Quando un figlio è omosessuale. Genitori sempre
Testo di Alessandra Bialetti*, pedagogista sociale e Consulente della coppia e della famiglia di Roma, tratto dalla sua tesi di Baccalaureato su “Genitori sempre. Omosessualità e genitorialità”, Pontificia Università Salesiana, Facoltà Scienze dell’educazione e della formazione salesiana – Facoltà di Scienze dell’Educazione, Corso di Pedagogia Sociale, Roma, anno accademico 2012-2013, capitolo 2, paragrafo 3.1
I genitori rappresentano la prima ed irrinunciabile risorsa nella crescita del figlio, con l’obiettivo di renderlo una persona libera, responsabile, autonoma, competente ma soprattutto umanamente realizzata. L’ambiente familiare rappresenta un luogo educativo imprescindibile e necessario per lo svolgersi di un processo educativo che accompagni la persona alla maturità. Questo è senz’altro il cammino di ogni genitore che però, nel caso dell’omosessualità, si trova a fronteggiare un compito educativo differente.
Non perché il figlio sia da considerarsi “diverso” ma perché portatore di un vissuto particolare carico di sofferenze, dubbi, paure e perché posto di fronte ad una società ancora fortemente stigmatizzante. A sua volta il genitore che si scopre omosessuale ha il compito di ridefinire, oltre che il suo rapporto coniugale, anche l’agire educativo verso il figlio in quanto chiamato ad una verità e autenticità che spesso provoca rotture e sofferenze.
Davanti all’omosessualità il genitore viene fortemente interpellato non solo come guida ma anche come persona: è chiamato a compiere un cammino di consapevolezza di sé, delle proprie convinzioni, dei pregiudizi che magari pensa di non possedere, e a mettere in gioco risorse differenti per fronteggiare una realtà fino a quel momento sconosciuta o approcciata solo da lontano.
Per rimodellare il suo ruolo di educatore deve compiere un cammino di autoeducazione in cui proprio il figlio risulta essere quella pietra di paragone che spinge ad interrogarsi profondamente e ad acquisire strumenti educativi del tutto nuovi e peculiari.
Lo strumento pedagogico per eccellenza è l’amore concreto dei genitori attraverso il quale potrà essere possibile una corretta crescita e un sano sviluppo della persona in tutte le sue dimensioni compresa quella di un’affettività che inizialmente non si riesce a comprendere e accettare. In un clima di amore la consapevolezza di essere importanti per qualcuno rende la famiglia il luogo del riconoscimento del valore della persona e del rispetto dei figli così come sono. L’educazione all’interno della famiglia si fa «rispettosa delle dignità personali, attenta alle parità e alle diversità, all’identità e alla differenza»[1], compito ancora più difficile per un genitore che, sprovvisto di strumenti interpretativi ed operativi, si trova a fronteggiare la “diversità” del figlio.
Un obiettivo estremamente importante è l’educazione alla pazienza intesa come accettazione di ciò che si è, con pregi e limiti, con capacità e incompetenze, con potenzialità e piccole disfunzionalità.[2] La pazienza porta con sé la capacità di giudicarsi positivamente e serenamente. Con un figlio omosessuale si è chiamati ad attutire e contraddire il giudizio negativo e stigmatizzante che viene dall’esterno incoraggiando la persona a concentrarsi sulle sue ricchezze e peculiarità e a sviluppare interamente i suoi compiti esistenziali.
Ulteriore sfumatura di tale compito è educare alla pazienza verso gli altri intendendo, nel caso dell’omosessualità, un mondo non ancora pronto ad accogliere la “diversità” e a valorizzarne i contenuti. E’ inclusa anche la famiglia che fatica a trovare strade alternative, ad elaborare le proprie paure, a fronteggiare il senso di un presunto fallimento. In questo caso sono spesso i figli ad “incoraggiare i genitori” ad esprimere ciò che sentono attendendo i loro tempi di elaborazione e accettazione.
