Quanto pesa, ancora, essere gay in Italia
Lettera di Francesco pubblicata da Concita De Gregorio* sul suo blog InveceConcita il 6 Febbraio 2019.
“Quattro anni fa, quando dissi a miei genitori di essere omosessuale, entrambi mi fissarono intensamente per alcuni secondi con occhi sbarrati, increduli. Mi ero trasferito a Londra già da un anno, dove passavo le settimane tra i manuali di diritto internazionale ed escursioni in città con gli amici universitari. Ricordo ancora il dolore nelle loro voci, il momento preciso in cui capirono che il loro primogenito dagli occhi azzurri avrebbe dovuto affrontare una vita più difficile del previsto. Io rispondevo alle loro domande con parole perfettamente misurate. Per anni le avevo ripetute in silenzio tra le pareti della mia cameretta in Liguria”.
“Il finto puritanesimo della morale di provincia era la barriera che aveva fatto da ostacolo alla mia felicità: gli uomini cercano le donne, ci vanno a letto, le sposano, ci fanno figli. Tutto ciò che rimaneva fuori da questa narrativa, non era degno di essere vissuto. La politica e i media sembravano arene distanti, entro cui non vi era spazio per la discussione dei nostri diritti. Eppure, l’Articolo 3 della Costituzione mi diceva tutt’altro. Mi diceva che il mio desiderio era naturale e dignitoso quanto quello degli altri”.
“Scrivo questa lettera perché vorrei far comprendere ai lettori che essere apertamente omosessuale in Italia significa essere un po’ come l’Atlante mitologico. Come lui sorreggeva sulle proprie spalle la sfera celeste, noi passiamo gran parte della nostra vita a sorreggere sulle nostre il peso degli insulti e della discriminazione. Ogni volta che qualcuno riesce a andare oltre il pregiudizio, il nostro fardello si fa più leggero. Ogni volta che veniamo marginalizzati si fa piú pesante”.
“Alcuni di noi cadono e non riescono a rialzarsi, spesso perché sono ancora troppo giovani per avere cresciuto spalle d’acciaio. Altri sopravvivono sotto una cascata di proiettili, incessante, metodica, disumana. Altri ancora rifiutano di ammettere questo peso a loro stessi. Le parole di chi non ci vede come pari scalfiscono la nostra percezione di noi stessi, aumentano il peso psicologico che ci tocca sorreggere. Quando la mia dimensione erotica e romantica viene ridotta ad uno spunto malizioso dai titolisti di un quotidiano, ecco già che le mie ginocchia iniziano a cedere. Quando le fazioni ultraconservatrici protestano contro una lezione di educazione alla diversità sulla televisione di stato, le caviglie iniziano a tremare. Quando ci viene detto di essere contro natura, è difficile non cadere a terra”.
“Grazie alle persone di cui mi sono circondato e all’apertura dei miei genitori, il mio peso si è alleggerito molto, ma non è scomparso. Sogno il giorno in cui riusciremo ad eliminarlo del tutto”.
*Concita De Gregorio, a Repubblica dal 1990 al 2008, è stato direttore de L’Unità dal 2008 al 2011, è rientrata a Repubblica come editorialista. Laureata in Scienze Politiche all’Università di Pisa, ha iniziato la carriera nelle radio e tv locali toscane. È autrice di numerosi libri tra cui “Non lavate questo sangue” (Laterza, 2001), “Una madre lo sa” (Mondadori, 2006), “Così è la vita”(Einaudi, 2011), “Io vi maledico” (Einaudi, 2013). Nel 2014 è uscito “Un giorno sull’isola”, scritto con il figlio Lorenzo. Nel 2015 ha pubblicato “Mi sa che fuori è primavera” (Feltrinelli), mentre nel 2016 sono usciti “Cosa pensano le ragazze” (Einaudi), legato al progetto omonimo che appare su Repubblica.it, e “Non chiedermi quando. Romanzo per Dacia” (Rizzoli). Per tre anni ha condotto su Rai Tre la trasmissione televisiva “Pane quotidiano” dedicata ai libri. Dall’autunno scorso va in onda, sempre su Rai Tre, “Fuori Roma”, programma da lei ideato e condotto.