Il sogno di Michele. Quando l’omofobia è dentro di noi
Riflessioni di Maurizio Mistrali*, medico chirurgo-psicoterapeuta
Michele (è un nome di fantasia) è un quarantenne, quasi cinquantenne, con una ricca esperienza religiosa ed umana alle spalle. Per molti anni ha vissuto la sua sessualità omosessuale nella castità, trascendendo, trasformando pulsioni e desideri tramite un’intelligente ascesi in un piano mistico all’interno di un’intensa spiritualità. Ha, poi, deciso con molta paura, trepidazione, molta gioia e speranza di iniziare una relazione d’amore (anche sessuale) con un conoscente, esperienza che si è conclusa dopo qualche anno.
Ora dopo alcune esperienze che descrive ”mordi e fuggi” cerca ancora una relazione significativa, singolare, importante.
L’altro giorno mi racconta un sogno che lo ha molto turbato, ma non come un sogno che si racconta ad un “esperto del settore” per saperne il senso, con l’ansia d’interpretare… (non cercava interpretazioni: mi stava comunicando un’intensa e singolare esperienza “sintetica”della sua vita, non mi chiedeva nulla se non di starlo ad ascoltare, capire, contenere la “densità” del messaggio che mi comunicava del suo vissuto). Mi sono staccato subito da “griglie interpretative” perché lui aveva già interpretato il sogno e gli premeva che capissi l’intensità di ciò che stava vivendo.
Il sogno: Michele si trovava in un’antica piazza molto vasta, poteva essere il foro della Roma imperiale ed aveva una grande e solenne scalinata di fronte a se. La piazza era gremita di gente in festa e anche lui, al centro in uno spazio vuoto, era emozionato e festoso.
Gli ricordava il foro romano del film “Ben Hur”, e saliva, acclamato da tutti quella scala (un vero trionfo), e saliva fino alla sommità dove sorgeva un bell’altare barocco, con dorature, tovaglie e fiori come in una bella chiesa. Lui si volta verso il popolo, si accosta all’altare, prende i suoi testicoli e con un colpo di mannaia se li taglia tra l’urlo e l’ovazione della folla festante.
Sono rimasto impressionato, ed ho cominciato a scrivere queste considerazioni sull’omofobia e sull’omofobia interiorizzata.
In questi giorni vicini alla celebrazione della memoria dell’olocausto, non si può non riflettere sul razzismo: l’atteggiamento che si fonda sulla presunta superiorità di una razza sulle altre e che determina discriminazioni sociali, quando non una franca persecuzione.
La situazione che gay e lesbiche vivono in rapporto alla cultura dominante “eteronormativa” non è molto diversa da quella determinata da alcune forme di razzismo. Penso sia utile considerare le norme ed i valori che nella nostra società dovrebbero ispirare il comportamento delle persone riguardo il “sesso”.
La maggior parte delle persone si aspetta che tutti siano eterosessuali e che vada bene così. Poi per quanto riguarda il “genere” ci si aspetta che tutti siano uomo o donna e che ci si comporti secondo i modelli, i ruoli che conosciamo e che società e cultura hanno definito.
Non comportarsi secondo questi modelli di ruolo ben definiti e considerati “il meglio” è vissuto come un disordine minaccioso e crea fastidio, insicurezza, paura, rabbia.
La nostra cultura (e non solo) valuta il maschio, il suo ruolo e le sue caratteristiche superiori alle femminili. Le donne che hanno caratteristiche maschili sono disprezzate dalle altre donne, ritenute minacciose e “brutte” dagli uomini.
Gli uomini che mostrano tratti o comportamenti femminili sono considerati deboli, rinunciatari rispetto alla “naturale” posizione di potere, e sono derisi dagli uomini, disprezzati dalle donne… inquietano, non piacciono, turbano, non sono considerati belli e, facilmente, cattivi.
Questi “brutti” sentimenti possono trovare una persona con maggiore o minore consapevolezza, coscienza, cultura, maturazione, ecc… e possono essere riconosciuti e trasformati, diventare addirittura una provocazione culturale e spirituale che porta una persona su di un cammino evolutivo di apertura alla diversità (sessuale, culturale, religiosa, di classe, ecc…), e la presenza del diverso può diventare in una società un carisma quanto mai prezioso.
