Quale posto c’è nella chiesa cattolica per le persone omosessuali?
Articolo di Guillemette di La Borie* pubblicato sul settimanale cattolico Le Pèlerin (Francia), n.6928, del 10 settembre 2015, liberamente tradotto da Valentina Picano
Abbiamo scelto di far luce sul dibattito dando la parola a una persona coinvolta, Véronique Margron, teologa moralista, e al Padre Assunzionista Jacques Nieuviarts, uno dei nostri giornalisti.
In tutto il mondo sensibilità differenti si scontrano sul tema. «Se una persona è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarla?» ha affermato papa Francesco. I documenti preparatori al sinodo (della famiglia) affermano che «ognuno, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, deve essere rispettato nella propria dignità, accolto con sensibilità e delicatezza». Mentre si ricorda che il matrimonio tra uomo e donna è una realtà diversa da quelle delle unioni civili, questi documenti chiedono «una specifica attenzione al sostegno verso le famiglie delle persone che abbiano una tendenza omosessuale».
Julien Pointillart, 35 anni, ingegnere, volontario al Soccorso Cattolico. Cristiano e omosessuale. Testimonianza raccolta da Léa Crespi
«Sono cresciuto in una famiglia cattolica, praticante, piuttosto aperta. Sono stato scout, poi cuoco, responsabile della cappella della facoltà di ingegneria, e perfino della riunione regionale. Quando ero piccolo, non si parlava di omosessualità: da adolescente, sapevo di non essere attirato dalle ragazze, non mi proiettavo nel matrimonio, e lo interpretavo come un appello alla vocazione religiosa.
Quando a 20 anni ho incontrato Bruno, ho capito di essere omosessuale. Perché succede così: lo si scopre, non lo si sceglie. Mi è apparso sin da subito come un’evidenza: ero chiamato a vivere questa relazione d’amore; non ho mai pensato, nemmeno per un instante, che fosse contro il disegno divino. Sapevo bene che ci fosse qualche problema con la regola della Chiesa, e così sono andato a vedere nel Catechismo della Chiesa cattolica: ho letto sia “dell’accogliere le persone con bontà” sia che “l’atto è intrinsecamente disordinato”. Ma c’erano talmente tante cose positive nell’amore della mia relazione, e ciò mi rendeva così felice, quello che provavo era così bello, che ho respinto questa contraddizione: lo avremmo visto più tardi quello che, dietro a queste parole, si sarebbe applicato a me.
Per i nostri genitori è stato un cataclisma. Si sono chiesti cosa avessero sbagliato nell’educarci, avevano paura che saremmo stati infelici, respinti, condannati all’instabilità affettiva, si chiedevano come darci sostegno o come aiutarci a cambiare. I miei genitori si sono fatti aiutare da un amico monaco, che aveva lavorato sulla questione.
Sono convinto che la loro fede gli abbia permesso di gerarchizzare i valori : cos’era più importante? Un percorso nella norma, o che il loro figlio vivesse felice e nella verità? Per i miei fratelli e le mie sorelle è stato più semplice: ci erano già passati con gli amici. Chi ha meno di 30 anni non vede dov’è il problema! Siamo poi stati completamente accolti dalle nostre famiglie. Ma non è lo stesso per tutti.
Una bella vita di coppia abitata dalla fede
Io stesso ne ho parlato sin da subito a un amico prete: non conosceva bene l’argomento, e ha avuto la delicatezza di dire “non so come occuparmene”, tutto ciò affermando che la nostra amicizia, la condivisione nella fede, erano più importanti. Affermando ciò con tanta forza, lui, ma anche altri, ci hanno insegnato, a me e Bruno, a riflettere: c’era una contraddizione, ma l’avremmo approfondita insieme.
Non credo di vivere una successione di “atti intrinsecamente disordinati”, ma una vita di coppia bella e complessa, abitata dalla fede.
Ho molto rispetto per chi sceglie la lotta spirituale dell’astinenza; ma la mia scelta è diversa. Sono 15 anni che io e Bruno viviamo insieme, una vita di coppia ufficiale senza ostentazioni, cercando di non vivere nella provocazione, né con la nostra attitudine, né attraverso la rivendicazione.
