Queerblog incontra Gianni Geraci, omosessuale e credente
Articolo di Giovanni Molaschi pubblicato su queerblog.it il 6 settembre 2010
L’attualità delle ultime settimane ci ha permesso, in più occasioni, di ragionare sul rapporto che esiste tra Chiesa Cattolica e comunità omosessuale. Dopo aver provato a fare una serie di approfondimenti abbiamo deciso di cominciare a confrontarci con chi quotidianamente con questo tipo di tematiche ha a che fare. Generalizzare, soprattutto quando si ragiona di qualcosa di intimo come la fede, è sbagliato. Meglio approfondire le storie.
Meglio capire attraverso delle storie una realtà su cui sembra sempre molto facile scriverci. Di seguito, per tanto, trovate l’interessante intervista che Gianni Geraci (gay e credente) ci ha rilasciato.
Pensando ad una serie di interviste sul rapporto tra comunità glbtq e Chiesa Cattolica il suo nome è stato scelto quasi in automatico. Come ci si sente ad essere uno dei pochi omosessuali che viene intervistato per la propria fede?
Qualche anno fa ho scritto un articolo per Pride che mi ha attirato diverse critiche da parte degli omosessuali credenti italiani. Sostenevo che gli omosessuali credenti sono in parte responsabili di certe uscite intempestive e inopportune del magistero cattolico e argomentavo questa tesi osservando che, fino a quando le lesbiche e i gay cattolici continueranno a nascondere il loro orientamento sessuale nelle comunità di cui fanno parte si rendono complici dei pregiudizi che circolano in quelle stesse comunità.
Essere uno dei pochi omosessuali che rilascia interviste per testimoniare il suo percorso di riconciliazione tra esperienza di fede e orientamento omosessuale, da un lato mi mette di fronte alla responsabilità grande di interpretare anche i percorsi di chi non ha la possibilità di esprimersi liberamente, d’altro canto mi fa sentire l’urgenza di dire a quanti sono omosessuali credenti come me che è arrivato di far capire alle nostre chiese che, quando attaccano le persone omosessuali, attaccano innanzi tutto noi.
Per fortuna, negli ultimi anni, gli omosessuali credenti che hanno fatto una scelta di visibilità sono aumentati e adesso, direi che ci sono almeno una decina di persone che potrebbero tranquillamente rispondere a queste sue domande.
Il problema è che siamo ancora troppo pochi: dovrebbero essere migliaia gli omosessuali credenti che, finalmente, trovano il coraggio di dire nelle parrocchie e nelle comunità in cui lavorano: «Ecco. Noi che siamo i catechisti dei vostri figli. Noi che cantiamo e che dirigiamo i cori delle nostre parrocchie. Noi che svolgiamo nella chiesa il ruolo di lettori, di accoliti, di presbiteri, di educatori e di animatori. Ecco. Noi siamo omosessuali».
Durante ogni Gay Pride sfilano dei carri, o delle singole persone, contrarie alle ingerenze vaticane nella vita pubblica italiana. Lei ha partecipato a dei Pride? Cosa ne pensa, da credente, di chi contesta pubblicamente la chiesa?
Direi di distinguere due piani: quello della libertà d’espressione e quello dell’opportunità.
Il fatto che ci siano stato, ai Pride a cui ho partecipato, delle persone che contestavano pubblicamente la Chiesa mi sembrava non soltanto una cosa accettabile, ma anche una cosa comprensibile, vista la rabbia e la delusione che molti membri della comunità LGBT vivono nei confronti della Chiesa stessa.
Purtroppo, molte di queste contestazioni non hanno l’ironia e il buon gusto che le renderebbe davvero efficaci, ma non è certo alla parata che si deve sottilizzare sul modo in cui le persone si esprimono. Purtroppo, insieme a queste forme assolutamente comprensibili di contestazione della Chiesa, ai Pride se
ne affacciano altre che si capiscono molto meno.
La prima é la presenza massiccia di gruppi di atei e di anticlericali che usano il Pride solo come una vetrina per portare avanti un discorso che non ha niente a che fare con l’orgoglio omosessuale: non sono gli unici, intendiamoci e il problema va posto per tutte le presenze che, in qualche modo, più che vivere il Pride, tendono a strumentalizzarlo: da alcuni anni, tanto per fare un esempio, alla Christopher Street Parade di Milano è presente un gruppo di fontamenalisti evangelicali che distribuisce volantini in cui si propongono le terapie riparative dell’orientamento sessuale.
La seconda forma non condivisibile di contestazione della Chiesa si ha quando sono gli stessi organizzatori a proporre questi momenti, senza tener conto della sensibilità di quanti, all’interno del movimento LGBT, lavorano per cambiare l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’omosessualità.
