La sfida di un Dio né maschio né femmina che ci chiede di rischiare
Articolo di Francis DeBernardo pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 30 agosto 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
All’inizio di questo mese il New York Times ha pubblicato un articolo dal titolo provocatorio: Dio è transgender?. Scritto dal rabbino Mark Sameth, l’articolo esamina il linguaggio delle Scritture ebraiche notando come esse si riferiscano a Dio a volte come ad un uomo, a volte come ad una donna e a volte come ad entrambi. Anche altri protagonisti delle storie bibliche mostrano caratteristiche di entrambi i generi.
Ecco uno stralcio dell’articolo di rav Sameth: “… La Bibbia ebraica, nella sua lingua originale, offre una visione molto elastica del genere. E intendo proprio molto elastica: in Genesi 3:12 ci si riferisce ad Eva come a ‘lui’; sempre in Genesi (9:21), dopo il diluvio, Noè ripara la sua tenda [nel testo inglese dell’articolo l’originale per ‘sua’ è ‘her’, aggettivo possessivo che si riferisce ad una donna n.d.t.]. Genesi 24:16 si riferisce a Rebecca come ad un ‘giovane uomo’ e in Genesi 1:27 ci si riferisce ad Adamo come a ‘loro’. […] In Ester 2:7 Mordecai sta allattando sua nipote Ester. Allo stesso modo in Isaia 49:23 si profetizza che i futuri re d’Israele saranno ‘re che allatteranno’. [. . .] Le quattro lettere del nome di Dio, che gli studiosi chiamano Tetragrammaton, YHWH, forse non si pronunciavano né ‘Geova’ né ‘Yahweh’, come qualcuno ha pensato. I sacerdoti israeliti probabilmente le leggevano al contrario come Hu/Hi; in altre parole il nome nascosto di Dio era l’ebraico per ‘Lui/Lei’”.
Il rabbino Sameth, la cui cugina Paula Grossman fu una delle prime persone negli Stati Uniti a sottoporsi ad un’operazione chirurgica di riassegnazione del sesso negli anni ’70, arriva a diverse conclusioni, che supportano tutte la causa LGBT. Ma penso che la più importante sia questa: “Al contrario di quel che noi abbiamo creduto da giovani, il Dio di Israele, il Dio delle tre fedi monoteiste che fanno capo ad Abramo e alle quali appartengono metà della popolazione mondiale, era adorato dai sui antichi fedeli come un Dio dalla doppia identità maschile e femminile”.
Questo articolo meraviglioso è diventato recentemente oggetto di un commento del National Catholic Reporter. Dopo averlo letto, la scrittrice Mariam Williams si è chiesta perché non avesse mai sentito parlare prima di questa Divinità duale, specialmente quando sembra che ci siano prove in abbondanza in molti testi-chiave. Parlando della parente transgender di rav Sameth Mariam Williams scrive: “Mi domando se qualcuno prima di lui abbia letto gli stessi versetti e sia arrivato alle stesse conclusioni ma, dato che non avevano una cugina di nome Paula che amavano e per cui tifavano, o perché erano gli anni ’50, o gli anni ’80 e non il XXI secolo, abbiano poi tralasciato la loro scoperta. Avrebbero alterato lo status quo e sarebbero stati soli con le loro teorie. Quanto spesso teologi e ministri di culto leggono le Scritture nella loro lingua originale e tengono certi rilievi per sé per paura di quel che trovano?”.
Mariam Williams, lungi dall’essere paranoica, riconosce che la fragilità umana può avere giocato la sua parte nel motivo per cui gli studiosi non hanno reso pubbliche queste stimolanti scoperte: “…Può essere difficile affrontare l’argomento, perché rompere lo status quo è sempre pericoloso, specialmente quando si è coinvolti personalmente. Inoltre, portare delle controargomentazioni nel sistema di credenze di qualcuno fa paura; significa entrare in un luogo dove sei a disagio, dove il dubbio, il vero nemico della fede, può suppurare”.
Credo che Williams abbia ragione solo parzialmente. È vero che non è bello stare in un luogo dove regna l’incertezza e dove lo status quo vacilla. Ma non è proprio il luogo in cui stiamo tutti ogni giorno? Sebbene le cose della nostra vita ci siano generalmente familiari, non sappiamo cosa essa ci porterà giorno dopo giorno e spesso siamo chiamati a prendere decisioni in base a ciò che consideriamo pericoloso ma che può portarci a conoscere nuovi e più sicuri valori. Che ne siamo o no consapevoli, lo facciamo ogni giorno.
A volte queste esperienze si profilano rischiose nella nostra coscienza perché richiedono scelte rischiose. A volte dobbiamo lottare con la nostra coscienza per arrivare ad una decisione ma, più ci comportiamo in questo modo, più diventerà facile farlo in futuro, anche se non diventerà mai del tutto semplice!
Così, il mio principale disaccordo con le sottolineature di Williams è che secondo lei il dubbio è nemico della fede. Il dubbio non è nemico della fede. Il nemico della fede è la paura: paura di rischiare il salto di qualità. A volte questa paura si rivela come una certezza calcificata che ci impedisce di prendere decisioni, perché pretendiamo che esse siano già state prese, di solito da una qualche autorità.
Nel mondo cattolico LGBT ho incontrato molte persone il cui coraggio e la cui capacità di assumersi rischi continua ad ispirarmi. Non sono persone incoscienti; sono persone piene di fede. Credo che sarà tramite questi atti individuali di coraggio, rischio e fede che la nostra Chiesa, come istituzione, sarà in grado di diventare sempre più aperta e inclusiva.
Testo originale: God’s Transgender Quality and Our Call to Take Risks