Abbiamo cercato di integrarci nella nostra parrocchia. Ma non possiamo partecipare a nulla, alla preparazione al matrimonio o al battesimo, alle riunioni di coppia o dei catechisti… Non siamo necessariamente giudicati, ma marginalizzati. Omosessuali o eterosessuali, i ghetti non ci interessano: vogliamo lavorare sulla coppia dal punto di vista cristiano e abbiamo cercato di partecipare a dei gruppi parrocchiali.
Ma non siamo stati accettati, a volte senza nemmeno troppe formalità. Alla fine abbiamo creato un gruppo di coppie omosessuali partendo dalla fede che ci riuniva. Noi, cattolici omosessuali, abbiamo anche cose da dire sulla fedeltà, sul perdono, sulla fecondità della coppia…
Iniziamo con l’affermare che siamo tutti fratelli e sorelle, con in comune la fede cristiana e i problemi vissuti in qualità di cristiani: dobbiamo arricchirci gli uni con gli altri.
Un momento molto forte
Cinque anni fa, dopo l’unione civile, abbiamo chiesto al parroco di organizzare un momento di preghiera con la famiglia e gli amici, per rendere grazia. Ha accettato, a condizione che non fosse una falsa cerimonia nuziale. Abbiamo letto una preghiera che noi stessi abbiamo redatto, un momento molto forte di cui ne percepisco ancora l’emozione. Eravamo un centinaio: alcuni venivano per noi, o “al contrario”, per verificare che non oltrepassassimo il limite. Sono, credo, ripartiti rassicurati, o toccati. Ci stiamo per sposare. Ma abbiamo ricevuto poco sostegno: nessuno ci ha mai domandato se vivessimo con dolore il fatto di non poter avere dei figli biologici.
Questo problema riguarda tutti, coppie, preti o religiosi: creare una famiglia, trasmettere ciò che abbiamo ricevuto, è un desiderio profondo, di cui non si è esenti in quanto omosessuali.
E io che credo di aver ricevuto molto, ho voglia di dare! Ora, la Chiesa ha giustamente una riflessione sulla paternità spirituale, degli strumenti per chi non vive la paternità biologica. Ma non so se ho deciso di non avere dei figli.
Comprendere, non giudicare
Durante la tempesta di “La Manif pour tous” (ndr contro il matrimonio omosessuale), alcuni hanno vissuto in Chiesa momenti di violenza poco fraterna, e anche i loro genitori. Le domande sull’omosessualità e la maternità surrogata, sono state equivocate.
Torneranno, e la Chiesa, come esperta di umanità, dovrebbe riflettere in anticipo su ciò che potrebbe apportare. Papa Francesco ha forse cambiato il modo di guardare, ha anteposto la bontà al giudizio. Il mio parroco ha accettato che facessi parte del gruppo sinodale. Forse ha cambiato idea anche lui?
E poi c’è il mio impegno nel Secours Catholique (Soccorso Cattolico). Mi ha spinto un concorso di circostanze, ma sulla scia di quel che sono. Il caso vuole che io abbia fatto uno stage in Romania durante i miei studi e che parli il rumeno. Il gruppo di sostegno aveva bisogno di traduttori nei periferie, accanto alle famiglie. Per ascoltarli, aiutarli nella scolarizzazione dei bambini, nei percorsi amministrativi.
Non sapevo nulla sui Rom, ma è evidente che mi ritrovo in loro, che sono sensibile alle loro difficoltà. Vedo innanzitutto un fratello e una sorella, prima di vedere il “ladro di polli” o il mafioso.
Tutto ciò che riguarda le problematiche dell’essere accettati nelle proprie differenze mi riguarda: prima di giudicare, bisogna provare a comprendere, a andare più lontano… per esempio, ammiro una coppia di amici eterosessuali, che dopo l’appello (contro il matrimonio omosessuale) de “La Manif pour tous” a messa, ci hanno invitato a cena: “Non riusciamo a capire, ne possiamo parlare?”
«Non mento mai»
Anche se l’omosessualità non è la prima cosa che ho da dire su di me, la nostra situazione “al margine” crea il giusto clima per parlare di cose difficili; molti si confidano con noi.
