“Quali segni e prodigi”. Un testo da cui partire per costruire una pastorale LGBT
Riflessioni di Massimo Battaglio
L’amico Gianni Geraci ha chiesto anche a me di scrivere due righe sugli Atti del V Forum dei cristiani LGBT, da lui curati sotto il titolo “Quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo di loro“.
Gli ho fatto notare che aveva avuto recensioni ben più titolate della mia (per esempio da parte di Davide Pelanda su Tempi di Fraternità). Niente: mi ha minacciato di non farmi più amico. Allora, facendo finta che le mie opinioni interessino a qualcuno, racconterò la mia esperienza di lettura.
Ho letto gli “atti” su un placido prato davanti a una specie di grande casa colonica di mezza montagna in cui sono in villeggiatura. E’ un posto fatato in cui passa il mondo in un continuo via vai di amici. In questi giorni ci sono anche un prete e una suora. Entrambi sono rimasti incuriositi dalla mia lettura. Lui conosceva già il libretto e l’aveva apprezzato. Lei ha voluto leggerlo e, quando me lo ha riconsegnato, mi ha detto che le aveva insegnato molte cose.
Lo stile dialogico del volumetto curato da Geraci è proprio quello giusto. Traborda di amore: testimonianze d’amore tra persone lgbt, tra genitori e figli, tra loro e Dio.
Anche i contributi più teorici – quelli di padre Martin, di suor Fabrizia e altri – sono giocati sul registro dell’amore. Ed è il registro migliore. Lo ha capito anche monsignor Semeraro, vescovo di Albano, nel suo saluto ai convegnisti: l’amore è il terreno su cui ci si può incontrare. E ha ragione, per tre buoni motivi.
Primo: perché l’amore è la vera “rivendicazione politica” delle persone lgbt verso Chiesa: non si può condannare il nostro amore perché non si può condannare l’amore.
Secondo: una testimonianza d’amore non può che fare breccia in qualunque cristiano, anzi, in qualunque uomo.
Terzo: è l’amore, che muove il mondo.
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. (Gv 13,34-35)
Il problema è che i due consacrati di cui sopra sono miei amici di antica data. Conoscono la mia storia e quella di tanti altri di noi. Col tempo hanno maturato, se non una cultura, almeno una curiosità positiva sui nostri temi. Sono di quei cristiani che, vedendo, hanno imparato a valutare senza giudicare. E sono contenti quando trovano un elemento in più per capire che un amore lgbt non è differente da tanti altri. “Quali segni e prodigi“ è proprio il libro che fa per loro.
Viceversa, ho voluto ripetere lo stesso esperimento uscendo dalle cerchie amicali. Mi sono seduto a leggere sui gradini della chiesetta del borgo e ho aspettato il parroco. Trattasi di un giovane pretino rumeno catapultato nelle nostre montagne, Dio sa perché. Va in giro in tonaca e tricorno. L’ideale per una sfida. E infatti, letto il titolo fino a “LGBT”, ha fatto un salto come se avesse visto belzebù.
Temo che, con una certa parte di Chiesa, non c’è stile dialogico che tenga. Anzi, non c’è libro. Perché, per vivere nei propri pregiudizi, bisogna stare alla larga dai libri. Per restare fermi su posizioni catastrofiste, occorrono gli slogan, le profezie di sventura, l’ignoranza coltivata con cura.
Coi pretini all’antica, l’unica strategia possibile è quella di testimoniare dal vivo la nostra felicità. Bisogna far loro percepire che viviamo benissimo senza le loro sovrastrutture. E intanto, non lasciargliene passare una: un conto è un’opinione, un altro è la verità, un terzo ancora è l’offesa.
“Quali segni e prodigi” può essere un utilissimo manualetto per imparare ad affrontare i “nemici” con l’arma corrosiva del sorriso. Basta studiarlo, interiorizzarlo, viverlo.
Ma “Quali segni e prodigi” non è solo una collezione di sorrisi. E’ una cosa seria e, a tratti, serissima. Non teme di avanzare critiche taglientissime, come nelle relazioni di Daniela Di Caro e di Cristiana Simonelli. Nè manca di fare proposte puntuali, come nel contributo del Progetto Giovani Cristiani LGBT al Sinodo dei Giovani, riportato in appendice. Le loro idee, fresche eppure profondissime, fanno davvero sorprendere.
Con qualche appunto – si capisce – che però vorrei rilevare.
Cari giovani amici: date retta a un vecchio. Capisco quanto sia importante la fede per voi. Lo è anche per me. Se dovessi perderla, mi sentirei in un limbo. Ma non so se parlerei di tutti coloro che non hanno fede, dicendo che “sono esposti al buio”. Voi dite che “il nichilismo penetra nei pensieri e nei sentimenti, cancella prospettive, spegne speranze, nega il futuro“.
Io credo semplicemente che, a coloro a cui non è stata donata la mia fede, Dio ha regalato qualche altra virtù. Per esempio, possono porre segni di speranza o essere maestri di carità.
Se mi mettessi su un piano diverso dal loro, se mi considerassi più fortunato, mi sentirei in colpa. Mi sembrerebbe di compiere lo stesso errore di quei falsi credenti che discriminano le persone omosessuali perché le considerano inferiori.
La Chiesa, come dimostra bene “Quali segni e prodigi“, ha molto da imparare dalle persone LGBT e in particolare dai giovani. Ma noi abbiamo a nostra volta molto da imparare sia dalla Chiesa – quella fatta di uomini – e sia da chi è non solo ai margini ma anche completamente fuori da essa.
Se crediamo che lo Spirito agisce, sappiamo che agisce in ogni uomo, coinvolgendo l’intero mondo. Basta immergersi nel mondo, per capirlo.
“Quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo di loro”. Atti del V Forum italiano dei cristiani LGBT(Albano Laziale – 5/7 Ottobre 2018), A cura di Gianni Geraci, Gruppo editoriale Viator, 2019, pagine 144