In qualsiasi categoria sei imprigionato, Dio ci dice sempre che “Io sarò con te”
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Testo meditazione della pastora battista Elizabeth Green pronunciato al culto per il superamento dell’omo-transfobia nella chiesa battista di Cagliari il 19 maggio 2019
L’Occidente, almeno dalla rivoluzione francese in poi, deve vedersi con un problema di non poco conto. Come coniugare l’egalité con la fraternité, l’uguaglianza con la fratellanza. O meglio come tenere insieme l’essenziale parità degli esseri umani con il rispetto delle differenze. Come si riesce ad affermare, che ogni essere umano è di valore uguale e allo stesso tempo è un pezzo unico diverso da tutti e da tutti? Negli ultimi secoli, almeno, la società occidentale si è inciampata su questo dilemma, perché l’uguaglianza che proclama vale soltanto per alcuni mentre ha sempre escluso una serie di altri, come per esempio le donne.
Così possiamo intendere tutti i movimenti per i diritti, da parte dei lavoratori, delle donne, dei popoli colonizzati, dei neri e – ultimi ad apparire sulla scena – delle persone lgbtq come delle lotte per ottenere l’uguaglianza, ovvero per il riconoscimento della propria dignità e dei diritti che l’accompagnano senza, però, rinunciare, alla propria differenza. Tutti di ugual valore, non a prescindere del proprio genere, del colore della pelle, o dell’ orientamento sessuale ma insieme ad esso.
La Bibbia, che non è un esercizio di pensiero logico razionale bensì la testimonianza di un’esperienza di Dio – riesce a tenere insieme, queste due affermazioni apparentemente opposte: la pari dignità e l’irriducibile diversità. Per quanto riguarda l’a parità, la proclama dalle prime pagine della Genesi: Dio creò l’uomo a sua immagine; li creò maschio e femmina.
Per la tradizione giudeo-cristiana l’essere creati ad immagine e somiglianza di Dio garantisce il valore di ogni essere umano, maschio o femmina che sia. Il testo che questo anno è stato scelto per le veglie, Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e ti amo, vainvece nella direzione opposta, attestando con quel “tu”, l’assoluta importanza della differenza.
Come sapete, alcune caratteristiche come il genere, la preferenza sessuale o il colore della pelle sono diventate dei veri e propri categorie sociali e culturali. Società intere vengono organizzate in base a tali differenze le quali ci aiutano non solo a identificare gli altri (puntando il dito, per così dire) ma anche a comprendere chi siamo noi. Potremmo anche pensare, però, che alcuni soggetti come appunto “le donne”, gli immigrati, nonché ovviamente le persone omosessuali o transessuali sono stati così etichettati e “costruiti” come categorie proprio per escluderli dai privilegi che la società preferisce riservare a qualcuno altro: ovvero, gli uomini, i bianchi, gli eterosessuali. Infatti la liberté, l’egalité, e la fraternité riguardavano loro.
Inoltre, se ci pensiamo un attimo, la differenza non è attinente solo ad alcune di noi come le donne i migranti, la comunità lgtbq e via dicendo ma a noi tutti e tutte. Un gioco che mi piace fare a questo punto è mostrare come, quando ci mettiamo in relazione gli uni con gli altri, le nostre categorie tendono a scomparire.
Le differenze si combinano in un modo tale da produrre degli esseri umani unici. Alla fin fine anche l’uomo cosiddetto universale bianco abbiente e eterosessuale scompare nel gioco delle differenze, diventa diverso anche lui!
Per esempio io sono donna e immigrata e quindi potrei aver tante cose in comune con Luba che non è qui stamattina. Tuttavia, per l’istruzione che ho ricevuto, la lunga esperienza all’interno del battismo italiano, nonché per motivi anagrafici potrei avere molte più cosi in comune con Stefano e non con Luba.
Ma Stefano è così diverso da me per altri motivi, è maschio e sardo. Ma la mia esclusione come donna potrebbe avvicinarmi a Carlo che è anche lui maschio e sardo come Stefano.
