Quando hanno provato a “curarmi” per guarirmi dall’omosessualità
Testimonianza di Daniele del gruppo Zaccheo, cristiani LGBT di Puglia, tenuta nella preghiera online della Settimana di preghiera per le vittime dell’omofobia e della transfobia del 17 maggio 2021
Non è possibile amare gli altri se prima non si impara ad amare se stessi. Questa è forse l’arte più difficile, amarsi così come si è e non come si vorrebbe essere, accogliersi in pienezza, abbracciare soprattutto quelle parti che ci appaiono più oscure, quelle zone d’ombra, nelle quali non faremmo entrare nessuno e che invece Dio vuole visitare con il suo Amore.
C’è stato un tempo in cui, influenzato da una certa parte di Chiesa e da una società perbenista, ho odiato e lottato con tutte le mie forze contro me stesso a causa della non accettazione della mia omosessualità. Ogni qual volta in TV mi capitava di notare qualche persona omosessuale ero pronto a giudicare perché vedevo in loro un aspetto che mi apparteneva e che senza pietà condannavo. Mi consideravo sbagliato, impuro davanti a Dio, inferiore rispetto agli altri, il risultato matematico degli errori della mia famiglia, il prodotto difettato uscito dalle mani dell’Eterno.
Durante l’esperienza in seminario minore, negli anni della scuola superiore, credevo che per poter essere cristiano fosse necessario rinnegare questa parte di me, vivendo magari una fede disincarnata, fatta solo d’anima, senza un corpo e pregavo Dio perché mi guarisse. Credevo che indossare un abito fosse la via maestra per poter scansare “il problema” e ottenere un riconoscimento sociale. Un cambio drastico di programma ha cambiato le carte in tavola e mi sono ritrovato di colpo nella realtà a dover fare i conti da solo con questa parte di me.
Avevo le tenebre dentro e cercavo disperatamente la Luce, quella capace di donare una pace interiore imperitura. Quando il peso della Croce si fa insopportabile, l’unico rimedio è trovare un Cireneo che ti aiuti a condividerne il peso.
Ho incontrato purtroppo lungo il mio cammino figure che anziché risollevarmi nella mia sofferenza, hanno avvallato le idee malsane che avevo e spento la fiamma della speranza.
Tra queste c’erano gli esperti dello spirito: mi raccontavano come una vita fatta di penitenze, digiuni e preghiere mi avrebbe liberato dal male dell’omosessualità, mi avrebbe permesso di guadagnarmi la benevolenza di Dio.
Ho incontrato su internet libri di autori famosi ed esperti della psiche in carne ed ossa che mi hanno fatto intendere come dall’omosessualità si potesse uscire, mettendo in atto comportamenti ritenuti più virili rispetto ad altri. Inizialmente l’idea di essere guarito mi allettava, anzi era diventata una pretesa! Qualcuno mi diceva che praticare sport con un contatto fisico diretto mi avrebbe aiutato a cambiare.
Quando mi sono accorto che stavo sprofondando nel baratro, in una dualità di fede e sessualità, in una frattura interiore sempre più grande, ho deciso di riprendere in mano la mia vita.
Ho parlato della mia situazione al mio parroco e, contro ogni mio pronostico, egli mi ha accolto con amore di padre e mi ha detto «se Dio ti ama così come sei, devi imparare a farlo anche tu.»
Ho capito allora che l’amore di Dio era gratuito e che la mia preghiera era sbagliata; non dovevo chiedere a Dio di guarirmi dall’omosessualità ma di cambiare il mio sguardo su di essa per trasformarla da pietra di inciampo a moneta di conquista.
Solo allora ho potuto guardare con occhi nuovi anche gli altri, preziosi e unici, fratelli e sorelle che nel progetto dei Cristiani LGBT e nella casa di Cornelio ho potuto imparare a conoscere e ad amare.
Spero di poter essere un Cireneo della gioia per tanti altri che come me stanno affrontando questa sofferenza e sono in attesa di quella voce, di quella mano, di quel cuore capace di farli sentire amati.