Quando Oscar Wilde incontrò Pio IX
Gulisano, studioso della cultura anglosassone e già autore di diversi volumi su Tolkien, Lewis, Chesterton, George MacDonald, fa suo il senso di un aforisma del poeta irlandese per cui “gli ideali sono cose pericolose.
È meglio la realtà: ferisce, ma vale molto di più”; in altre parole il saggista, nel ricostruire un ritratto fedele dello scrittore, ha cercato di evitare la facile idealizzazione con conseguente etichettatura o, peggio, annessione.
Il riferimento è al Wilde mero esteta – quello che “passa” a scuola – e al Wilde icona del mondo gay che lo ha spesso celebrato come artista perseguitato per la sua omosessualità. La tesi di Gulisano è che invece Oscar Wilde rappresenti un mistero non ancora pienamente svelato.
Bisogna scavare più a fondo ed è quello che cerca di fare questo breve ma intenso saggio in cui si osserva da vicino l’opera e la vita dell’artista rintracciando in entrambe il filo rosso di una religiosità profonda, di una ricerca di Bellez- za che sottendeva una sete di Verità.
La realtà ferisce, diceva Wilde, e viene in mente l’affermazione dell’allora cardinale Ratzinger: “La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo destino ultimo” che avrebbe potuto essere un perfetto aforisma dell’autore de Il ritratto di Dorian Gray.
A questo aforisma “apocrifo” Gulisano si aggrappa per tracciare il suo ritratto di Wilde ben riassunto nelle poche parole poste in quarta di copertina: “Oscar Wilde: una vita per la Bellezza, un incontro con la Verità”.
In questi stessi giorni è stato pubblicato un saggio dal titolo L’altro fuoco, opera del gesuita Antonio Spadaro critico letterario di “La Civiltà Cattolica” (Milano, Jaca Book, 2009, pagine 304, euro 24) in cui un intero capitolo è dedicato agli ultimi anni di Wilde la cui poesia viene audacemente accostata a quella della poetessa italiana Alda Merini; in particolare nella Ballata del carcere di Reading secondo Spadaro “lo scrittore avverte il proprio cuore spezzato e in cerca di una verità.
Ed è questa ricerca appassionata fino a vette erotiche e mistiche che caratterizza anche i versi di Alda Merini: la sua poesia è alacre come il fuoco nel desiderio e nell’attesa di una sorta di “terra promessa” che dia senso all’esistere”.
Ecco che piano piano prende fuoco un altro Wilde rispetto a quello della vulgata: non solo un anticonformista che amava stupire la conservatrice società dell’Inghilterra vittoriana, ma anche un lucido analizzatore della modernità con i suoi aspetti positivi e soprattutto inquietanti; non solo l’esteta, il cantore dell’effimero, il brillante protagonista dei salotti londinesi, ma anche un uomo che dietro la maschera dell’amoralità si interrogava e invitava a porsi il problema di ciò che fosse giusto o sbagliato, vero o falso, persino nelle sue principali commedie degli equivoci (come L’importanza di chiamarsi Ernesto); un uomo scomodo e urticante che preferì sempre la saggezza ai luoghi comuni combattendo tenacemente contro le false certezze del suo tempo (“le cose di cui si è assolutamente certi non sono mai vere”).
Wilde fu un uomo dai grandi, intensi sentimenti, che dietro la leggerezza della sua scrittura, dietro la maschera della frivolezza o addirittura del cinismo, nascondeva una profonda consapevolezza del misterioso valore della vita.
“Oggi la gente sa il prezzo di tutto, ma non dà valore a niente”, dice ne Il ritratto di Dorian Gray. Una consapevolezza anche della sua drammaticità: “Dietro ogni cosa preziosa c’è qualcosa di tragico. Il mondo deve soffrire per far sbocciare il fiore più umile”.
Il cammino esistenziale di Oscar Wilde può anche essere visto come un lungo e difficile cammino verso quella “terra promessa” che dà il senso all’esistere, un cammino che storicamente lo ha portato alla conversione al cattolicesimo, una religione che, diceva in uno dei più acuti e paradossali aforismi, “era solo per i santi e i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo anche quella anglicana”.
Wilde fu dunque, secondo Gulisano, un uomo costantemente in ricerca del Bello e del Buono, ma anche di quel Dio che non aveva peraltro mai avversato, che aveva forse elegantemente rispettato, ma dal quale si fece pienamente abbracciare dopo l’esperienza drammatica del carcere, per arrivare a chiudere il suo itinerario umano in comunione con la Chiesa cattolica, adempiendo a quello che aveva scritto anni prima: “Il cattolicesimo è la sola religione in cui morirei” e così realizzando forse l’auspicio che gli aveva rivolto Pio IX nell’udienza privata del 1877 – incontro forse sorprendente ma che giustamente Gulisano racconta nel suo saggio – nel corso del quale il Papa augurò allo scrittore irlandese “di compiere un viaggio nella vita per giungere alla Città di Dio”.
L’enigma di Oscar Wilde è dato quindi anche da questo suo percorso segreto, da questa sua ricerca che veniva mascherata nella magnificenza estetica della sua arte letteraria ma su cui ora viene fatta luce dal saggio di Gulisano, senza la pretesa di risolvere la profondità di quel mistero.
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Paolo Gulisano, Il ritratto di Oscar Wilde, ed. Ancora 2009, pp. 208
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