Qual’è la ragione d’essere dei gruppi di cristiani omosessuali
Riflessioni di Giuliana Arnone* tratte dalla sua tesi di laurea su “Il difficile equilibrio tra azione e contemplazione: strategie di riconoscimento di un gruppo di omosessuali credenti”, Università Ca’ Foscari di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica, ottobre 2013, pp.119-121
(..) Si legge in uno dei bollettini del gruppo (di cristiani omosessuali) di Milano Il Guado: “la motivazione stessa dei gruppi e la ragione della loro esistenza è quella di percorrere un cammino, anche in modo critico, che ci consenta di conciliare il vivere la nostra condizione di omosessuali con l’appartenenza alla Chiesa. Noi siamo fiduciosi che la nostra perseveranza in un cammino che intendiamo percorrere dialetticamente, ma anche costruttivamente all’interno di un’ istituzione e non contro, ci possa condurre al traguardo” (si veda: Il Guado, 1993: 4).
In un altro bollettino, di un po’ di anni dopo, si legge, ancora: “amiamo troppo la Chiesa per permetterle di continuare la sua guerra contro di noi” (Il Guado, 2001). In questa volontà di comunicazione, l’appropriazione di documenti ufficiali, come quelli del Concilio, in contrasto con altri documenti ecclesiali, come quelli della Congreazione per la Dottrina della Fede, risponde a quelle strategie messe in atto per riconfigurare la propria identità.
Lo stigma, tuttavia, non proviene solo dalla Chiesa, ma riguarda, a volte, più in generale, la realtà sociale con la quale gli omosessuali credenti si scontrano. Nell’accusare gli omosessuali credenti di “essere dalla parte del nemico”, le persone con le quali ho parlato, anche all’interno dell’arcigay, o semplicemente persone con le quali mi ritrovavo a parlare del mio argomento di ricerca, hanno avanzato delle accuse prendendo come punto di riferimento le argomentazioni della Curia Romana e quindi, sorprendentemente, assumendo le sue posizioni.
(I cristiani omosessuali invece) si allontanano da ciò che viene considerata la Chiesa dei Vertici ma, nello stesso tempo, si appropriano di alcune sue posizioni per (…) negoziare forme di appartenenza con la Chiesa, che smette di essere gerarchica, ma si rivolge alla gente.
Il primo incontro al quale partecipai infatti partiva dalla citazione di un altro documento considerato tra i più importanti elaborati durante il Concilio Vaticano II: la Gaudium et Spes,con il quale la Chiesa prometteva di modernizzarsi e di aprirsi al mondo suo contemporaneo. Quest’ideale di chiesa più aperta, quindi, ecumenica, che riconosce di aver escluso storicamente alcune categorie di persone come, tra gli altri, gli appartenenti ad altre confessioni, si piega alle strategie attraverso cui gli omosessuali credenti cercano un loro posto all’interno della Chiesa stessa. Una chiesa che dialoga con la realtà sociale e storica nella quale è immersa e che, in un certo senso, assume un atteggiamento relativista e non più assolutista nei confronti della storia e della società.
(…) Durante l’incontro con l’Arcigay, il 30 gennaio 2013, Alessandro disse che la presenza del gruppo Emmanuele (cristiani omosessuali di Padova) era giustificata dal tentativo di cercare un dialogo, più che con l’Istituzione, con le persone di cui avevano quotidianamente esperienza diretta.
La relazionalità della fede è quindi di fondamentale importanza per capire le motivazioni che spingono il gruppo a riunirsi e ad agire. Inoltre, l’idea che la chiesa sia principalmente una relazione tra persone, svela la complessità dei rapporti che il gruppo instaura con il clero. Spesso ho sentito dire loro di non aver bisogno di essere legittimati da nessun vescovo, o da nessuna istituzione.
Vi è la necessità di partire “dal basso”, dai credenti o dai preti, non puntare alle alte gerarchie. Poiché è da questa realtà “dal basso” che arriva la maggiore approvazione sociale. (…) Lo spazio d’azione e le strategie di rivendicazione della identità sono quindi rivolte principalmente verso la realtà locale. La Curia Romana è un’ istituzione tutto sommato lontano dalla realtà sociale, chiusa in una torre d’avorio e con cui il dialogo frontale è pressoché impossibile.