Quale teologia? L’eredità di Ratzinger per i credenti LGBT+
Riflessioni di Antonio De Caro*, parte seconda
Era davvero, Ratzinger, un teologo di livello eccezionale, degno di essere proclamato dottore della Chiesa?
Io non ho, in tutta sincerità, gli strumenti per poterlo valutare, benché sappia che già dal 1981, come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha rimosso e ridotto al silenzio ogni voce teologica di dissenso, ogni visione alternativa che potesse rappresentare un rischio per il predominio assoluto della “sua” visione della Rivelazione e della Chiesa.
Però sono un credente, con la mia storia personale, la mia sensibilità e la mia cultura: e quando sento levarsi, dalle piazze reali o digitali, cori commossi di consenso, di elogio e rimpianto per il magistero di Ratzinger, non posso fare a meno di pensare alle prime parole di Paolo nell’inno all’amore: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla” (1Cor 13, 1-2).
Che cosa dovrebbe contare di più: la (presunta) profondità del suo pensiero o il dolore che quel pensiero ha arrecato? Perché questa sofferenza c’è stata e c’è, tutte le volte in cui ha pronunciato e scritto parole di condanna sull’identità e sull’amore omosessuale: ha ferito la storia mia e di tanti altri, e lo ha fatto non solo come singolo esponente della Chiesa Romana, ma come un’autorità che, in forza del suo ruolo, ha condizionato l’approccio che su questo tema hanno avuto i vescovi, i sacerdoti, i catechisti, le comunità cristiane, le famiglie. Nei decenni passati, nel mio faticoso percorso di riconciliazione fra identità omosessuale e fede cristiana, ho cercato molte volte conforto e consiglio nelle realtà cattoliche dove crescevo. E se la maggior parte delle volte ho ricevuto un NO, più o meno gentile, che ha solo alimentato per anni disperazione e lacerazione, lo devo a quel magistero disumano, insensibile e (oggi posso dirlo) incompetente.
Quel magistero che non solo spegneva ogni fermento e ricerca in altre direzioni, ma che negli anni penetrava e si diffondeva come veleno nelle accademie pontificie, nelle facoltà teologiche, nei seminari, nelle catechesi per consacrati e laici: in breve, nella vita ordinaria delle comunità cristiane, dove ci sono anche politici, medici, insegnanti, genitori. Cioè le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana e ne influenzano la qualità.
È stata proprio quella sofferenza che mi ha spinto alla ricerca e allo studio. Non sono un teologo, ma qualcosa credo di averla capita.
Uno dei testi più violenti e distruttivi di Ratzinger è proprio Homosexualitatis Problema, altrimenti noto come Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali (1986). Lascio al prof. Andrea Grillo il compito e il merito di dimostrarne la fragilità teologica e la pericolosità morale, alle pp. 64-73 di Cattolicesimo e (omo)sessualità. Qui vorrei solo tornare a mettere in risalto alcuni dati su cui ho già scritto.
Al paragrafo 6 di Homosexualitatis problema Ratzinger scrive, a proposito dell’episodio biblico di Sodoma: «Non vi può essere dubbio sul giudizio morale ivi espresso contro le relazioni omosessuali».
Un magistero infallibile, che non ha dubbi, nemmeno se sta massacrando la serenità e la speranza delle persone di cui dichiara “oggettivamente disordinata” la stessa inclinazione omosessuale, che non viene scelta (par. 3).
Non vi può essere dubbio, afferma Ratzinger nel 1986. Se vogliamo credere alla sua buona fede, dobbiamo allora ammetterne anche una significativa ignoranza sul piano biblico ed esegetico, visto che alla fine del 2019 la Pontificia Commissione Biblica (che immagino obbedisca allo stesso “datore di lavoro” di Ratzinger), nel saggio Che cosa è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica, chiarisce una volta per tutte che l’episodio di Sodoma non riguarda affatto le relazioni omosessuali, ma la violenza contro lo straniero e la violazione delle leggi dell’ospitalità.
L’eccelso teologo era all’oscuro di un’esegesi nota da decenni, o l’ha scientemente e colpevolmente occultata perché per lui la cosa più impellente era usare artatamente la Parola di Dio per condannare le persone e le relazioni omosessuali?
*Antonio De Caro è autore dell’ebook teologico “Cercate il suo volto. Riflessioni
teologiche sull’amore omosessuale” (edito da Tenda di Gionata, 2019, 48 pagine, scaricabile gratuitamente) e del libro “La violenza non appartiene a Dio“, editore Calibano, 2021.