Quest’anno, proprio perché non condividevamo un momento di questo tipo, siamo stati costretti ad uscire, come Gruppo del Guado, dal comitato organizzatore del Pride. Naturalmente, se gli omosessuali credenti fossero più visibili e fossero più attivi all’interno del movimento LGBT, certe scelte peserebbero di più e certe forme di contestazioni sterili verrebbero abbandonate.
Al momento le cose non stanno così e quello che si può fare é osservare come in alcuni contesti, dei Pride ben organizzati, sono stato il punto di partenza per un cammino di ripensamento da parte della chiesa locale: penso a quello che é successo a Padova nel 2002, quando la chiesa ha preso pubblicamente le distanze dalle polemiche che certi settori della Destra avevano alimentato nei confronti del Pride nazionale; o penso a Torino, dove nel 2006, il tavolo di lavoro congiunto tra i rappresentanti della Curia e il gruppo delle associazioni promotrici del Pride ha prodotto un testo che può aiutare molti ecclesiastici ad affrontare in maniera un po’ più corretta il tema dell’omosessualità (cfr. Valter Danna, «Fede e omosessualità», Effatà, 2009).
La principale accusa che gli omosessuali atei muovono nei confronti di quelli credenti come lei è relativa all’apparenza alla Chiesa Cattolica. Lei con chi professa la propria fede? Perché?
Io sono nato cattolico e conto di morire cattolico. Poi siamo nelle mani di Dio e quello che succederà non lo sappiamo. La risposta potrebbe esaurirsi qui, ma forse si può fare una riflessione ulteriore.
Lei ha ragione quando dice che l’appartenenza alla Chiesa cattolica viene spesso contestata agli omosessuali credenti. Si tratta di un atteggiamento che non tiene conto di due elementi importanti.
Il primo é legato al fatto che, così come non scegliamo l’orientamento sessuale, allo stesso modo non scegliamo le nostre convinzioni religiose profonde: uno non sceglie di essere cattolico, uno si ritrova cattolico, per la sua storia, per il percorso che ha fatto e, soprattutto, per le esperienze di cui si è innamorato, così come uno non sceglie di essere omosessuale, ma si scopre omosessuale quando si innamora di una persona del suo stesso sesso.
Non ci si rende conto che, nella nostra cultura, la dimensione della Fede é profondamente legata alla nostra affettività: non è un caso che il termine «Credere» e il termine «Cuore» (inteso come la sede degli affetti) si siano sviluppati partendo dalla stessa radice indoeuropea.
Si tratta di un errore di valutazione che nasce dalla scarsa conoscenza della Fede che c’è in giro, complice in questo anche un certo atteggiamento della Chiesa stessa.
Ed é a questa scarsa conoscenza che è dovuto il secondo elemento di cui non si tiene conto quando si afferma in maniera perentoria che non si può essere nello stesso tempo omosessuali e cattolici.
C’è infatti un’idea sbagliata di cattolicesimo che può essere riassunta in questa affermazione: «Essere cattolici significa obbedire al papa e ai vescovi, soprattutto quando parlano di Fede e di morale».
Non nego che molti cattolici osservanti sottoscriverebbero questa affermazione, ma questo non toglie la sua strutturale inesattezza.
Essere cattolici significa essere convinti che Cristo Gesù è davvero risorto e basare questa fede su una storia (quella che i teologi chiamano la Tradizione) che ci ha portato la memoria di questa notizia fondamentale della nostra vita di Fede.
Ma proprio all’interno di questa Tradizione io trovo voci molto autorevoli che ci ricordano che il cattolico deve obbedire innanzi tutto alla propria coscienza.
Nel «De veritate» San Tommaso d’Aquino, quando si pone il problema se si debba obbedire prima al Magistero o prima alla propria coscienza non lascia dubbi e dice: «Il Magistero è voce di uomini, la coscienza è invece la voce di Dio che parla nel nostro cuore».
Sarebbe lungo ricordare qui tutti i testi in cui la Tradizione cattolica ribadisce questa verità, sta di fatto che quella che è una delle convinzioni più diffuse sul cattolicesimo non è esatta e provoca continuamente equivoci molto gravi.
Compito degli omosessuali cattolici sarebbe proprio quello di uscire allo scoperto e di testimoniare, con la loro vita, il fatto che è la coscienza il criterio ultimo di giudizio a cui appellarsi quando si fanno le scelte morali. Si tratta non solo di aiutare tanti omosessuali a conservare la Fede, ma si tratta anche di difendere la fede cattolica dalle derive integraliste che spesso la travolgono.
