Quaresima queer. L’ombelico del mondo
Riflessioni bibliche di Fabio Trimigno della Rete di Zaccheo Puglia
Andare alle radici storiche dell’episodio della Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor significa entrare nel cuore della vicenda fino a tracciare coordinate di luogo e tempo, quelle stesse coordinate da cui la storia dell’umanità dipende.
Se mi metto nudo dinanzi ad uno specchio e cerco con le dita sul mio corpo il punto che parla veramente di me e al tempo stesso dell’umanità intera, le mie dita si fermeranno all’ombelico.
L’ombelico, il punto più annodato del mio corpo, l’unico punto singolare-plurale che lega il singolo ad una pluralità ed il plurale ad una singolarità.
L’ombelico, il luogo in cui tutta la mia storia si intreccia, si piega e si stringe a chi mi ha messo al mondo.
E in un viaggio a ritroso, attraverso una spirale di un cordone senza tempo, mi ritrovo ad annodarmi ad altre storie e ad altri luoghi, di cui a volte non conosco neanche i nomi.
Proprio come il nome del luogo della Trasfigurazione, non compare mai. Sia nei Vangeli Sinottici quanto nella seconda lettera di Pietro (1,16-19) si parla genericamente di “alto monte”, oppure di “monte”, oppure di “santo monte”.
Nel Salmo 89 leggiamo: “il settentrione e il mezzogiorno tu li hai creati, il Tabor e l’Hermon cantano il tuo nome”. Pertanto i monti che nei vari secoli si contesero la collocazione dell’episodio della Trasfigurazione furono il Monte Hermon e il Monte Tabor. Dal IV secolo d.C., però, questo monte viene decisamente identificato con il Monte Tabor.
Il nome Tabor è legato al termine ebraico “tabùr” che significa “ombelico”. Il Tabor infatti, già prima di Cristo, era considerato come un “axis mundi”, l’asse del mondo, il centro del mondo, ovvero l’“ombelico del mondo”, un luogo sacro anche per i culti pagani. Ma nella lingua ebraica “òhr” significa proprio “luce”, e quindi nel nome “Tab-or” vi potrebbe essere un chiaro ed esplicito riferimento alla “luce”: pertanto questo alto e sacro monte sarebbe il Monte Tabor, “il Monte della Luce”.
Qual è il tempo probabile in cui è avvenuto l’episodio della Trasfigurazione sul Monte della Luce?
Alcuni elementi raccolti nei Vangeli (le “vesti candide”, le “capanne”, la “nube luminosa”) rimandano ad una delle feste più importanti del popolo ebraico, la festa di Sukkòt ovvero la Festa delle Capanne/Tende che si svolge 6 giorni dopo un’altra importantissima ricorrenza, lo Yòm Kippùr. In Matteo e Marco si indica espressamente come l’episodio della Trasfigurazione sia avvenuto proprio “sei giorni dopo”.
La festa delle Capanne/Tende si svolge in un periodo a cavallo tra i nostri mesi di settembre e ottobre, ed è una festa estremamente gioiosa in quanto cade nella stagione in cui si stivano i raccolti e si termina la vendemmia, ed è anche associata al “giorno messianico ed escatologico”, in cui Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su una moltitudine avvolta in vesti candide e bianche (Apocalisse 7,9 -15).
Luca pone l’accento sull’ottavo giorno (anziché il sesto), che è esattamente il “giorno escatologico”, a voler sottolineare come dinanzi alla Trasfigurazione sia stata fatta l’esperienza trascendente del riposo escatologico, altro non è che il deliziarsi della presenza del Signore nella sua vera natura trasfigurata.
Ombelico, montagna, luce, nube, festa, capanne, raccolto, vendemmia, candide vesti…
Sono ancora qui, nudo, davanti allo specchio, e nessuna candida veste ricopre il mio corpo.
Continuo a toccarmi con le mie dita, arrivo all’ombelico dove spesso si annodano i miei pensieri, si intrecciano fatiche e tormenti, delusioni e paure. Ma questa volta sotto le dita voglio sentire quelle pieghe una per una.
Proprio in quel punto, nell’”axis mundi”, nell’asse del mondo, proprio lì le mie dita sentono tremare il mio corpo che sogna una festa: la musica e la danza, il raccolto e la vendemmia, il grano e l’uva, il pane e il vino, il Suo corpo e il Suo sangue, il mio corpo e il mio sangue.
Sento da una parte la mia Chiesa, annodata, contradditoria e affaticata.
Dall’altra parte sento l’umanità tutta rivestirsi di bianco, l’unico colore che può accogliere, come su una tela, infinite possibilità di sfumature di colore. Sento le mie dita che continuano a toccare il mio corpo, a cercarne i contorni, i lineamenti, le mie forme, la mia capanna. Sento smontare capanne quanto c’è vento per poi rimontarle e offrire un riparo a chi ne ha bisogno, a chi vuole tornare a riscoprire quell’ombelico. Sento quella nube che con la sua ombra protegge chi è ancora alla ricerca di quell’asse, chi ancora non smette di cercare il centro della propria fede, di tanti che l’hanno smarrita e non hanno più il coraggio o le forze di cercarla. E nelle pieghe più profonde del mio ombelico, le mie dita scoprono una montagna: più salgo e più diminuisce il mio raggio di azione; più mi arrampico e più diminuiscono le mie forze. Su quel monte, tutto diminuisce, tutto diventa più piccolo ai miei occhi. L’unica cosa che aumenta è la mia responsabilità: trasfigurare la mia vera natura e abbracciare con coraggio tutte le metamorfosi della mia storia di figlio di Dio, quale sono.