Così è a noi che si è rivolta un’amica rimasta incinta, al momento di abortire: noi, probabilmente tra i più cattolici dei suoi amici, quelli che dovrebbero essere più scioccati di tutti della sua decisione!
Ho stabilito la regola a me stesso di non mentire mai: non dico, (parlando del mio compagno) “la mia comoagna”, per evitare domande. Questo innesca dunque molte discussioni. Come per la fede: Sei cattolico? E Omosessuale? E i Rom? Rispondo, perché sono un chiacchierone e perché in fondo amo i dibattiti, si tratta di una condivisione di umanità.
Preghiera
«Mio Signore, nove anni fa ci siamo incontrati e amati.
Questo amore vissuto così forte ci ha messo davanti alla libertà di essere figli di Dio.
Abbiamo sempre sentito la tua presenza costante, ostinata, accanto a noi.
Negli occhi delle nostre famiglie e amici, in alcune parole della Chiesa, in certi incontri e nella condivisione della fiducia, tu eri lì.
Mio Signore, per questi anni di felicità e amore, noi vogliamo renderti grazia.
Qualunque siano gli interrogativi, abbiamo scelto di provare a vivere una vita di coppia sincera e fedele. Stiamo costruendo un coinvolgimento quotidiano l’uno verso l’altro che speriamo sia vivo e fecondo.
Se questo cammino ti piace, aiutaci a viverlo onestamente, umilmente e fedelmente.
Mio Signore, sulla nostra strada siamo stati circondati da un premuroso ascolto e dall’amore. Siamo coscienti dell’immensità del dono che tu hai ispirato.
Permettici di rendere grazia a questo dono facendoci essere noi stessi risorsa di amore e di accoglienza per gli altri.
Aiutaci ogni giorno con la forza dello Spirito Santo a rendere la nostra coppia una risorsa di crescita e di gioia che ci disseti e che la irradi.
La posizione della Chiesa di Alain Elorza
Intervista a Véronique Margron, religiosa dominicana e professoressa di teologia morale.
Cosa dice la Bibbia sull’omosessualità?
Véronique Margron. Non risponde alla questione dell’omosessualità in quanto tale, e tanto meno al concetto molto contemporaneo dell’amore omosessuale, così definito dai recenti studi in scienze umane. Parla – d’altro canto – di atti omosessuali, inglobandoli spesso in atti di violenza sessuale (Genesi 19) o considerati come atti di idolatria. La condanna diventa quindi dura e definitiva. (Levitico 18).
La relazione omosessuale deve risponde a una doppia vocazione umana: la diversità e la discendenza, temi fondamentali per il popolo ebraico. In una decina di versetti, tra l’Antico e il Nuovo Testamento, non si parla né di amore, né di fedeltà. Le Sacre Scritture non contengono quindi un approccio globale sul tema e oggi esigono un’interpretazione più ampia.
E cosa dice la Chiesa oggi?.
V.M. Innanzitutto non ne parla spesso. Ma la sua posizione, come quella espressa dalla Congregazione per la dottrina della fede, nel 1975, nella dichiarazione Persona humana «su alcuni temi di etica sessuale» è assolutamente chiara. L’atto sessuale deve essere coerente con le sue finalità, che sono legate alla teologia del matrimonio: amore, fedeltà, differenza tra sessi e apertura al bambino.
Disapprova quindi gli atti che non rientrano in queste caratteristiche. In effetti si tratta di atti, e non dell’impegno delle persone. È sempre nel rapporto con le finalità del matrimonio che la Chiesa chiede castità alle persone omosessuali. Ricordiamo che l’orientamento sessuale non è considerato peccato, perché la Chiesa ha capito che la persona omosessuale non è responsabile. Però sarà attore di quello che decide per il suo modo di vivere.
Ci sono evoluzioni recenti?
V.M. La Chiesa fa appello, da più di venticinque anni ormai, a un’attenta accoglienza delle persone. Non può non interrogarsi davanti ai cambiamenti della società. Siamo, prima di tutto, davanti a giudizi etici, prudenti, perché nessun altro può entrare nella nostra intimità. Si tratta di pesare meglio, ciò che sostiene la vita, il legame, il rispetto degli altri e di se stessi. La fedeltà in una coppia è diversa dalle pratiche di vagabondaggio sessuale.