Il servizio di Panorama riguardante alcuni preti gay ha fatto discutere molto. Lei ha avuto occasione di leggerlo? Cosa ne pensa?
Il servizio di Panorama ha dei pregi e dei difetti. I pregi riguardano il fatto che porta alla luce un fenomeno che esiste e che è più diffuso di quel che si pensi. Sono infatti molti gli omosessuali credenti che si sentono chiamati alla vita religiosa e che, alla fine, scelgono di entrare in qualche comunità o diventano preti.
Dietro a questa predisposizione c’è il fatto che, durante l’adolescenza, quando vivono con disagio l’esuberanza verso l’altro sesso che caratterizza i loro coetanei eterosessuali, trovano nella chiesa uno dei pochi ambienti in cui questo disagio non sono viene tollerato, ma viene addirittura valorizzato come elemento di maturità affettiva.
Si tratta di un equivoco, naturalmente, ma si tratta di un equivoco che, per l’omosessuale adolescente ha molti elementi consolatori. I difetti sono legati al fatto che, come inchiesta giornalistica, quella di Panorama, è abbastanza superficiale e si limita a proporre il fatto di cronaca senza cercare di approfondire le cause e le implicazioni degli episodi che vengono raccontati.
In realtà non é la prima volta che dei giornalisti affrontano il tema dell’omosessualità del clero e, in alcuni casi, il lavoro che hanno fatto ha una profondità e una lucidità che mancano nel servizio di Panorama.
Anche qui non credo che ci sia lo spazio per ricordare tutti questi contributi, ma almeno il libro intervista che il vaticanista Marco Politi ha fatto con un prete omosessuale va segnalato, perché darebbe a chi vuole approfondire l’argomento, molti elementi di riflessione che mancano nell’inchiesta di Panorama (cfr. Marco Politi, «Io prete gay», Mondadori, 2006).
Chi si occupa di omosessuali riconducibili alla Chiesa è solito porre l’accento su chi ha un ruolo istituzionale. Quali sono le altre realtà gay cattoliche di cui non si discute?
Chi riduce l’esperienza degli omosessuali credenti a quella dei sacerdoti e dei religiosi gay non solo non tiene conto del fatto che la maggior parte degli omosessuali credenti sono dei laici, ma corre il rischio di farsi un’idea molto distorta del fenomeno.
I preti e i religiosi omosessuali vivono infatti dinamiche molto diverse da quelle che invece vive la maggior parte dei credenti: quando decidono di vivere la loro omosessualità, avendo una cultura teologica più solida, sono senz’altro più attrezzati per capire che un problema morale non potrà mai compromettere in maniera definitiva l’adesione al cattolicesimo; avendo però preso da adulti un impegno che implica la rinuncia a una vita di relazione dovrebbero avere più remore (anche se poi, alla luce di quello che mi capita di vedere, posso dire che le cose non stanno esattamente così).
La condizione clericale, in genere, è caratterizzata da una oggettiva minore libertà rispetto alla scelta di fare quella scelta di visibilità di cui abbiamo parlato prima: oltre a superare la paura e la vergogna queste persone si giocano la sicurezza economica e rischiano di ritrovarsi senza un lavoro a causa delle condizioni di privilegio economico di cui gode la Chiesa cattolica italiana.
Diverso è il discorso per la maggior parte dei laici, che non corrono nessun rischio di ordine economico e che dovrebbero avere un po’ di coraggio in più, aiutando magari, quei sacerdoti che finalmente scelgono di non nascondersi più, a trovare delle soluzioni professionali alternative che permettano loro di superare il ricatto economico a cui sono sottoposti.
Per chi, al termine della lettura di questa intervista, volesse (da omosessuale) percorrere un proprio cammino di fede a chi si può rivolgere? In Italia esiste un’associazione che raggruppa i gruppi credenti presenti sul territorio?
Tra il 1994 e il 2003 la maggior parte dei gruppi di omosessuali credenti attivi in Italia aveva dato vita a un coordinamento nazionale che, tra gli altri obiettivi, aveva quella di favorire una presenza più articolata sul territorio.
Anche se quel tipo di esperienza si è concluso le esigenze che avevano portato alla sua costituzione sono rimaste intatte e, nel 2007, hanno favorito la nascita del portale www.gionata.org.
All’interno di questo portale c’è una sezione dedicata ai gruppi di omosessuali cristiani presenti in Italia: si tratta di una sezione che è sempre in aggiornamento, anche perché i ventisette gruppi attualmente censiti sono solo la punta di un iceberg che troppo spesso, purtroppo, sceglie di non venire allo scoperto.