Il verbo greco che indica la Trasfigurazione di Gesù è proprio “meta-morfòo”, che letteralmente vuol dire “trans-formare”, ovvero “mutare nella forma”. Nella letteratura fantasy, mitologica e folkloristica potremmo affermare con molta serenità che Gesù è un mutaforma, ovvero una qualsiasi creatura umana o vivente capace di mutare forma, di trasformare il proprio aspetto. In Matteo (17,2) il volto di Gesù “brillò come il sole”. In Marco (9,3) “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”.In Esodo (34, 29-30 e 35) è scritto «Quando Mosè scese dal monte Sinai […] non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Lui. […] Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante”.
Le particelle si trans-formano in onde, la forma della materia muta nella forma della luce. Difatti il termine ebraico “ohr”, non significa solo “luce”, ma significa anche “pelle”.
Ecco allora come riesce a svelarsi il significato di questa straordinaria luminosità della pelle di Mosè: la sua ohr-pelle, dopo aver fatto l’esperienza di Dio, diviene ohr-luce.
In Genesi (3, 21) leggiamo “Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì”.
Secondo la Tradizione ebraica l’umanità (l’Adam) era rivestita di ohr-luce. Solo dopo, col peccato, questa ohr-luce cambiò in ohr-pelle. Pertanto la nudità di Adamo ed Eva non consiste nell’essere stati “s-coperti” nell’atto di peccare, ma nell’essere “ri-coperti” da uno spessore di ohr-pelle che li ha privati di risplendere con la ohr-luce la loro vera essenza iniziale.La pelle non fu il rimedio alla nudità dell’umanità ma ne fu la causa della sua nudità: la ohr-pelle che privò l’umanità, rendendola “nuda” della ohr-luce.
La luce, per la scienza, ha esattamente una duplice natura ovvero è sia onda/energia sia particella/materia.
Tab-hor/Monte della luce e Tab-hor/Monte della pelle: luce e pelle, onde e particelle, energia e materia.
Ecco, allora, come le coordinate di luogo e tempo sembrano chiarirci quello che è avvenuto nell’episodio della Trasfigurazione come un primo svelamento del mistero della Resurrezione di Cristo.
Nella narrazione dell’episodio della Trasfigurazione c’è anche la presenza di Mosè ed Elia: dell’uno il Deuteronomio (34,6) dice «Nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba»; dell’altro il Secondo Libro dei Re dice che «Elia salì nel turbine verso il cielo». Mosè fa la sua uscita, Elia fa la sua uscita.
Nel Vangelo di Luca, Gesù con Mosè ed Elia «parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme».
Il termine greco “èxodos” significa letteralmente “uscita”. Il concetto di esodo/uscita è un diretto richiamo ad un passaggio, o meglio a “il passaggio”: dall’Egitto alla libertà, dalla schiavitù a quel passaggio che Gesù Cristo porta a compimento per tutta l’umanità (l’Adam) con la sua passione, morte e resurrezione.
Quale esodo, quale uscita fu più definitiva, se non quella di Gesù dal sepolcro, o ancor più in particolare, quella di Gesù dai teli e dal sudario?
Stendiamo teli da mare sulle spiagge di agosto, e sotto i nostri ombrelloni le magliette attorcigliate sul capo diventano un sudario per la nostra fronte. Creme protettive UV, protezione solare viso, idratante e resistente all’acqua. Ci preoccupiamo della luce del sole, ma quanto abbiamo dimenticato della nostra luce? Quanto non conosciamo della nostra brillantezza e del nostro candore?
Ci preoccupiamo di fare la nostra “entrata” nel mondo del lavoro, della parrocchia, delle associazioni, del volontariato, nelle comitive di amici, nelle stanze online, ma quando ci ricordiamo di fare davvero il nostro esodo?
Quando avremo il coraggio di fare la nostra uscita, il nostro passaggio decisivo per portare, se non compimento, almeno davanti allo specchio la verità sulla nostra esistenza di cristiani credenti queer?
Ci risolleviamo quando sentiamo che i nostri pastori e presbiteri si mettono attorno ad un tavolo per progettare percorsi di pastorale lgbt. Ma quante persone lgbt siedono a quei tavoli? Quante persone queer sono davvero accolte in quelle capanne?
Gesù è salito sul Monte Tabor non “per” Pietro, Giovanni e Giacomo, ma “con” Pietro, Giovanni e Giacomo: non esisto cammini “per” i credenti, chiunque essi siano, ma esistono cammini “con” i credenti. Gesù non è rimasto lassù tra le nubi del “occorre tempo e pazienza”: Gesù è sceso da quel monte, ha rimesso i piedi a terra, sulla terra dei viventi, la terra del “qui ed ora”.
Il mio augurio in questa domenica della Trasfigurazione è che impariamo a restare nudi davanti al Signore, di quella nudità che brilla ai suoi occhi. Sogno una comunità cristiana unita in quell’ombelico, che possa davvero riscoprirsi in quell’asse come un “mutaforma”, che possa abbracciare ogni possibilità di metamorfosi e cambiamento, di crescita e rivoluzione, lenta o veloce che sia, di ogni figlia e figlio di Dio.
Una preghiera particolare alla comunità queer perché possa sempre trovare il coraggio di trans-figurarsi, ed essere testimone di quella misteriosa presenza/assenza di Cristo nel sepolcro e al tempo stesso di essere costruttori instancabili di capanne.