Nello spazio educativo familiare, un requisito fondamentale è rappresentato dal dialogo, strumento capace di connettere vissuti e di agevolare lo scambio di emozioni, sentimenti, percezioni, pensieri. Il dialogo tra genitori e figli permette di uscire allo scoperto e di eliminare uno stato confusionale ed angoscioso prodotto dal silenzio o dalla menzogna. La necessità del dialogo mobilita il genitore a fare chiarezza in sé e nei propri sentimenti, ad elaborare le emozioni per essere pronto poi ad accogliere, gestire e contenere quelle del figlio. Si tratta di educarsi ed educare all’emotivo e alla capacità di esprimerlo in un clima di accettazione incondizionata.[3]
Per realizzare tale clima è necessario che i genitori apprendano e donino ai figli un ascolto di tipo empatico capace di sintonizzarsi sul vissuto dell’altro e immedesimarsi nel suo processo vitale. Empatia è uscire da sé per comprendere l’altro, mantenendo il focus sul proprio mondo interiore senza cadere in un ascolto simbiotico.[4] Il genitore è invitato a leggere e comprendere le cose come appaiono al figlio cercando di fare proprio il problema che vive senza perdere i propri confini relazionali.
Risulta chiaro come l’ascolto empatico potrebbe essere una risorsa fondamentale davanti ad un figlio omosessuale che fatica a rendersi consapevole delle proprie istanze profonde, a comunicare ciò che sente e a manifestare apertamente le proprie paure. Ascoltare in modo attivo significa accettare i sentimenti del figlio e dargli riconoscimento senza negarli, in quanto ha bisogno di sentirsi dire che ciò che prova è normale e non fonte di giudizio.[5] Il genitore potrebbe diventare una sorta di “cassa di risonanza” di un vissuto travagliato e difficile da esprimere guidando il figlio ad una maggiore chiarezza di sé.
Occorre accennare all’importanza dell’educazione all’affettività come cura della capacità del figlio di creare e mantenere nel tempo delle relazioni significative e costruire un progetto di vita stabile e duraturo. Anche in questo caso il genitore è chiamato a compiere un percorso non facile che spesso culmina con l’accoglienza delle relazioni omoaffettive del proprio figlio, del suo progetto di vivere un legame stabile, tuttora non riconosciuto dal diritto del nostro Paese, o addirittura di perseguire un desiderio di paternità o maternità.
Risulta necessario non lasciare la persona omosessuale in balia delle proprie tensioni affettive aiutandola, invece, ad elaborare un differente progetto di vita, di non facile realizzazione, ma che merita rispetto e sostegno per essere portato a compimento.
Occorre tenere presente che l’autenticità, in educazione, è un valore fondamentale. Come abbiamo visto, la rivelazione è un percorso familiare. Il figlio, nel suo sforzo di uscire allo scoperto, nel suo tentativo di essere autentico chiede autenticità, verità e coerenza: l’educazione diventa un processo circolare.
Per il presente lavoro si è consultata una tesi sostenuta all’Università di Cagliari il cui titolo è molto significativo. “Genitori di figli orfani”. Purtroppo anche questa può essere una realtà nel momento in cui la rivelazione del figlio, la sua affettività, il suo progetto di vita, non viene riconosciuto e accettato dalla famiglia: i genitori, cessando di essere delle figure di riferimento, di fatto lasciano il figlio “orfano” in balia delle sue paure e difficoltà.
Da ciò risulta estremamente chiaro che il primo compito di un genitore-educatore che rimane sempre tale è proprio l’esserci, lo stare accanto al figlio nel suo percorso di identificazione e nella sua entrata in società con tutti i rischi che questo comporta sia per lui che per l’immagine del genitore stesso. La presenza risulta il primo requisito fondamentale per permettere al figlio di “esistere” così come sta scoprendo di essere. E’ più facile uscire allo scoperto in una famiglia in cui le cose si dicono apertamente, in cui si possono esprimere sentimenti ed emozioni.
Al contrario, se i membri della famiglia non hanno l’abitudine di condividere ciò che provano, pensano e sentono, l’omosessuale sarà condannato in partenza ad una vita di omissioni o mezze verità.[6] Per fornire un valido apporto educativo il genitore è chiamato ad elaborare il senso di colpa di aver generato un figlio “sbagliato” o di avere fallito nel proprio compito di guida. Colpevolizzarsi e dipingersi come figure negative rappresenta un’esperienza dolorosa e negativa per un figlio che già sente di aver turbato profondamente l’equilibrio familiare e di aver generato dolore e sofferenza[7]
Come educatore il genitore dovrebbe curare la creazione di un’alleanza positiva con il coniuge e con il figlio operando insieme come squadra, sostenendosi reciprocamente e mantenendo il contatto emotivo capace di mediare conflitti e divergenze. Le alleanze più funzionali sono quelle caratterizzate dalla collaborazione, dalla condivisione e dalla negoziazione dei conflitti prima che generino rotture insanabili.[8]
Nel caso dell’omosessualità risulta necessaria la cooperazione tra i genitori, il far fronte comune dividendo il peso di qualcosa che non si prevedeva accadesse e che, per il bene dell’intera famiglia, va rinegoziato aprendosi ad una “diversità” che può trasformarsi in ricchezza.