E’ fuori dubbio che alcune categorie ci condizionano di più: il fatto di essere donna e non uomo, gay e non etero perché sono state usate per escluderci, o per esiliarci da una società costruita in un certo modo. Eppure davanti a Dio non c’è favoritismo. Dio, leggiamo, non opera discriminazione di sorta, se non eventualmente a favore delle persone che sono state esse stesse discriminate. Lo vediamo dalle parole del nostro testo: Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e ti amo.
A pronunciarle è Dio. E’ Dio che ci guarda e, seppur parlando a una realtà collettiva, Israele, usa la seconda persona singolare. Si rivolge direttamente a Israele nel suo insieme (e vedremo l’importanza di questo) e a ogni suo componente, uomo o donna, etero o omo , nativo o naturalizzato, nero o bianco. Il fatto è che Dio non ci guarda con le nostre categorie, non sa cosa farcene.
Non ci guarda per etichettarci, per dividerci, per includere alcuni a scapito di altri. Anzi, fa precisamente il contrario, perché ai suoi occhi siamo, ognuno e ognuna di noi, prezioso, stimato, e oggetto del suo amore. A dare dignità all’unicità di ciascuno e ciascuna di noi – al nostro’essere così e non altrimenti – è l’amore di Dio.
Non come un’affermazione astratta, una dichiarazione di principio, come potrebbe sembrare lo scritto sopra la croce “Dio è amore” ma con una dichiarazione personale a Tu per tu: Tu sei prezioso ai miei occhi . Tu sei stimato, e io ti amo. Non a prescindere di tutte le nostre caratteristiche ma proprio a causa di quella miscela unica e irripettibile di caratteristiche che ci rende tutti diversi gli uni dali altri.
Il punto è, che queste parole sono state pronunciate a Israele quando era in esilio. Israele che è stato distrutto, umiliato, sa cos’è l’esclusione sociale, sa cos’è la violenza nei suoi confronti, sa cos’è essere cittadini di seconda o terza classe, privi di diritti e disprezzati. Israele in esilio, privato della sua patria deve sempre misurarsi con colui che conta, colui che comanda, la grande Babilonia. E è proprio a questo Israele, che si trova in una situazione di estrema fragilità debolezza politica, sociale e religiosa che Dio si rivolge.
Si rivolge, con un oracolo di salvezza Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome. Tu sei mio. Difficile non pensare subito a quel Gesù che si descrive come il buon pastore Io sono il buon pastore, e conosce le mie e le mie conoscono me. .. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le porta fuori.
E’ ciò che fa Dio lungo tutte le scritture, chiama le persone per nome non badando a questa o quell’altra caratteristica, chiama Mose, immigrato chiama Rahab, prostituta, chiama Agar serva e straniera e genitrice per altri.
Chiama Sara la vecchia, e Davide che amava Batsebea ma anche Gionata come un uomo ama una donna, e Geremia che era giovane e non aveva nessuna voglia, e Pietro che lo rinnega e Maria che lo confonde con l’ortolano. Chiama tutti coloro, con i loro pregi e i loro difetti non badando alle etichette e le categorie. E possiamo dire che a ciascuno e a ciascuna diceva Tu sei prezioso ai miei occhi . Tu sei stimato, e io ti amo.
E così, stamattina chiama anche noi, in qualsiasi condizione ci troviamo, in qualsiasi categoria veniamo messe e ci dice “Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno, quando camminerai nel fuoco non sari bruciato e la fiamma non ti consumerà, perché io sono il Signore, il tuo Dio, il Santo d’israele, il tuo salvatore”.
Possiamo dire che le scritture riescono a fare ciò che per noi e la nostra società risulta così difficile. Coniugare uguaglianza e differenza. L’uguaglianza in cui abbiamo detto di credere con le belle parole di Dorothee Soelle è radicata nel Dio creatore che ha fatto l’essere umano nella sua immagine e somiglianza, la differenza, invece, viene salvaguardata dal Dio liberatore che ci chiama per nome e dice Tu sei prezioso ai miei occhi . Tu sei stimato, e io ti amo.
Stamattina riuniti e riunite insieme, voglia ciascuno e ciascuna di noi aprire il proprio cuore per accogliere questa dichiarazione di amore e poi tradurla in vita vissuta.