter restituire al padrone, al suo ritorno, il frutto del loro lavoro. Il terzo servo, invece, ha paura e seppellisce il suo talento nella terra. Una volta ritornato, il padrone rimprovera questo servo impaurito per non aver fatto del suo meglio con ciò che gli era stato dato.
Vedo la disforia del genere allo stesso modo. C’è un conflitto reale tra il mio cervello e i miei genitali, tra la mia realtà psicosociale di genere e il mio apparato riproduttivo. Questo dilemma è un “talento” che mi è stato dato. Potrei fare come il servo impaurito e seppellire questo dilemma, ma da quando ho letto il Vangelo ho capito di dover agire.
Non tutti coloro che hanno la disforia di genere cercano di risolverla allo stesso modo. Alcuni sono favorevoli a correggere il cervello perché sia in linea con i genitali, anche se ci sono poche prove che questo sia possibile. Altre persone, come me, vogliono allineare il resto del corpo con il cervello. In ogni caso, c’è un dilemma (un talento) al quale dobbiamo rispondere. La domanda è come.
Come alternativa alla narrazione della “colonizzazione del corpo” che sentiamo dai media, ho percepito la mia transizione in termini di gestione attenta del mio corpo, all’interno di un paradigma non dissimile da quello di papa Francesco. Dio mi ha dato questo corpo con la disforia di genere, quindi cosa devo farne? Nella mia mente ho associato il corpo ad un giardino. I nostri corpi sono i nostri giardini, e Dio ci chiede di prendercene cura.
Immaginiamo che i giardini della maggior parte delle persone siano coltivazioni di patata o campi di gigli. Immaginiamo anche che ci sia un tipo di fertilizzante che aiuta a far crescere le patate, e un altro fertilizzante che aiuta a far crescere i gigli. Prima della transizione, era come se avessi un giardino di gigli (una mente femminile), ma l’unico fertilizzante che avevo era per le patate (testosterone). Ho provato per anni a coltivare patate con quel fertilizzante, ma non ha funzionato, perché i semi non erano di patata. Quando i gigli cominciarono a crescere, morirono immediatamente, perché erano rimasti soffocati dal fertilizzante sbagliato.
In fase di transizione, sto passando al fertilizzante per i gigli (gli ormoni femminili). Ora che sto usando il fertilizzante giusto, il mio raccolto sta crescendo splendidamente. Ho cambiato fertilizzante non perché odio il mio giardino, ma perché lo amo, e voglio che fiorisca.
Nella mia narrativa della disforia di genere, ho rifiutato l’ideologia di genere decostruttivista radicale. Prendo sul serio la natura del mio corpo, con la sua apparente fisiologia maschile e l’ambiguità di genere sottesa, e me ne prendo cura come farei con il corpo di una persona cara. Prendo sul serio anche l’importanza del genere: non sono la sola, l’unica, ma sono parte di qualcosa di più grande: nel mio caso, dell’essere donna.
Per quanto riguarda l’antropologia specificamente cattolica, lasciamo che le parole di papa Francesco informino, invece di demolire l’esperienza di coloro che sono stati creati al di fuori del binarismo di genere.
Testo originale: WHAT DOES POPE FRANCIS ACTUALLY SAY ABOUT TRANSGENDER PEOPLE?