Un interessante compito educativo è educare alla resilienza come capacità di resistere al trauma e di affrontare le situazioni di difficoltà in modo propositivo e costruttivo. La capacità di resilienza dell’adolescente, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, dipende dal sostegno della famiglia che fornisce gli strumenti idonei per attivare le capacità di cercare soluzioni alternative e sviluppare fiducia nelle proprie abilità. Il reperimento di tali risorse è più difficile per la persona omosessuale perché inserita in un contesto in cui esistono ben pochi supporti se non addirittura ostilità, derisione, incomprensione ed isolamento.[9]
Il compito del genitore, come educatore, è allora quello di implementare le risorse del figlio, offrirgli strumenti per decodificare le situazioni di difficoltà, aiutarlo a riorganizzare le visioni su se stesso e la relazione con gli altri nonché sostenerlo nell’elaborazione della crisi in chiave di crescita.
Operativamente il genitore può contribuire alla costruzione di un’identità resiliente, all’interno dell’identità omosessuale, aiutando il figlio a sviluppare delle relazioni in cui possa sperimentare sostegno e presenza per lavorare sulle sue positività. Fondamentale è la certezza di poter essere amato ed amare a partire da ciò che è e non “nonostante” ciò che è, incrementando il rispetto per se stesso al di là di quello che possono essere pregiudizi e stigmatizzazioni.[10]
Un compito del tutto peculiare alla realtà omosessuale è l’educazione alla gestione del minority stress, campo spesso del tutto sconosciuto ai genitori. Un numero crescente di ricerche indica il pregiudizio e la discriminazione come fattori rilevanti di stress.
Lo sviluppo psicologico della maggior parte delle persone omosessuali risulta segnato da una dimensione di stress continuativo, micro e macro traumatico, dovuto all’ostilità di ambienti indifferenti se non violenti. La minoranza omosessuale è diversa dalle altre in quanto non sempre trova sostegno nella stessa famiglia e ha poca rilevanza sociale a differenza, per esempio, delle minoranze etniche che possono godere di un grande appoggio e solidarietà all’interno del loro contesto di riferimento e di una politica sociale più attenta alle loro esigenze.[11]
II genitore è chiamato in questo caso a lavorare inizialmente su se stesso e sul proprio pregiudizio per poi costituire un mediatore protettivo e rassicurante nei confronti del mondo sociale. Può sostenere il figlio nelle inevitabili difficoltà cui potrebbe andare incontro e promuovere iniziative, attività, azioni sociali che, nel tempo, possano contribuire a trasformare l’ambiente di vita.
In sintesi, la famiglia rappresenta un luogo educativo di fondamentale importanza nel processo di costruzione identitaria della persona omosessuale. E’ chiamata a sviluppare strategie di coping del tutto inedite e a progettare e realizzare nuove vie pedagogiche per un’educazione più funzionale alle peculiari esigenze di crescita del figlio.
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[1] G. QUINZI – L. PACE (a cura di), L’imprescindibile esigenza di educare, p. 31.
[2] Cfr. Ibidem, p. 58.
[3] Cfr. A. DI LUOFFO, Educazione al rispetto delle omosessualità, p. 10.
[4] Cfr. R. MUCCHIELLI, Apprendere il counseling, Gardolo, Erickson, 1996.
[5] Cfr. V.M. BORELLA, Volti familiari. Vite nascoste. Comprendere e accettare un figlio omosessuale, p. 23.
[6] Cfr. M. CASTAÑEDA, Comprendere l’omosessualità, p. 85.
[7] Cfr. C. CHIARI – L. BORGHI, Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali, p. 88.
[8] Cfr. L. FRUGGERI, Diverse normalità. Psicologia sociale delle relazioni familiari, Roma, Carocci Editore, 2009, p. 28.
[9] Cfr. C. CHIARI – L. BORGHI, Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali, p. 54.
[10] Cfr. E. MALAGUTI, Educarsi alla resilienza, Gardolo, Erickson, 2005, p. 171.
[11] Cfr. V. LINGIARDI, Citizen Gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, p. 76.
* Alessandra Bialetti, vive e opera a Roma come Pedagogista Sociale e Consulente della coppia e della famiglia in vari progetti di diverse associazioni e realtà laiche e cattoliche. Il suo sito web è https://alessandrabialetti.wordpress.com/