Le persone e le situazioni non devono essere messe in un «unico calderone». Senza approvare i modi di vivere la vita, la Chiesa può anche solo cambiare il proprio sguardo, valorizzare le attitudini d’impegno e l’apertura a una fecondità sociale…
E soprattutto permettere a ognuno di avere un posto, di vivere la propria fede nella situazione in cui si trova. Si porta l’accento sulla bontà e il rispetto verso gli altri che, sono i soli, che permettono un cammino di verità.
“Aprire le nostre porte, il racconto di Padre Jacques Nieuviarts, assunzionista” di Bruno Levy
«Ero nel baratro, vittima di una rabbia interiore, stavo davvero male…». Marie trova finalmente le parole per dire ciò che ha vissuto quando lei e Pierre hanno saputo che il figlio, Philippe, era omosessuale e aveva qualcuno. Fu una situazione dura e perfino violenta. E con chi potevamo parlarne? Pierre si era chiuso in un’incomprensione totale: «non entrerà mai più a casa nostra!» Poi la coppia si è confrontata con persone a loro care. E hanno apprezzato questa semplice frase, che ha avuto l’effetto del miele su una ferita: «Grazie di essere venuti per condividere questa situazione con noi»
In effetti, condividere la propria pena rendeva le cose meno pesanti. Hanno contato anche i gesti di amici premurosi, gesti fatti con delicatezza. Ci sono stati anche quegli… 80 km in bicicletta, passati a chiacchierare con buoni amici. E le parole di uno di loro: «in verità, tu l’accoglierai vero?» Un amico prete gli aveva già detto: «non puoi non accoglierlo!» Erano parole davvero umane che costituivano un riparo, riaprivano lo spazio della comprensione e permettevano a Pierre e Marie di dare libero sfogo al loro cuore e al loro istinto di padre e madre. «Ad aiutarmi, dice oggi Pierre, è stato l’essere padre: era impensabile l’idea di rompere con mio figlio; non era facile per lui scoprirsi omosessuale! Abbiamo imparato ad amarlo così com’era.
Oggi, il suo compagno è accettato e da prova di vera attenzione nei nostri confronti.» Marie ricomincia a dire il Padre Nostro, non poteva più pronunciare: «Che sia fatta la tua volontà!…» Ma mantiene «una rabbua nel cuore, contro la Chiesa, troppo dura…» Suo figlio dice che non ha più fede. Marie non gli crede «è il suo posto nella Chiesa che non trova più, dice. C’è bisogno di un cambiamento.» Sì, bisogna attingere alla sorgente del Vangelo, a strade di misericordia e fraternità. E aprire la nostra porta, di casa nostra e della Chiesa. A tutti!
Una Iniziativa in parrocchia
Quando Padre Lathuilière, parroco di Francheville (Rhône) propose il giorno dell’inizio delle attivitá parrocchiali di inserire nel programma un tema «di cui non si può parlare in nessun altra parte»,
Henri Fayot, membro del gruppo pastorale, parlò dell’omosessualità del figlio. Lui e la moglie avevano scoperto questo universo sconosciuto quando il loro ragazzo gli aveva detto, dopo un lungo periodo di malessere e di tensione familiare: «Sono gay. È uno stato, non è una scelta…»
E parlando con loro, quei genitori hanno scoperto che anche altri erano interessati al tema e che dei giovani erano stati allontanati dalle loro famiglie per questa ragione. L’incontro tra genitori che si trovavano nella stessa situazione nella parrocchia, ha permessso di creare un momento di riflessione, con l’aiuto di Régine Maire, una laica che ha ricevuto una missione pastorale dal cardinale Barbarin per il sostegno delle persone omosessuali. «Se ci sono tutti questi tabu di sofferenza, esclusione la Chiesa ne è in parte responsabile e deve cambiare sguardo; ma si sta evolvendo.» afferma Henri Fayot.
Il loro gruppo d’ispirazione cristiana è aperto a tutti: riunisce dalle venti alle quaranta persone che hanno ascoltato le testimonianze di omosessuali, psichiatri, rappresentanti di associazioni.
Testo originale: LA PLACE DES PERSONNES HOMOSEXUELLES DANS L’ÉGLISE