Per qualcun altro che ha altri strumenti personali e culturali… domina la paura, la rabbia del sentirsi minacciato, la voglia di punire il diverso; magari per tanti maschi specialmente giovani, anche per esorcizzare la paura della diversità che è presente un ciascuno NESSUNO ESCLUSO, e con la quale prima o poi bisogna fare i conti nel processo che porta alla configurazione del proprio senso d’identità.
Nella nostra cultura si pensa, grosso modo, che tutti desiderino una famiglia, un rapporto fedele, magari monogamico, stabile, romantico, duraturo e che il sesso abbia un senso in quel contesto e che il suo senso intimo sia solo riproduttivo o unitivo tra un individuo maschile ed uno femminile.
Viene censurato, stigmatizzato, denunciato ogni comportamento “deviante” dalle proprie convinzioni pensando di avere l’egemonia della visione “naturale”, e “pienamente umana”. Tutto ciò che è “altro” …è male , e tutto, anche sul piano teorico, diventa innegoziabile.
E le persone omosessuali come stanno in “tutto questo”, le persone, che per stare psicologicamente e socialmente bene hanno bisogno di un’identità coerente e socialmente riconosciuta… ovviamente NON STANNO BENE. Anche quando c’è un’accettazione sociale (tra gli amici, a scuola, sul posto di lavoro), e famigliare (PER ALTRO IMPORTANTISSIMA!!!).
Oggi 2010, nel nostro paese circola una paura, un’avversione, un’intolleranza e a volte un odio verso l’omosessualità, gli omosessuali, la loro cultura e i loro stili di vita. Si è costituito un pregiudizio culturale che alimenta i miti, gli stereotipi, la discriminazione, e purtroppo la violenza .
Un tarlo , un “verme” poco visibile tutti se lo portano dentro finché non si ha il coraggio di cercarlo, trovarlo, “conoscerlo”, esporlo, guardarlo, riconoscerlo per quello che è: OMOFOBIA INTERIORIZZATA. Nessuno ne è esente, nessuno ne è colpevole, ma tutti ne siamo responsabili, come siamo responsabili dei nostri desideri e delle nostre azioni.
In questa società omofoba, sessista, macista, siamo nati e cresciuti … abbiamo interiorizzato i suoi stereotipi negativi che condizionano la considerazione e la stima dell’”altro”se è gay, lesbica, bisessuale, ecc… e la scarsa AUTOSTIMA se apparteniamo a qualcuno di questi gruppi.
Tutti i gruppi umani costruiscono con le migliori intenzioni “sistemi”educativi nel contesto dell’opera di comprensione e contenimento del “disordine”. Esistono in ogni cultura dei sistemi di ritualizzazione, di trasformazione, del “disordine”che è vissuto come una turbativa che mette a rischio una società.
È l’operazione di “antropopoiesi”: vediamo facilmente come ogni società, ogni gruppo umano e anche (per certi aspetti) nei primati ed in altri mammiferi, viene allenato il “cucciolo” coerentemente alle abilità del gruppo, alle sue priorità, alle sue regole. Tutte le società umane cercano di “costruire” gli umani compatibili…che dialoghino con quel gruppo.
Quando un bambino nasce “viene messo in forma” , inculturato. Si tende a fare un umano specifico, non un umano generico… e una società omofobica passa la sua omofobia insieme alla diffidenza, poi alla paura, quindi all’ostilità per “il diverso”.
Dai roghi medioevali ai campi di sterminio nazisti, alle impiccagioni iraniane, è tutto un rigurgito ricorrente di secolari sentimenti di diffidenza, ostilità, odio per il “diverso” più “invisibile” e quindi più infido.
È naturale che Michele immaginasse il consenso, il plauso, il sostegno all’eliminazione simbolica di “qualcosa” che senza saperlo considerava così minaccioso, pericoloso, e che fosse lui l’”attore” di questa escissione-purificazione, e che si tagliasse simbolicamente ciò che tutti, e lui stesso, ritenevano così negativo e pericoloso.
* Maurizio Mistrali vive e opera a Parma come medico, specialista in psicoterapia Psicosintetica. Socio ordinario, formatore e collaboratore alla didattica della scuola counseling della Società Italiana di Psicoterapia Psicosintetica. Collabora con i volontari del Progetto Gionata per il supporto psicologico dei cristiani LGBT e delle persone consacrate in difficoltà.